di Luigi Pumpo

Le Anastasiadi di Giuseppe Vetromile

L’occasione di un approccio con la poesia di Giuseppe Vetromile mi fu offerta dalla lettura di una delle sue più vivaci e suggestive sillogi: “Il deserto” (l979). Già allora apparve suadente l’epigrafica incisività e l’icastica immediatezza, singolari caratteristiche peraltro suffragate da una svariante levità di immagini. Da allora un lungo percorso ha caratterizzato l’impegno del poeta, sempre alle prese con una poesia forte, per di più, e carica di proficui spunti per una profonda riflessione sul destino dell’uomo, ma anche puntuale repertorio del nostro tempo così precario e turbinoso. Vetromile non ha mai cercato abbellimenti né ascensioni formalistiche. Ma ha concentrato in un ritmo interiore di sofferta partecipazione esistenziale al dramma di una realtà che stravolge le logiche del cuore in una perenne assenza. Una poesia dunque dall’afflato più che lirico, direi sociale, per quel suo doloroso sostare sulla soglia indecifrabile dell’umana fragilità. Il poeta in questo suo canto - costantemente teso su una linea di. interiore ma misurata rivolta - partecipa totalmente a questa visione dolente delle assenze del cuore, il suo sguardo non si ferma a riflettere o a elucubrare ragioni, ma lascia che il segno imponderabile e denso di interrogativi cruciali si imponga in tutta la sua fenomenica crudezza. Soltanto l’intima spiritualità e la propensione ironica del poeta rendono incruento lo scontro con il reale, reiterando ogni volta una lotta che, sebbene impari, si accresce di senso nel confronto stesso.
In questa “Anastasiadi” (Ed. Bastogi, Foggia 2002) Giuseppe Vetromile continua a perseverare con la struttura poematica dove, come scrive Maria Grazia Lenisa, egli vive una conflittualità tra privato e pubblico, sempre paventando di cadere negli ingranaggi di una vita inautentica. La silloge si orienta in quattro orizzonti più un ultimo che orienta verso sfumate terre di speranza con una poesia dai toni recisi che nella sua pulsante interiorità modula il grido di rivolta in una quieta presenza di speranza con sillabe di cuore. È da una fondamentale visione o tensione vitalistica che nascono que-ste “Anastasiadi” con una disposizione culturale-morale che tende sovente a puntualizzarsi in note di amor vitae: «Ma per valicare il sol / oltre le Indie, occorre altro Dio, / certo diverso da quest’affanno della scienza». Verità e rivolta, rabbia antagonistica costituiscono i poli secondo i quali si organizza e si definisce la ricerca artistico-letteraria di Vetromile, che si segnala fin dall’inizio per un’interessante e coerente origi-nalità di linguaggio. Gli è che la realtà si dimostra tutt’altro che accogliente e pronta a rispondere con concorde disponibilità all’ansia di immedesimazione, alla voglia di possesso pacificante; le cose con la quotidianità infine palesano il loro volto scabro, ruvido, duramente resistente e respingente. Innanzi alla spinta repulsiva del reale l’aspirazione all’armonia vitale spesso si converte nella Pagina del poeta in furia d’estetica, in momenti di rabbia, di rivolta; la passione, non placata e intellettualmente disciplinata, esplode suscitando rivolte di passione: «Giunto a sera immancabilmente sono naufrago. / Raccolgo pochi relitti, un’oncia di terra sacra, / il diario di bordo mai scritto, la fragranza / dei pini marittimi lungo le spiagge, / il ricordo di tentate avventure». Globalmente considerate le pagine di “Anastasiadi” rappresentano l’esempio di una poesia caratterizzata da intima tensione, linguisticamente non uniforme, largamente antiidillica. E non ci sembra di cogliere in quest’opera una discontinuità radicale con i risultati della precedente produzione del Vetromile; la struttura tematico-compositiva del discorso sempre risponde alla logica lineare di un approfondimento sociale e culturale. Così la passione vivace della parola-messaggio si obiettiva in forme sempre più distese e misurate e la tensione eroica può acquietarsi nel contatto rasserenante con la natura, evocata e colta e goduta nel suo equilibrio risanatore, nella sua armonia tonificante: «Questo il mio mondo, la mia terra, utile cuore / nell’ignoto viaggio, mia corona di rosario».