di Alfonsina Campisano Cancemi

Antologia poetica del Premio di poesia “Giancarlo Galliani”

L’Antologia poetica, ultimo atto del Premio Nazionale di Poesia “Giancarlo Galliani”, è la dimostrazione che la poesia, arte pura ed universale, può fondersi e armonizzarsi con la scienza. Il Premio, alla sua terza edizione, promosso dai dipendenti USL 2 di Lucca, vuole essere un sentito e commosso omaggio alla memoria del medico-poeta Giancarlo Galliani che, con il suo operato, ha lasciato ai suoi figli e a tutti noi un messaggio di profonda umanità. L’antologia, che accosta poeti già affermati a poeti esordienti, presenta un florilegio di liriche di qualità medioalta, che non scadono mai nel banale, ma offrono al lettore un quadro assai variegato di sentimenti e sensazioni espressi da artisti colti e raffinati. Diventa, pertanto, assai difficile recensire un libro in cui tanti poeti cantano la vita con ideologie e strumenti diversi. Tenterò, tuttavia, un approfondimento, cercando di cogliere talune tematiche universali espresse, sia pure con moduli diversi, dai vari poeti. Un tema assai ricorrente è quello dell’amore, visto da Maria Antonietta Bertaccini come dolorosa assenza («Mi manchi, uomo / che indossavi camicie di fine cotone...»); da Gioia Guarducci come voluttà ed ebbrezza («io mi abbandono esangue / stordita da improvviso capogiro / tra le tue braccia, senza più respiro»); dalla giova-ne Eleonora Romani come sogno romantico («Perdiamoci ora fra questo inganno / di finestre addormentate / su onde d’argento / quando fra le tende / impigliate di vento / uno sguardo parla d’amore»). E poi c’è il tema degli affetti familiari: dell’infanzia, di Rosa Spera, che ritorna «Traboccante spighe ardenti di sole / e azzurrati specchi di cielo», nella cui atmosfera, quasi a rappresentare l’alfa e l’omega dell’esistenza, procedono uniti il nonno e la nipotina («Io, bambina, vestita di sogni / e tu, nonno, proteso a raccogliere / i frutti di residue stagioni...»), al ricordo accorato e struggente che Antonietta Tafuri ha della grande casa, in cui un tempo si viveva con dolce serenità («dicevi della casa, / due stanze e una cucina grande / della famiglia ai campi e delle sere / quando tutti assieme si parlava dei fatti più importanti...»). Altro tema, eterno quanto il mondo, il dolore, che può avere matrici diverse e che appare lacerante in Gabriella Bortoli («Non voglio / tu sappia / il dolore / che, come lesena / mi percorre / e ripetuto / in mille archetti / di cattedrale / si agita / nelle doppie code / di sirene e di mostri») o stemperato in una sommessa malinconia in Alberto Carpine («Ora che l’alito del vento / s’è fermato sulle ali delle querce / adagiate in un letto di rose / il corpo di mia madre»). E vorrei concludere (Ma non me ne vogliano gli altri poeti, giovani e meno giovani, tutti validi, che non ho potuto citare per esigenze di spazio) con il grido sommesso e amaro di Filippo Secondo Zito a sottolineare la vita-non vita dei carcerati di Favignana: «Io e i miei compagni / sembriamo l’arredamento della cella / Noi e la cella un’unica cosa / un unico grigiore. / La vita non è qui...!!».