Domenico Cara
di Angelo Manitta
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Il
mondo attraverso la vista nel libro di aforismi, I flautini dell’occhio,
di Domenico Cara
Se uno volesse scorrere il
curriculum di Domenico cara, si accorgerebbe subito che la sua attività
culturale è intensa e soprattutto prestigiosa: poesia, saggistica,
giornalismo, volumi vari, collaborazione a diversi giornali e soprattutto
fondatore di numerose riviste. Ma una cosa che lo distingue tra gli altri è
l’aforisma. L’aforisma è una massima o sentenza che sintetizza in modo
chiaro e perspicuo il risultato di ricerche e meditazioni. Si tratta di una
verità quasi assoluta, anche se l’aforisma non «deve essere necessariamente
vero, ma deve superare la verità» come scrive lo scrittore austriaco K.
Kraus. E Domenico Cara ha fatto nell’intera sua vita quasi una massima della
massima, un aforisma dell’aforisma.
I suoi primi aforismi risalgono ad oltre trent’anni fa, quando ne vennero
pubblicati cinquanta nella rivista belga “Phantomas”, ma recente è il libro
“I flautini dell’occhio” (Laboratorio delle Arti – Milano 2002), una corposa
raccolta che ha un obiettivo ben preciso: quello di vedere il mondo e
leggerlo attraverso gli occhi. L’occhio è per l’uomo uno di quei sensi
indispensabili di conoscenza sotto tutti gli aspetti. «Nell’area di questo
rapporto con il regno dell’osservazione e dell’occhio, è segnata una
felicità di causa e di effetti musicali, quotidiani, in una scrittura della
brevità i cui modelli del vedere sono assediati dal giorno e dalla notte,
così come da intense vicende emozionali, altre contemplazioni».
Già dal titolo si nota subito una sinestesia: il flauto si ascolta, con
l’occhio si vede. Si tratta di un gioco di fusione e di contrasto tra udito
e vista. Ma nell’opera a prevalere ovviamente è la vista, anche se «più di
un senso è coinvolto nella lettura di questi innumerevoli aforismi, circa
duemila, che in quanto tali sono frammenti, schegge che si insinuano nella
pelle, la toccano, a volte la feriscono quando le parole per la nostra
icasticità diventano frecce» scrive la prefatrice Marisa Napoli. Ma in
Domenico Cara l’aforisma non è una frase staccata dal suo contesto. Esso
vuole in maniera organica offrire una lettura della realtà fisica e
metafisica, sociale e psicologica, umana e spirituale, attraverso una
massima che penetra nel profondo dell’animo con una riflessione sempre
azzeccata, puntuale e a volte pungente. Si tratta della lettura di aspetti
della vita quotidiana a piccoli flash, presentata attraverso uno spazio
virtuale che è il libro, o la mente umana, o Internet: uno spazio metaforico
in cui l’uomo e tutto ciò che lo circonda è oggetto di riflessione. Infatti
se un libro di massime potrebbe sembrare solo un’accozzaglia di riflessioni,
così non si può dire per “I flautini dell’occhio” che ha un sottile piano
strutturale. Più che una raccolta di aforismi è un volume di riflessioni
filosofiche a tema.
Diviso in dodici sezioni, assume un valore simbolico. Dodici sono i mesi
dell’anno, dodici i segni dello zodiaco, dodici gli dei maggiori della
mitologia classica, dodici le tribù di Israele. Ma la cosa più importante è
che nel volume dodici sono le tematiche trattate e sviscerate attraverso
l’occhio fisico e il vedere filosofico. Nella prima sezione si ha la nascita
del vedere attraverso la solitudine e il vento. La vista come principio
d’ogni cosa. Il vedere come origine dell’universo creativo. «L’occhio celato
dall’ombra di un ignoto-dove, e finito nel mucchio di allarmanti e gelide
carcasse, che a tutto tondo raccontano la tristezza della catastrofe e forse
il desiderio di ritornare prima del loro ‘Adesso’, in forma fisica più
adeguata e, certo umanamente più degna, in una diversa stupida quiete!».
Nella seconda sezione dal vedere si passa al visibile, attraverso una
lettura a frammenti della realtà: «Ho appeso gli occhi della critica al
chiodo della lunga pausa per sistemare più responsabilmente la fiction, e lo
stesso mobile processo creativo». Dalla riflessione sul visibile, si passa
alla perlustrazione dell’oggetto, attraverso l’iride, che è oggetto-soggetto
metafora. L’iride rappresenta lo scandaglio fisico, ma pure intellettivo:
«L’occhio che fruga nei propri orgasmi, e quella neanche più rampante iride
morta!». Nella quarta sezione si penetrano i luoghi disegnati dalla vista.
La perlustrazione del sensibile. Proprio come scriveva Hölderlin: «Cammino
come un cieco che s’inventa il cielo». Nella quinta sezione sono i colori ad
avere la prevalenza. La vista è soprattutto percezione del colore, che è
natura e vivacità primaverile. «L’occhio fragrante della germinazione, il
suo involucro vegetale, lo spazio cui s’accosta nell’indiziale ed ambigua
primavera». Nella sesta sezione l’occhio diventa la continuità delle cose.
Quasi espressione dello scorrere del tempo. Il ‘panta rei’ di Eraclito. Allo
scorrere si contrappone il numero, «il mio numero di occhio-ninfee», così
come per Pitagora il numero è misura e punto di riferimento della realtà
contingente. Dall’osservazione nasce l’analisi, e quindi la distanza tra le
cose reali e quelle immaginate. L’uomo è spesso miope e la sua miopia gli fa
travisare la realtà, proprio come diceva san Paolo: «Questo mondo è un
sistema di cose invisibili manifestate visibilmente» o secondo l’aforisma di
Cara: «Tu hai l’occhio poligonale di Marcel Proust che scrutava gl’infiniti
lati di una qualsiasi questione o di un oggetto innocente e silenzioso
ovunque dislocato, e ne aggiungeva un altro per capire di più e per
articolare ulteriori grammatiche». Ma ecco che siamo giunti all’undicesima
sezione. È questo il mondo della luce in un deserto d’indifferenza. L’uomo
si guarda intorno e non vede altro che solitudine. Egli appare una monade
alla ricerca di una sua collocazione ben precisa, ma soprattutto alla
ricerca di se stesso e di una comunicazione con l’altro. Sarà così? La
risposta la si può trovare nella dodicesima sezione: «Primo testimone
dell’alba, senza reazione finale, l’occhio che interpreta il mondo, e sempre
incerto su ciò che avrà intravisto». Ed è proprio su quest’incertezza, e
quindi su questa visione della realtà in continua scoperta, che si poggia
l’idea fondamentale che Domenico Cara vuole trasmettere al lettore
attraverso i suoi aforismi. |
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