Il Convivio

 

 

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

Antonio Angelone: la commedia a sfondo sociale Tra véglié ‘ssuonn - il canto della civetta (Ed. Il ponte italo-americano, New York 1997)


Il linguaggio dialettale è certo più espressivo e immediato di quanto non lo sia la lingua nazionale. Ecco perché molti autori di teatro preferiscono il dialetto alla lingua. Si tratta certo di un volersi avvicinare alla gente comune, un voler capire i loro problemi e le loro emozioni, un voler esprimere una concezione del tempo scandito lentamente e gustato come il buon vino. Su questa scia va la commedia “Tra véglié ‘ssuonn - il canto della civetta” di Antonio Angelone, autore di teatro di un certo pregio e direttore della rivista “Sentieri molisani”. La commedia pone al centro dell’oggetto la giustizia, una giustizia spicciola com’è nella vita della gente comune. Ed emblematica è l’epigrafe evangelica: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati».

La trama della commedia è semplice. Rosinella, la protagonista, ha strani presentimenti a causa del canto lugubre della civetta. La disgrazia puntualmente si verifica: suo figlio insieme ad altri amici rubano delle fave nell’orto del vicino Capodiferro, il quale vuole essere risarcito, tra lamentele ed imprecazioni, malgrado la povertà della famiglia di Rosinella. Ma ecco che giunge il momento della rivalsa. L’asino del Capodiferro scappa e va a danneggiare l’orto di Rosinella, la quale insieme al marito Paoluccio vuole essere a sua volta risarcita del danno subito. L’incidente offre la possibilità alla protagonista di sfogarsi liberamente, augurandosi un mondo più giusto e senza imbroglioni, un mondo senza offensori e senza offesi, un mondo senza vinti e senza vincitori. Ma in questi due mondi che si scontrano è la filosofia spicciola a prevalere, così come si legge nella chiusa della commedia: «Chéll che ve raccumann – dice Rosinella – è de sctarce sèmb dalungh e darass da chéssa gènd; bon-giorné’ppassa, se vuléte cambà ciènt’iann. E recurdateve ca re migliore desprèzz è la non curanza. Sctéteve buone! (Ciò che vi raccomando è quello di starvene sempre lontano e alla larga da questa gente; buongiorno e via, se volete vivere cent’anni. E ricordatevi che il miglior disprezzo è la noncuranza. Statevi bene!».

La trama semplice della commedia, nasconde comunque molti risvolti psicologici. I personaggi, presentati con molto realismo, sono vivi e veri, e il loro linguaggio è quello quotidiano. La giustizia verrà. La fiducia in Dio porta sempre ad una risposta, che non è vendetta, ma giustizia. Da una semplice trama però scaturisce un intreccio di idee e di pensieri, soprattutto una visione popolana della vita attraverso sfumature politiche di un mondo sociale ormai forse alle spalle, in cui la distinzione fondamentale è quella tra Comunisti e Democristiani, e dall’altra parte il desiderio e la lotta della povera gente per una promozione sociale. La commedia evidenzia bene anche la dialettica all’interno della stessa famiglia: la praticità della donna e il suo senso di progresso di fronte al conservatorismo del marito. Rosinella, infatti, vuole che i propri figli studino per conquistare quel benessere e quella promozione tanto desiderata, d’altra parte invece il marito è convinto che la scuola sia assolutamente inutile, è solo una perdita di tempo. La cosa migliore è andare a lavorare. E quando si sta dalla mattina alla sera in campagna che necessità c’è dell’istruzione? Ma alla fine è l’idea della donna a prevalere.

L’ambiente della commedia è il secondo dopoguerra, tempi difficili per l’Italia sconfitta. E la sconvolgente catastrofe non ha fatto dimenticare, anche nel mondo contadino, il senso di ingiustizia, di cattiveria e di oppressione della dittatura. La gente si confronta sulla realtà, prendendo coscienza di quella libertà appena conquistata e di cui, nel tentativo di superare le barriere di classe, non se ne capisce ancora esattamente il senso. Ma «l’autore stabilisce una certa giustizia storica tramite un vero studio sociologico per l’emancipazione dei contadini molisani ed anche quelli di altre regioni. Ragione per cui possiamo affermare che l’inventiva ed il linguaggio di questa commedia sottendono la lotta contro il dispotismo, la difesa dei poveri, la solidarietà sociale, la ricerca di giustizia, le rivalità paesane, la ribellione contro la classe politica dominante» scrive nell’introduzione Orazio Tanelli, mentre «i personaggi di Angelone pensano ad alta voce, sentono e sognano ad occhi aperti: tutto questo lo fanno in un dialetto ora antico, ora moderno, sempre tuttavia percorso da una vena sapienziale ed umoristica, carica di vita vissuta» aggiunge nella prefazione Francesco D’Episcopo.

Angelo Manitta