di Angelo Manitta


 

Iole Chessa Olivares: e il suo percorso lirico e metanarrativo


La poesia, espressione e visione personale del mondo, porta il pensiero umano alla meditazione, meditazione che quando è rivolta verso il proprio intimo si può definire narcisismo e quando verso l’esterno oggettività. Iole Chessa Olivares, poetessa sarda, stabilitasi a Roma ormai da diversi anni, è una di quelle poetesse che sa coniugare l’interiore riflessione con l’osservazione oggettiva, suscitando emozioni indelebili nei lettori. È quanto accade nella sua ultima silloge di poesie “In piena sulla conchiglia”, pubblicata dall’editrice Pagine (Roma 2002). L’autrice in effetti «con una facilità ispirativa e una precisione poetica davvero ammirevoli – secondo quanto scrive Plinio Perilli nella prefazione –, irride ogni vacuo intellettualismo controestetico, e mira subito al nocciolo della questione, che è – oggi come sempre, per ogni poeta o artista – l’impegno tra il proprio cuore e il mondo, tra cui il nostro Io spesso narciso o talvolta ipertrofico, e una Realtà lacerata, ferita, guerreggiata, che non ammette esitazioni o sterili pigri bizantinismi».
L’intera silloge in effetti, divisa in cinque sezioni, è un percorso ideale e metanarrativo dell’uomo alla conquista della propria interiorità. Nella prima sezione “Per ingorgo del nido” appare la luce e il calore di un’isola che con la sua luminosità permette l’avvio di un metaforico viaggio, punto di partenza ideale e fisico nello stesso tempo, che lascia scoprire i più intimi meandri nella natura in un rapporto quasi fraterno. La natura diventa quindi elemento di riferimento, che permette un dialogo emotivo ed intimo, ma pure un contatto oggettivo, nel tentativo di offrire rifugio alla solitudine umana, come sembra affermare la poetessa: «E nessuno vede il suo infinito / restringersi in naufragio / sulla banchisa del cosmo». L’universo diventa il tutto, il contenitore universale della materia e dello spirito, ma pure della felicità e dell’infelicità, in una propensione verso l’infinito. Nella seconda sezione “La lama del sogno” prevale il senso onirico. La poesia diventa sogno per portare a conclusioni più personali. L’introspezione è un momento di pausa lungo il percorso, in cui il ricordo e la memoria fanno da legame tra finito e infinito. «Oltre il sipario / solo la reliquia del sogno / attraversa e indora l’edera».
Ma ecco il terzo momento, “Sugli incroci del caso”, in cui la poetessa universalizza l’essere. L’Io richiama i luoghi della memoria come momenti simbolo. Il destino, o il caso, diventa quasi una sconfitta, un momento di pausa, che lascia scaturire una profonda nostalgia delle cose, propria dell’uomo contemporaneo, quasi un “male di vivere” che sfocia nella rassegnazione, in quanto l’uomo è stanco di combattere. Emergono allora le piccole cose, l’osservazione degli oggetti quotidiani, in un’ottica crepuscolare e pascoliana. Pascoli e i crepuscolari in effetti sembrano avere grande influsso sulla poesia della Olivares, ma il punto focale non coincide, in quanto nella poetessa romana si passa ad un realismo metastorico e metafisico, oltre che metanarrativo. In questo senso la storia diventa maestra di vita. Gli eventi travolgono gli uomini. Ed il richiamo di drammatici fatti contemporanei è d’obbligo nel percorso poetico della Olivares. La guerra del Golfo, l’11 settembre, sono dramma universale della storia che non può essere modificata, come si legge nella quarta sezione della silloge, “Nella presa di un’ora”.
Ma è nella quinta sezione che si conclude il percorso ed emerge e si evidenzia un maggiore afflato lirico, abbastanza elevato comunque nell’intera silloge. Ora la riflessione si incentra sull’uomo, centro e misura di ogni pensiero. Egli diventa un minuscolo insetto, quasi formica, farfalla, zanzara, ape. Ma dall’infinita piccolezza fisica e misterica, scaturisce la sua potenza e forza intellettiva, che riesce a dominare l’universo. L’infinitamente piccolo, si commisura con l’infinitamente grande. La natura e l’uomo diventano elemento collante dell’intera silloge, quasi compagni di viaggio, proprio là dove «sull’orlo del Paradiso / c’è un segnale di morte, / un albero senza chioma, / il solo superstite / di un bosco secolare / che ha conosciuto / lo scialo del tempo».


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