di Angelo Manitta

La luminosità di un’isola in Sicilia mia di Mario Cavallo

L’Etna è certamente un mito. Dagli albori della storia essa è stata un simbolo di forza, di violenza, ma pure di feracità e di ricchezza. Sembra che Omero alle sue falde abbia dislocato la sede dei Ciclopi, Euripide nel V secolo con esattezza colloca le loro abitazioni attorno al vulcano. La Sicilia, terra d’amore e di affetti, al tempo dei Greci o in epoca Normanna è stata terra d’immigrazione, ma nell’ultimo secolo al contrario è stata terra d’emigrazione. Quanti siciliani si trovano nel mondo! E ciascuno di essi conserva nel cuore l’amore per la propria terra e i suoi miti. Tra questi è da annoverare Mario Cavallo, nato a Vizzini, ma emigrato a L’Aquila, dove esercita la professione di orafo incisore.
Lavorare l’oro è un’arte, come un’arte è scrivere poesia. E Mario Cavallo da molti anni si dedica anche alla poesia. Recente è, infatti, la pubblicazione del suo volume “Sicilia mia” che già, come evidenzia il titolo, pone l’attenzione sulla Sicilia e sui suoi miti, tra cui l’Etna, quale termine di paragone del suo amore, e il paese natale, Vizzini. Si tratta di una serie di ricordi vissuti nell’attimo presente, quasi vivi nella memoria, in un vivo contrasto interiore tra la nostalgia del ritorno e il senso di colpa di aver lasciato il proprio paese. «La cosa ca nun puozzu mai scurdari / l’ultima vota ca lassai Vizzini / pianu pianu u suli visti spuntar / ‘n mienzu’a fruscia, darrieri Lentini». Questa nostalgia gli fa rivivere profonde emozioni, quali possono essere i momenti religiosi di un tempo vissuti in un misto di sacro e di profano: la Pasqua, il Natale, la festa del Santo Patrono. È una vita paesana che scaturisce nella sua genuinità, ed il ritorno al proprio paese viene visto come un momento di riflessione, quasi un sogno. Tutti gli oggetti, le figure appaiono irreali e fantastiche, ma nello stesso tempo danno spazio ad una descrizione realistica e sincera. È questo il caso degli amici che si incontrano dopo tanti anni, o che si ricordano per i momenti passati insieme o perché sono stati maestri. Emblematica in tal senso è la poesia “Allu maestru miu Cicciu Interlanti” soprattutto nella strofa in cui dice: «Puvirazzu! S’è fattu vicciareddu, / so muggheri è morta e l’ha lassatu, / dicunu c’ha pirdutu lu cirbieddu. Campa cu li riuordi d’o passatu». La poesia di Mario Cavallo non è solo incen-trata sulla nostalgia e sul ricordo, va ben oltre. Spesso compare un elemento satirico ed ironico e spesso riesce ad accattivare il lettore attraverso delle vere e proprie narrazioni in versi. È il caso di “L’errore mortuario”, dove all’ironia si unisce l’aspetto narrativo, come pure della poesia “I dui compari”. In effetti due sono le anime della poesia di Cavallo, quella lirica e sentimentale e quella descrittiva e basata sul ricordo. Ma non manca un terzo aspetto, quello del-l’amore per la storia della propria terra e della propria isola. Interessante è in questo senso il poemetto “Inizio della storia siciliana”, dove si descrivono gli aspetti salienti della storia greca e soprattutto dei suoi personaggi, dai tiranni all’eroe indigeno Ducezio, e che continua con la “Cappella palatina”, in cui viene descritta la storia sacra rappresentata nei mosaici della cappella palatina di Palermo, appunto, una delle opere più stupefacenti del Medioevo. Ma forse la trovata più originale del libro è quella della vera storia della Cavalleria rusticana. L’opera scritta da Verga e ambientata proprio a Vizzini, si conclude con la morte di compari Turiddu da parte di compare Alfio. Ma poi compare Alfio che fine ha fatto? In un incontro quasi leggendario dell’autore con un altrettanto leggendario missionario, padre Salvatore Carubba, che lo riempie di emozione, nasce la questione su come sia andata a finire la storia di compare Turiddu, e quale era stato veramente il suo rapporto con comare Lola. Compare Alfio aveva subito un processo? Era stato condannato? Cosa aveva fatto dopo la condanna? Proprio su queste domande Mario Cavallo racconta “La mala Pasqua, ovvero: come forse Verga avrebbe scritto il secondo atto della Cavalleria Rusticana”. Narrazione è snella e avvincente, ma come vada a finire è bene che il lettore lo scopra da sé.