Rosa Mistretta
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Un
tentativo per scoprire affinità tra due mondi: quello della scienza e quello
della letteratura.
La poesia è musica, la musica è matematica, la
matematica è il linguaggio di molte scienze. La cosmologia, ad esempio,
cominciò con “l’armonia delle sfere”, che è nuovamente musica e poesia.
L’unità della cultura non sembra avere bisogno di essere dimostrata, tanto è
evidente. Pur tuttavia, sembra non esistere un’unità, anzi immensi divari si
sono formati e sembrano insormontabili. In ogni epoca ed in qualsiasi
circostanza, l’Uomo ha cercato di accomodare secondo un criterio alcune
situazioni quotidiane, anche se prive d’identità, esprimendo ciò che di più
profondo era nascosto in se stesso. Egli ha da sempre avuto il bisogno non
solo di descrivere la bellezza e di cantare l’armonia, ma anche di
elaborare, attraverso l’attività mentale, la produzione d’immagini della
realtà percepite coi sensi. Egli, traendo spunto dalla quotidianità, ha
perciò concepito l’arte di rappresentare una visione personale della realtà
in forma musicale e ritmica, e con essa ha avuto modo di esaltare l’animo.
Ha voluto mostrare fatti, immagini e sentimenti, emozioni e fantasie
utilizzando parole disposte secondo un determinato ritmo. Nacque, così, la
poesia.
Nella molteplicità delle situazioni, egli ha reso possibile un’unità ed un
ordine, secondo un accordo proporzionato, definito da rapporti fra le parti
che compongono un tutto. Con la poesia, intesa come studio dell’armonia,
egli ha cercato diverse analogie tra funzioni che concorrono alla medesima
finalità. Si è ancora lontani dall’affermare che ci possa essere un’unione
tra poesia e la scienza delle grandezze e delle forme, quale si definisce la
matematica. «Tutto è numero» disse Pitagora, ma se la matematica è un’arte
fine a se stessa, è davvero singolare come le sue astrazioni abbiano trovato
applicazioni proprio nello studio della natura, in quanto frutto
dell’intelletto umano, gestione irreale di principi indiscutibili, gli
assiomi.
L’ambiguità tra il significato di regola, acquisibile con lo studio, e
d’arte nel senso di creazione originale è già presente nell’origine
etimologica del termine greco “poesia” (poìesis). Quest’ambiguità semantica
ha identificato due approcci differenti: da un lato una determinazione di
tipo strutturale o funzionale, dall’altra una forma di manifestazione
fantastica. Con la prima definizione si possono proporre concetti universali
e termini che indicano ciò che può essere o non essere, mentre con la
seconda si possono produrre rappresentazioni non vincolate alla sola
percezione della realtà, intesa, quindi, in senso estetico, connesso
strettamente al mondo della poesia. Ma se la matematica può essere indicata
come un insieme di procedure attraverso cui l’attività umana del conoscere
pone un contenuto, ideale o reale, in relazione ad altri argomenti, al fine
di ricavare concetti universali, allora è possibile trovare un felice
connubio tra questi antipodi apparenti.
Nella poesia il sentimento cresce oltre ogni limite ed anche nella
matematica non si pone vincolo di quantità e di misura. Entrambe concorrono
ad un’estensione e ad un’e-ternità sconfinata che tende all’infinito. In
questa situazione i confini tra le due discipline si dissolvono e si perdono
nel nulla. Dunque è l’Infinito il punto d’intersezione. Si provi a guardare
l’infinito con gli occhi e con il cuore di Giacomo Leopardi da «quest’ermo
colle / e questa siepe, che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo
esclude». E: «sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e
sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo; ove
per poco / il cor non si spaura. E come il vento / odo stormir tra queste
piante, io quello / infinito silenzio a questa voce vo comparando». Ed
insieme riflettiamo e ci «sovvien l’eterno…». Ed è lo stesso infinito che
compare nella matematica con la scoperta di segmenti incommensurabili (senza
sottomultiplo comune, quali la diagonale ed il lato del quadrato): ciò
comporta che dividendo un segmento successivamente, la suddivisione può
proseguire senza limiti.
Nella Poetica di Aristotele la poesia è l’espressione dell’Universale,
intesa in senso operativo e conoscitivo perché indica cosa fare per ottenere
determinati risultati. Con tali presupposti, uniti all’affermazione che la
poesia appartiene a tutte le arti e che non esistono scienze esatte che non
si avvalgano della matematica, il passo verso il punto di intersezione è
breve. Tra matematica e poesia, si armonizzano parole fluttuanti, quasi
create magicamente dal nulla, che compongono versi, e pensieri matematici
che plasmano formule. La connessione tra la poesia e la matematica è
rilevata con sottigliezza attraverso affinità strutturali, che tracciano un
ponte etereo tra due infiniti paralleli. L’eterno dissidio tra ragione e
sentimento, riproposto come perenne umano di-lemma, tra arte e logica è
evidenziato, e superato nello stesso tempo, attraverso l’autosomiglianza
delle forme e la similarità, nelle figure di W. Escher ed attraverso i
principi fondamentali della poesia e del componimento, fino al punto da
poter riportare il sentimento della vita alla morte: «E la morte stagioni, e
la presente / e viva, e il suon di lei. Così tra questa / immensità s’annega
il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce in questo mare».
Penso sia opportuno terminare con la citazione di una frase di Primo Levi
tratta dal “Dialogo con Tullio Regge” che pone un punto in comune tra le due
correnti, in reciproca collaborazione: «Ravvisare o creare una simmetria,
mettere qualcosa al posto giusto è un’avventura mentale comune al poeta e
allo scienziato». |
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