Il Convivio

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

Taxi che passione!

 

Di tassisti ne ho conosciuti tanti. Non so muovermi coi mezzi pubblici quando mi trovo fuori dalla mia città. Loro capiscono subito che non conosci le strade e ti portano in giro fino alla meta, scorrazzando in lungo e in largo con la scusa dei sensi vietati mentre il tassametro, appena ti giri a guardare fuori un monumento o un palazzo di quella città, fa dei balzi numerici manovrato da leve occultate accuratamente. Se non sono torvi e mugugnanti contro questo o quell’altro automobilista, ti intrattengono con chiacchiere (il lavoro va male, i prezzi aumentano, i soldi non bastano, i politici sono ladri e via di seguito), dopo aver sondato da che parte stai così da guadagnarsi la tua stima parando eventuali reazioni alla cifra finale che poi scatterà nel tassametro.

Ne ho incontrati di vecchi e di giovani, scalmanati e prudenti, trasandati o messi bene; qualche volta alla guida ho trovato elementi femminili con la testa perduta nei propri pensieri (la casa, il marito, i figli). Un grande esemplare di questa “specie” ce l’ha fornito Alberto Sordi con la sua splendida interpretazione.

La tipologia è varia e si diversifica adattandosi alla personalità dell’utente. Se poi ti trovi all’estero capiscono se ti sai fare i conti con la loro moneta, turlupinandoti poi in lingua straniera, e al riguardo a Mosca fui costretta a rivolgermi alla “sicurezza” dell’albergo dove arrivai dopo numerose e pretestuose giravolte della città. In estremo oriente sono matti, a New York sono buontemponi e lì, come nella tradizione dei buoni film americani, basta schioccare due dita e il taxi arriva poiché ce n’è una quantità ragguardevole tanto che, visti dall’alto dei grattacieli, sembrano un lungo fiume giallo che scorre lentamente lungo le strade dritte. Certo può capitare che per entrarvi devi fare a spintoni con chi si è nascosto dietro di te, scavalcandoti con un salto da tigre. Ma tanto poi ne arriva subito un altro. Il vero problema sono però gli esemplari galanti: ne ho incontrato un paio veramente particolari.

Il tassista era giovane e con un’espressione intelligente che potei verificare nello specchietto retrovisore, dato che mi aveva fatto salire in macchina senza neanche voltarsi. Andava a passo di lumaca lungo i percorsi contorti e trafficati delle strade di Roma, mentre uno sciopero di chissà quale tipologia lavorativa si articolava lungo i crocevia. Si affiancò un altro taxi che proseguiva con la stessa andatura fino a fermarsi mentre i due autisti, dai finestrini aperti, si misero a dialogare animatamente circa i problemi della loro categoria. Avevano un accento indisponente, come può esserlo quello romanesco, mentre io guardavo impaziente le lancette dei minuti che si susseguivano nel mio orologio contestualmente ai numeri del tassametro che andavano su di giri, nonostante fossimo pressoché fermi. Quando arrivammo a destinazione lui si girò verso di me per prendere il denaro. Ma si bloccò, al punto che sembrava una fotografia e non un tassista dal vivo. Invece di prendere i soldi, mi afferrò per il polso della mano che racchiudeva le banconote, impedendomi di scendere. Cercai di svincolarmi, ma lui mi fece un sorriso così dolce che svanì ogni mia preoccupazione. Si trattava di sapere perché mi tratteneva nel suo taxi. Disse che era rimasto affascinato di me e del mio particolare (ma poi non tanto) abbigliamento elegante. D’altra parte avevo un importante incontro col direttore editoriale di una casa editrice e quindi mi ero lustrata al meglio. Con l’altra mano riuscii ad aprire lo sportello, ma lui lo richiuse. Adesso stava esagerando! Quando vide che mi ero rabbuiata in viso, mollò la presa e mi lasciò libera.

Finalmente scesi dopo aver pagato, ma lui restò fermo nel suo bel taxi bianco a guardarmi con occhi pieni di ammirazione, finché la porta della casa editrice non si aprì inghiottendomi.

Sempre a Roma, altro tassista ancora più ardito del precedente, a un certo punto, dopo avermi adocchiata nello specchietto retrovisore, frenò di botto, si girò verso di me e incominciò a farmi una serie di complimenti. Mi venne da ridere: non sono una “bellezza”, non sono una diva. Cosa volevano questi tassisti da me? Decisi di assumere un’espressione arrabbiata aggiungendo che, se avesse continuato con quell’atteggiamento, sarei scesa dall’auto senza neanche pagarlo. Rimise in moto e lungo il percorso, con linguaggio forbito, mi intrattenne su argomenti che via via pensava potessero interessarmi.

Era di bell’aspetto, colto e ben vestito e, come mi disse, faceva il tassista per pagarsi gli studi universitari (voleva impietosirmi?). Arrivammo a destinazione nell’albergo dove alloggiavo e dove mi aspettava mio marito con degli amici per cenare insieme. Galantemente mi aprì lo sportello, non volle denaro ma mi trattenne la mano con forza. Non riuscendo a districarmi, alzai il tono della voce: si rassegnò all’evidenza del mio rifiuto di andare a cena con lui (!) invece che con chi mi aspettava e, con gentilezza, mollò la presa e mi lasciò libera dopo avermi fatto un antiquato baciamano.

Entrai in albergo e, seduta al tavolo del ristorante, ridendone raccontai a mio marito e agli amici che i tassisti provavano un’insana passione per me. Restarono stupiti, soprattutto le donne; a loro non era mai capitato niente del genere: ero uno spaccone? Avevo sognato? Poi si avvicinò lo chef con un telefono in mano e, con aria discreta, disse che era per me: era lui che era riuscito a farsi dare il mio cognome dal centralinista dell’albergo, dicendo che la signora siciliana che aveva accompagnato lì aveva dimenticato la borsa in auto. Diventai rossa in viso, pazienza per il giudizio degli amici ma cosa avrebbe potuto pensare mio marito? Che avevo una storia col tassista? Chiusi il telefono così avrebbe capito che ero stufa dei suoi corteggiamenti azzardati. Ma l’apparecchio suonò di nuovo nelle mani dello chef che, paziente e ammiccante, ritornò indietro verso di me.

È da allora che non prendo più taxi, mentre il mio portafoglio scoppia di biglietti del tram, del filobus, della metropolitana, dei pedalò, delle carrozzelle e quant’altro è un mezzo di trasporto collettivo nella città di Roma.