di Miranda Haxhia

La poesia intima di Irhan Jubica

Il poeta albanese Irhan Jubica procede da una gran fantasia, da un gran cuore che tiene perfettamente l’amore per se stesso e per l’umanità, tra i versi del libro “L’ultimo Beduino”. Leggere la poesia di Irhan Jubica è come cercare la strada della vita che tu non hai trovato. Il suo modo di guardare la realtà è un esempio di grande capacità poetica. È un poeta che non ha bisogno di mille parole per esprimere forti emozioni. La sua timida tristezza passa tra un contrasto straordinario e una delicatezza sublime, con un ritmo sicuro, senza sforzi, ma con una gradazione e abbondanza di metafore. La sua interiorità trabocca di sentimenti, puri ed intimi, e genera una generosa dose di coraggio capace di annientare il dolore («Da quel tempo / la prima voce / tu / l’unico / ma oggi / non osa risuscitarmi») e di sublimare le idee da cui emerge la gioia nel donare, restituendo alla poesia quel significato, quella dimensione comunicativa, dono particolare che richiede fantasia e sensibilità in una sintesi che scaturisce dal cuore: «Sono Nili / seccato / dopo milioni di anni di vita». La scoperta della poesia porta all’affermazione della propria identità, segnando per sempre la propria vita. La poesia è illuminazione, è il simbolo dell’incertezza che il poeta usa per paragonare e per paragonarsi con l’astratto, e allo stesso modo con il reale. In ciascun poeta vi è l’urgenza di comunicare: «È tardi / per desiderare / per odiare altrettanto / Mi sono rimaste poche cose / piccolissime / tanto poche / da avvolgerle / dentro una buccia putrefatta / di mela», urgenza dettata dalla ricerca di una perfetta sintonia con il lettore, inducendolo a richiamare, attraverso la comparazione, immagini consuete e quindi del quotidiano, oppure trasportandolo al di là di sé, in un luogo diverso, ‘altro’, dove l’immagine assorbe maggiore tensione, acquistando più valenza, più poeticità, circostanza riscontrabile nell’ambito di ciascuna poesia. Il poeta, più degli altri, accende l’anima, traduce in lirica quei sentimenti che la persona comune non riesce spesso ad esprimere. Questo è, infatti, il poeta: colui che riesce a dire in modo nuovo i sentimenti eterni. E Jubica è simbolo del perpetuo mutamento, vive e pensa nell’eterno divenire. Prende con rabbia luce dal profondo di noi, essendo un conoscitore, uno scrutatore dell’anima. La sua poesia è libera come l’aria, non esistono le virgole, perché come pensa il poeta, le virgole sono come manette per i versi. Vive il tempo senza amarezza, persuaso che l’umanità non sarà mai vinta in assoluto dall’aridità della materia, poiché in ogni individuo vi è una componente di spiritualità. Il pensiero è quello che conta nella sfera limitata delle percezioni, ogni esperienza serve per trasmettere ciò che si è assimilato e che pare corretto. Sapere che la sensibilità porta a stupirsi di quanto di più bello o di più brutto accade intorno, fa sentire la vita vera. Lui cerca di entrare nello spirito immergendosi nei labirinti dell’essere per liberarsi dalla polvere, dai bagliori, dalle lordure, dagli inganni della realtà. In un altro volume dal titolo “La notte di San Valentino” dice: «È difficile vivere, sopravivere, ma importante è combattere».