Il Convivio

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003


di Fulvio Castellani

 

Giorgina Busca Gernetti: “Ombra della sera” (Ed. Genesi, 2002) – Prima classificata

Con le precedenti raccolte di poesia “Asfodeli” (1998) e “La luna e la memoria” (2000), Giorgina Busca Gernetti si è imposta in importantissimi concorsi letterari, segnalandosi per un percorso lirico dal tratto marcato, nostalgico e unitario. In “Ombra della sera” dà ulteriore prova della sua spiccata capacità di calarsi nel vivo della nuova poesia e di estrapolare dal proprio io un ricco compendio di intonazioni e di essenziali incursioni nel tempo, nei perché dell’umanità, nei valori reali dello stare assieme, dell’amare, del sentirsi in pace con se stessi. È «un canto di libertà», il suo, come ha scritto Sandro Gros - Pietro sul risvolto della copertina, un canto che si sostanzia con contenuti alti, con profili affettivi mai privi di accensioni e di simbologie. La raccolta si sviluppa in sette tempi: Metempsicosi, Ombra della sera, Eros, Elegie sicane, Il canto della terra, Notturno e Thanatos. Ogni tempo racchiude immagini dal calco armonioso e lineare. In “Eros” è l’amore a trionfare. In “Elegie sicane” il suo cantare tocca Siracusa, Agrigento, Selinunte, Segesta, Tindari. Ogni poesia, comunque, è un piccolo-grande mosaico di rintocchi e di parole che racchiudono visioni, elementi per meditare, brividi epocali. E quanta amarezza fuoriesce dai versi dedicati ai bambini afghani: «Occhi senza sorriso, / scuri nel volto triste, / opachi di dolore / succhiato con il latte delle madri / senza sorriso, senza volto». E quanta nostalgia nei versi conclusivi di “Preghiera” «Ti prego, Padre mio celeste, / fammi risvegliare bambina ». Non a caso Giorgina Busca Gernetti viene additata come una delle poetesse più singolari di questo inizio di secolo. E non a caso a occuparsi di lei sono stati, tra gli altri, oltre a Sandro Gros-Pietro, Giorgio Barberi Squarotti, Antonio Piromalli, Silvano Demarchi, Silvia Frigenti, Giovanni Quirini, Lorenza Curatola, Giuliana Matthieu, Angioletta Masiero, Francesco Fiumara, Luciano Nanni, Giuseppina Luongo Bartolini, Antonio Gagliardi.

 

Daniela Pericone, Passo di giaguaro (Il Gabbiano, 2000) – seconda classificata

Poesia asciutta e dalle trasparenze malinconiche, quella che Daniela Pericone dipana e srotola in questa silloge che sembra rovistare nei ricordi e nella realtà per incapsulare “parole di vetro”. O, se preferiamo, parole che riflettono scampoli intensi di luce vivida. Con versi liberi e dall’andamento variato, la poetessa calabrese, che è anche la responsabile della Sezione Poesia dell’Associazione Culturale Anassilaos di Reggio Calabria, si presenta così sul palcoscenico della letteratura contemporanea guardando oltre il perimetro geografico del proprio io: allo scopo di veicolare sensazioni e di mettere sul tappeto un lirismo luminoso in cui le sequenze sceniche ed introspettive giocano un ruolo di primo piano anche a livello di frammento, di sonorità, di incalzante susseguirsi di metafore, di lacerazioni, di accordi esistenziali... È la vita, in pratica, a scandire i ritmi della voce poetica. È l’incertezza del momento che fugge a rendere sofferto ogni passaggio costruttivo e ogni incursione nel sogno. Daniela Pericone conosce assai bene la valenza dell’affabulazione; in tal modo, le sue emozioni partono e si concludono con estrema passionalità sdoppiandosi all’occorrenza e assumendo l’aspetto di un rito sul filo di un’ansia perpetua che, comunque, rivela un’armonia di fondo quanto mai visibile e coinvolgente. «Asprezza e languore, forza e cedimento vestono questo itinerario al femminile che, quasi a colpi d’ascia, affronta il mutamento lessico-esistenziale, assaporando la gioia della metamorfosi», ha scritto in apertura della silloge Maria Festa. Dal lessico “infuocato e vibrante” di Daniela Pericone trasuda, in ogni caso, forza, ricerca di assolutezza, desiderio di «rapire il Tempo / che ha destinato già / quando potrò confondermi / alla folla d’abbracci». Assenze e presenze, giochi d’azzardo e destino, lievitazioni e tracciati ideali... Su questa scacchiera, dal movimento pennellato e moderno, si muove, dunque, la nuova poesia di Daniela Pericone che, pur se all’esordio ufficiale dopo la pubblicazione di alcune liriche su riviste ed antologie, dimostra di poter andare lontano.

 

Monique Trenta, “Mal di Maldive” (Ed. Centro Studi Universum, 2003) – Terza classificata 

Alla sua seconda esperienza poetica, Monique Trenta sfrutta al massimo tutti gli elementi per sognare. E lo fa naturalmente, partendo dall’oasi splendida delle Maldive per poi tuffarsi in toto in braccio al tempo, agli affetti, alle attese, al fluire voluttuoso dei giorni in uno straripare di sentimenti e di consapevolezze. La sua è una poesia moderna, asciutta e fluida al tempo stesso. È una poesia dalle forti e calde immagini, dalle emozioni altalenanti, dalla bellezza interiore palpabilissima. Monique Trenta, ha scritto nella prefazione Valerio Giovanni Ruberto (presidente del Centro Studi Universum) «è proprio come quei luoghi che ci ha descritto: semplice, dolce, irruenta, selvaggia, pura e incontaminata». In effetti, leggendo le varie poesie che danno corpo alla silloge, dall’andamento unitario e voluttuoso, si ha netta l’impressione di trovarci di fronte ad una poetessa dalla carta d’identità ben precisa, maturata a tu per tu con la realtà e ben inserita nel contesto evolutivo della società, sia essa culturale, sia legata al tourbillon esasperante di compromessi e di perdite di identità. Tutto si muove con armonia sulla tavolozza scenica delle “sue” Maldive. Tutto si materializza con un metro scritturale decisamente personale. Vi si notano massime e metafore, situazione improntate al dopo ovvero alla ricerca di una fuga dal presente. Ed un tanto è fin troppo evidente, perché, rifugiandosi nell’oasi delle Maldive, Monique Trenta non ha fatto altro che cercare un elemento nuovo dove rifugiarsi per scrivere en plein air, per sognare ad occhi aperti e per dire che ci vuole «fantasia per vivere, / per credere, / per un’illusione nostra / che a pochi è concessa...». Il libro è completato da una serie di fotografie a colori che ci accompagnano, grazie ai colori caldi ed alle proiezioni di luce, e con il sorriso sulle labbra, in direzione di quel “paradiso” che lei, Monique Trenta, vorrebbe far conoscere anche a noi. A patto che ci soffermiamo un po’ a leggere i suoi voli, le sue carezze poetiche, i suoi passi sulla sabbia soffice, i suoi accattivanti ammiccamenti.