Il ritratto del padre nell’opera di Gianna Manzini


 

Gianna Manzini nasce a Pistoia nel 1896, già adolescente vive a Firenze, città da lei molto amata. Laureata in Letteratura, seguirà il dibattito culturale tra la fine della Prima guerra mondiale e il Fascismo. Il regime le offrirà un premio di incoraggiamento per la sua prima opera “Tempo innamorato”, ma lei rifiuterà per la tragica esperienza paterna. Nel 1933 abbandona il marito e si trasferisce a Roma dove inizia una costruttiva collaborazione con il critico letterario Enrico Falqui. Da alcuni documenti risulta, comunque, che Mussolini abbia ricevuto diversi romanzi con lettere d’accompagnamento da parte della Manzini ed è interessante sapere che il regime descrive così, in modo alquanto arido, la biografia della scrittrice:

«Manzini Gianna, fu Giuseppe e fu Nazzoncini Leonide, nata a Pistoia il 24.3.1989, collaboratrice del giornale “La Gazzetta del popolo” dimora da molti anni a Roma e dal 1°.12.1937 al viale Giulio Cesare n. 71 scala B, int. 18, serbando regolare condotta in genere. È di razza ariana e di religione cattolica. È divisa dal marito Fallaci Bruno, redat-tore del giornale “Il Corriere della sera” e non ha figli. Da molti anni convive in concubinato con Falqui Enrico di Gaetano e di Carlomagno Angelina, nato a Frattamaggiore (Na-poli) il 12.10.1901, pure collaboratore del Giornale “La Gazzetta del Popolo”, il quale è coniugato e vive anche separato dalla moglie. Il padre di costui, Commendatore Fal-qui Gaetano è Questore a riposo e abita in via Cicerone n. 56, La Manzini vive in buone condizioni economiche e, da qualche giorno, si trova a villeggiare a S. Martino di Castrozzo. Al Viale Giulio Cesare 71, occupa con il Falqui, un appartamento di 2 camere ed accessori e paga mensilmente £. 350 di pigione. Tiene la cameriera a nome Mazzoni Rosa di Angelo, nata a Canicossa l’8.10.1889. Tanto la Manzini quanto il Falqui sono iscritti al P.N.F. e non hanno precedenti sfavorevoli. Anche il Falqui serba regolare condotta». 

Il Duce assegna alla Manzini, per il completamento di un lavoro da svolgere, un aiuto mensile di £ 2000 per sei mesi, un aiuto che verrà poi prorogato per altri quattro mesi. Dopo il suo primo romanzo l’Autrice scrive varie raccolte di racconti, tra cui ricordiamo: Incontro col falco, Bosco vivo, Un filo di brezza, Rive remote. Altri romanzi da lei scritti: La sparviera, Lettera all’Editore, ecc. e, vincitore del premio Campiello, il romanzo che rievoca la figura paterna: Ritratto in piedi, scritto nel 1971.

                        

La figura del padre

«La notizia della sua morte giunse con un telegramma: Si seppe così che era mancato improvvisamente, di notte». Con uno stile conciso, chiaro, ricco di riferimenti psicologici, è scritto il romanzo-saggio “Ritratto in piedi” con cui Gianna Manzini vuole, appunto, ricordare il padre: una figura molto amata dall’autrice, ma anche considerata quasi “una vergogna” nel tempo della sua gioventù. Da questo sentimento di rimorso nasce la pietà, mentre la poesia delle sue parole conduce la scrittrice a ricordare i gesti, le azioni, i sentimenti di quest’uomo ed ecco che la persona del padre appare come un esempio che vive tra la verità autobiografica, la storia, la leggenda e il mito da lei creato.

Giuseppe Manzini era anarchico e a Pistoia aveva diretto il giornale “L’Ilota”, foglio di ispirazione socialista-anarchico rivoluzionario. Fu delegato al Congresso di Amsterdam nel 1906. Nel 1884 fu processato con altri anarchici per un manifesto stampato dopo l’arresto di Malatesta. Era un uomo umile, non amava il protagonismo, aveva conosciuto Mussolini quando questi era socialista, ma poi, rifiutatosi di passare ai neri, venne perseguitato, condannato al confino e morì d’infarto a Cutigliano dopo un’imboscata dei fascisti.

Questa “attività” del padre suscita nella famiglia un dolore grandissimo e per le sue idee egli viene ripudiato dal-la famiglia della moglie e costretto a vedere l’unica figlia solo di tanto in tanto e di nascosto. Gianna Manzini vive questo momento con profonda sofferenza anche in seguito alle umiliazioni che è costretta a subire dall’ambiente in cui vive. In questo romanzo lei vuole ritrovare quel rapporto col padre, pur in mezzo al rimorso per averlo lasciato vivere, negli ultimi anni della sua vita, nella più profonda solitudine. Ora il padre vive nel ricordo della coscienza e nella continua ricerca di momenti importanti. Il ricordo si snoda tra descrizioni di ambienti, frammenti di vita ed è un continuo sovrapporsi di ricordi, luoghi e prospettive morali in conflitto.

Tutta la trama del romanzo ricostruisce l’attività di anarchico di Giuseppe Manzini, la sua permanenza in Svizzera e in Spagna, la separazione dalla moglie, l’organizzazione di uno sciopero, l’accusa di tradimento, il domicilio coatto a Porto Ercole, il mestiere di orologiaio, le riunioni, il confino a Pracchia, le persecuzioni dei fascisti ed infine l’imboscata e la morte. Le vicende storiche non intaccano la sobrietà della narrazione e lo stile è vivo, anche pungente.

Perché “Ritratto in piedi? Perché è il ritratto statico del padre, solo, unico e portavoce di un mondo di ideali. Le riflessioni dell’autrice si snodano come in un soliloquio e lei stessa afferma: «In quelle lunghissime e quasi frenetiche giornate, c’era posto e tempo per tutto, senza escludere l’eccitante sorpresa dei flirts, i falò e gli incendi dei primi amori. Ma non c’era posto per te, mio vero, unico orgoglio, mia lezione vivente, mia grazia vivente. Non c’entravi». Anche in queste parole si nota il rimorso per non aver capito e vissuto fino in fondo la vita con il padre. Solo alla fine, dopo aver sviscerato, nei minimi particolari il ricordo, il padre diventa un’unica persona con lei, l’autrice del romanzo.

Nella conclusione del libro si parla della morte del padre e di quel bisogno poco soddisfatto di parlare tra padre e figlia, un bisogno impellente che il tempo, ormai breve, sta per cancellare completamente: «Bisogna che ti dica tutto – dice il padre - non ho più tempo. Ciò che sto per evitare adesso può accadere domani. Non posso lasciarti all’oscuro di tante cose. Devo recuperare il tempo che abbiamo perduto l’uno lontano dall’altra, o, in silenzio, l’uno accanto all’altra». Il romanzo si conclude così: «La mattina dopo, lo troveranno morto. Infarto. Aveva sempre desiderato quella morte. La morte del giusto, diceva».

 

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Testi di riferimento: Agustoni Nadia, L’anarchico di Cutigliano, rivista anarchica, anno 29 n,. 255, giugno 1999. Biografia di Gianna Manzini: Manzini Gianna, “Ritratto in piedi”, Mondadori Milano, 1971; Petrocchi Giorgio, Alla ricerca del padre anarchico, in “Il romanzo italiano del Novecento”, op. cit., pag. 347. Samaritani Fausta, Gianna Manzini vista dal regime”; Viti Gorizio, Il romanzo italiano del Novecento, Casa ed. D’Anna, Messina-Firenze, 1973

 


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