Il Convivio

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

Puccio Corona: una brillante carriera in quaranta parole…

di Adalgisa Biondi


«Fu in quel giornale piccolo, trascurato, considerato dalla proprietà un “male necessario”, che per la prima volta lavorai con Fava. Per me, abituato al tran tran de “La Sicilia”, ministero più che giornale, fu un vero trauma. Là si lottava…». Questo il cappello di un articolo (“Morire di mafia e di solitudine” - I Siciliani‑gennaio 1984) firmato da Puccio Corona in seguito alla morte di Giuseppe Fava. Se proviamo a contare il numero delle parole, ci accorgiamo che si tratta di appena quaranta ologrammi. Soltanto quaranta parole. Puccio Corona si è servito di un numero esiguo per descrivere i propri esordi nel giornalismo, le ansie, le paure, le speranze. Lo ha fatto con l’orgoglio tipico dei siciliani. Noi affrontiamo la vita così. Le cose più importanti si riassumono in poche, incisive frasi. È la nostra sobrietà, ed anche la nostra grecità. Soltanto quaranta segni per conoscere la storia di un catanese che oggi è un personaggio pubblico e un nome prestigioso. Ma noi che ci ritroviamo con emozione a scrivere di questo “maestro” vogliamo uscire fuori dal nostro stesso seminato letterario, ed essere generosi di parole per celebrare questo conterraneo che fuori dall’isola ha esportato il volto migliore della Sicilia. Quella Sicilia che non si arrende all’arroganza e agli intelletti ottusi, e che lotta con le armi della dignità del rispetto. Quella Sicilia di serie A e con la S maiuscola.

Puccio Corona ha scritto la sua storia in quaranta parole. Noi ne vogliamo usare almeno il doppio, per dire che è stato colui che ha inaugurato la fortunata stagione di ‘Unomattina’, e che è stato il creatore, nonché il conduttore per quattro edizioni, del programma “Linea blu”, che ancor oggi vive della rendita e del ricordo del suo conduttore “di diritto”. E non basta. È anche presidente dell’associazione “Mare Amico” che si occupa di ricerca nel campo scientifico e naturalistico, ed a livelli accademici di rilievo internazionale. Puccio Corona è un ambientalista convinto, perché è un siciliano convinto, e quindi “cromosomicamente” ispirato dal bello. Egli crede che nessuna società civile si possa sviluppare su un territorio maltrattato e mortificato dalle brutture del cemento della modernità, talvolta poco accorta del gusto e dell’eleganza. Dietro quaranta parole si cela quindi tutto un mondo. Un mondo amante della natura e di conseguenza amante dell’arte. Lo incontriamo a Roma, in Rai, durante una pausa pre‑riunione per organizzare il telegiornale. Gli chiediamo di conversare un po’ con noi. Diamo in questo modo spazio a chi è davvero “grande”, ed a chi lotta giorno per giorno per fare in modo che possiamo sentirci sempre più orgogliosi d’essere nati nel profondo sud.

 

Puccio, sei stato il creatore di “Linea blu” e sei presidente dell’associazione “Mare Amico”. Evidentemente la natura è una delle tue grandi passioni. In che modo la natura può essere fattore di ispirazione dell’arte?

Sicuramente lo è in modo assoluto. Non c’è nulla, in natura, che non possa diventare fonte di ispirazione. Quando proprio in occasione della trasmissione “Linea blu”, durante le mie peregrinazioni per i mari, è rimasta impressa, nella mia memoria, un’alba vissuta a bordo di un peschereccio, il mare liscio come l’olio, la luce morbida, carezzevole, l’aria profumata attraversata dal volo dei gabbiani… ho sentito il cuore colmo di poesia. Se in quel momento avessi avuto un computer, una macchina da scrivere, un foglio di carta, una penna sicuramente avrei scritto le cose più belle della mia vita.

Quali generi letterari ti piacciono?

La narrativa. Mi piace la trama che si snoda con un ritmo intenso. Mi piacciono i personaggi ben tagliati, lo sviluppo di una storia che mi avvinca e mi “prenda”. Voglio che ciò che leggo mi inchiodi ad una sedia, mi faccia dimenticare di respirare.

Quali autori preferisci? E quali tra quelli siciliani?

Non sarà molto “trend”, ma per quello che ho detto prima, preferisco gli autori americani dell’ultima generazione: i Grisham, i Follet. gli Smith. Ciò non toglie che ogni tanto mi piace tornare ai classici, soprattutto agli autori del verismo siciliano. Verga in testa. Ma ho letto tutto Sciascia, posseggo l’intera collezione dei romanzi di Camilleri, adoravo Giuseppe Fava, quel suo stile sanguigno, quel suo “giornalismo letterario” di grande presa.

Hai mai scritto poesie, racconti, o comunque qualcosa di letterario?

No, purtroppo. Mancanza di coraggio, o di tempo, o di volontà. Non so. Ma so che mi piacerebbe moltissimo, e prima o poi lo farò.

Cosa rappresenta la Sicilia per un siciliano che va via dalla sua isola?

Un mito. Nel senso che, guardata da lontano, la propria terra viene mitizzata ed emergono solo i ricordi migliori. Poi si torna, magari per una lunga vacanza, e si entra in contatto con i lati negativi, visti con occhi diversi da chi là ci vive, con gli occhi di chi ha conosciuto altre realtà. E allora capisci che puoi fare solo una cosa: nel tuo piccolo, contribuire al cambiamento, ed è esattamente quello che ho sempre cercato di fare.

Cosa pensi della letteratura italiana di oggi?

Farei un deciso parallelo con il cinema, perché come il cinema, la letteratura in Italia non riesce ad uscire dalla piccola nicchia dove si è trovata rinchiusa. Non è riuscita cioè ad acquisire una dimensione internazionale. Non so perché. Mancanza di talenti? Non ci credo. Un “sistema” che nel suo complesso non funziona? Probabile. Perché nel nostro paese si legge poco? Anche. Insomma una serie di motivi che sarebbe lungo e complesso approfondire.

Quali sono le difficoltà cui va incontro un giornalista della Rai?

Soprattutto una: sentirsi in una tenaglia, la tenaglia di far parte di un servizio pubblico, che da un lato costituisce una garanzia, dall’altro ti impone soprattutto doveri e una serie di regole rigidissime che in pratica ti impediscono di fare del giornalismo veramente e profondamente libero. E poi l’invadenza del potere politico, che condiziona tutto e tutti.

Quale funzione deve avere l’intellettuale nella società di oggi?

Una funzione di libertà. L’intellettuale dovrebbe essere scevro dal raccordarsi ai più forti poteri politici o economici, e distaccato dalle lobby. Dovrebbe essere profondo conoscitore della realtà e della società di oggi, studiarne frustrazioni e vessazioni, ed imporne la prevenzione alle culture di domani.

Credi che una rivista letteraria possa avere il successo che hanno le riviste d’altro genere?

Certo, una rivista letteraria avrebbe sempre un bacino di utenza limitato, ma è lo stesso discorso che si fa da secoli in televisione, dove si ripete continuamente che “la cultura non paga”. Non è assolutamente cosi. La cultura paga, e come: se si sa fare, se la si sa proporre nel modo giusto. Lo stesso principio va applicato all’editoria. Se una rivista fa cultura “intelligente”, se sa divulgare, se sa semplificare, allora potrebbe tranquillamente attirare tanti lettori.

Grazie, Puccio!