Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia


 

Via via che il lettore si addentra nell’intricata vicenda che ruota intorno alla morte di Colasberna, ne resta sempre più irretito. Gli avvenimenti che emergono, incalzanti, da una prosa altrettanto fluida e prorompente costringono il lettore in una sorta di frenesia che lo sospinge comunque ad andare avanti. Sempre più partecipe, sembra quasi che quella lettura mozzafiato gli faccia a tratti perdere qua e là, intensi particolari o immagini colorite, tant’è che si è costretti a ritornarvi per meglio coglierne la suggestione. Ma, ciò che più conquista è quel contrasto che vien fuori tra i personaggi e le atmosfere da una parte e i paesaggi dall’altra. I primi sembrano emergere dalla realtà di tutti i giorni, vivi multiformi e coloriti. Peraltro, i dialoghi, le battute a volte ironiche, le considerazioni sulla vita che scorre intorno, li collocano nel modo di essere, tipico della loro sicilianità. Ed a volte è sufficiente una semplice aggettivazione a mettere in risalto la mentalità e, quindi l’atmosfera in cui il mondo di quei personaggi ruota. Ad esempio, del capitano Bellodi, i soci della cooperativa Santa Fara individuano di primo acchito, la sua continentalità, espressione con la quale vuole intendersi efficienza ma anche dabbenaggine e libertà di costume.

 

Tutt’altra cosa sono, invece, i paesaggi che, anche se – devo dire – non sono numerosi, in contrasto con i personaggi vivi e reali, appaino piuttosto il prodotto di una visione soggettiva di chi li osserva. «Il mare che appassisce i colori del cielo», che li riflette in tinte tenui e smorte proprie di quel momento, gli alberi, i campi e le rocce avvolte in una gelida fragilità quasi che possano spezzarsi, gli uccelli che svolazzano come in un labirinto, creano un non so che di surreale. Se, invece, andiamo ad esaminare quel paesaggio emiliano che viene in mente al nostalgico Bellodi e che si riflette «nel pulviscolo dorato di una cadente striscia di sole», non possiamo non accorgerci come esso faccia venire in mente un paesaggio tratteggiato da un pittore naif. «La filigrana degli alberi che si stagliano in un cielo bianco, la grande casa che sorge là dove la città si abbandonava alla campagna», tutto sembra riflettere quella medesima incan-tata ingenuità tipica di quel genere di pittura, quella medesima immediatezza espressiva, primitiva e spontanea.


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