Cosmo Giacomo Sallustio
Salvemini
di Angelo Manitta
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Storie di moderne devianze della Giustizia. La via giudiziaria al comunismo:
un golpe fallito.
Saggio critico di Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini
Il volume di Sallustio
Salvemini già dal titolo dice chiaramente quale sia il contenuto: storie di
moderne devianze della giustizia. L’autore, «con un’analisi impietosa di
cronache giudiziarie moderne, offre, specie agli smemorati, uno spaccato di
vita giudiziaria costellato di veri e propri soprusi, arroganze di vario
genere e strumentalizzazioni del potere a fini di parte; in altre parole uno
spaccato di malagiustizia» scrive nella prefazione Corrado Oliviero. Il
libro evidenzia non solo i retroscena giudiziari, ma pure quelli politici.
Spesso infatti è in ambienti politici che nascono certe dicerie allo scopo
di controbattere e contrastare gli avversari. S’istruiscono così processi,
come castelli in aria, con successivi insabbiamenti. La confusione spesso è
totale, tanto che alla fine dei processi non si è cavato un ragno dal buco.
Ma ciò dipende a volte anche dalla parzialità e incompetenza dei giudici.
Afferma il Sallustio Salvemini che «la stragrande maggioranza di magistrati
italiani però è composta da persone assolutamente competenti e degne del
massimo rispetto», anche se più avanti ammette che «il problema delle
devianze giudiziarie è di drammatica attualità nel nostro paese,
specialmente ove si consideri che quasi mai i ‘devianti’ ammettono di aver
sbagliato». Avviene anche che «alcuni individui sono divorati dall’ansia di
perseguitare altri individui, con il pretesto di liberare il mondo dai mali
che l’affliggono. Per soddisfare quest’ansia inventano ‘teoremi’
cervellotici totalmente sforniti di prove concrete. Il più grave dei danni
si verifica quando qualche maniaco della persecuzione riveste la carica di
magistrato inquirente. In tal caso è in gioco la libertà dei cittadini
onesti»
Il libro è diviso in dodici capitoli. Nel primo viene delineato il ruolo dei
giudici nella costituzione, e si evidenzia il fatto che la giustizia
dovrebbe essere distaccata dalla politica, senza che indipendenza significhi
privilegio. Nel secondo capitolo viene evidenziato il problema delle
intercettazioni telefoniche e soprattutto dell’abuso che se ne fa, tanto che
oggi «gli uomini che contano usano il telefono solo per prendere
appuntamenti e scambiarsi banalità». Negli anni Ottanta e Novanta chiunque
poteva spiare chiunque. L’abusivismo era diffuso e quasi sempre restava
impunito.
Nel terzo capitolo il Salvemini evidenzia gli errori giudiziari commessi
dalla magistratura, alcuni dei quali davvero madornali. Prendi ad esempio il
caso Tortora degli anni ’80. Ma l’autore presenta tutta una casistica a
partire dal 1955 con il caso Luciano Rapotez per finire nel ’96 con i casi
Necci, Fiorentini o Nobile. In totale vengono evidenziati una ventina di
casi eclatanti. Ma dietro queste devianze cosa ci stava? Solo un errore
giudiziario oppure degli interessi politici ed economici? A questa domanda
in vari luoghi del libro l’autore risponde con molta chiarezza e franchezza.
Dopo il quarto capitolo che si rifà alle “inutili prediche di Scalfaro”
riguardanti la giustizia, nel quinto, molto interessante, viene evidenziata
la tolleranza e il pluralismo culturale, spesso negato. Scrive l’autore: «È
tipico di certi detentori del potere il vezzo di attribuire ad altri le
colpe della propria cattiva gestione del potere… Nel 1991 Flami-nio Piccoli,
ad esempio, denunciò un fantomatico complotto per far fuori il partito dei
cattolici». L’incubo del complotto è stata spesso costante nei periodi di
maggiore crisi politica.
Diversi capitoli invece vengono dedicati agli errori e agli abusi, oltre che
all’incompetenza, della procura di Palmi, la quale aveva iniziato processi
di un certo rilievo, sconvolgendo vari equilibri, per poi alla fine dopo
anni di inter-rogatori e di inchieste, giungere ad un nulla di fatto. Con un
colpo di spugna tutti i teoremi giudiziari vengono cancellati. Dietro, molto
spesso ci stavano interessi politici, tanto che, come viene esaminato nel
capitolo VII dal titolo “La repubblica… era in pericolo?”, alcuni Pubblici
Ministeri si erano intestarditi nel credere che era in atto agli inizi degli
anni ’90 un complotto massonico che avrebbe dovuto effettuare un colpo di
Stato. Il processo va avanti fino a quando la procura di Palmi non si
dichiara “incompetente”. Il risultato era stato un grande sperpero di denaro
pubblico, mentre la giustizia vera aspettava, quasi in una tragicommedia
all’italia-na. Ma qual è stato il ruolo del Partito comunista all’interno
della magistratura? I dirigenti del PCI, quando si resero con-to negli anni
’50 che la Democrazia Cristiana li aveva esclusi dagli apparati di difesa
dello Stato, aggirarono l’ostacolo esortando i propri simpatizzanti a
laurearsi in legge e partecipare ai concorsi per la magistratura. Ne è
seguito che «il PCI alla fine degli anni ’80 è riuscito a raggiungere
l’obiettivo di controllare oltre il 50% della magistratura, soprattutto di
preture e procure… Questi magistrati comunisti si sono distinti nell’ultima
campagna elettorale – scrive Sallustio Salvemini, - avendo ricevuto ed
eseguito disposizioni di screditare il polo delle libertà e del buon governo
con inizia-tive giudiziarie inammissibili in un paese civile e democratico».
I processi penali spesso venivano usati per fini politici.
Negli ultimi capitoli l’autore espone infine gli abusi di “mani pulite”, ma
pure gli schieramenti politici all’interno della magistratura, cosa che ha
portato i «magistrati di partito a costituirsi in un vero e proprio partito
dei magistrati con una politica propria, anche per settori estranei e
lontani da quelli dell’amministrazione della giustizia». Quello che auspica
Salvemini, che cita fonti e si documenta scientificamente, è quindi un
rinnovamento della macchina giudiziaria, perché sia più umana e soprattutto
più equilibrata, anche con la creazione di un organismo giudiziario europeo.
“Bisogna uscire dall’emergenza” viene intitolato il capitolo XI. I
ma-gistrati devono essere più corretti e devono sottostare alla legge. «Le
loro malefatte vere o presunte, infatti, vanno in-contro ad archiviazioni,
assoluzioni o ad inchieste mancate, solo perché pubblici ministeri e giudici
si inquisiscono e si giudicano tra di loro». Ma come se questo non bastasse
«in Italia è di moda da tempo la singolare abitudine di criticare non già
coloro che sbagliano, bensì coloro che rivelano gli errori… Innanzitutto
bisogna che il Governo e il Parlamento provvedano senza indugi a
spoliticizzare l’organo di autogoverno della Magistratura… ed è urgente che
il Governo presenti in Parlamento un disegno di legge in forza del quale i
giudici devianti siano obbligati a risarcire di tasca propria le vittime e
vengano radiati dall’Ordine Giudiziario».
Il saggio di Sallustio Salvemini mette il dito su una piaga cancrenosa, e
vale la pena leggerlo per rendersi conto della dietrologia del potere
politico e giudiziario. |
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