Il Convivio

 
 
 
A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

‘A me tèra, ‘a me zènte di Emilio Gallina in una descrizione appassionata della terra trevigiana (Piazza Ed. – Silea Treviso 2002)


 

Il poeta Emilio Gallina è il portavoce più autentico del dialetto trevigiano, attraverso il quale il suo raccontare si fa commovente. Il titolo di questo libro esprime esattamente i suoi contenuti: come un ampio abbraccio affettuoso l’autore descrive la sua terra e la sua gente e lo fa nella lingua dei semplici, il dialetto trevigiano che, come dicono i “foresti”, è musicale per eccellenza. Riporto qui anche le parole del direttore di questa bella rivista, Angelo Manitta il quale, nel recensire un altro libro dialettale di Gallina “Campane par dò”, scrisse: «...io direi che se gli angeli venissero in Italia parlerebbero invece il dialetto veneto perché, a mio avviso, è il più delicato dei dialetti italiani...». Grazie al direttore per queste sue affettuose parole. Gallina dunque, è innamorato della sua terra trevisana e veneta. Qui descrive la bellezza agreste di alcuni luoghi come ad esempio un panorama collinare dolcissimo che circonda il territorio trevigiano. Ma il filo conduttore di questa poesia è il rammarico per i luoghi della memoria, ormai scomparsi, un topos geografico che qui viene ricordato con accorata nostalgia, si vedano “Vècia casa bianca”: «Vècia casa bianca / casa contadina, / col portego grando, ‘a corte, a staea / e ‘na madonèta piturada in te / un balcon postìsso / dove citu?». E ancora Colmèl abandonà e Trattoria con cucina. Poi c’e la città di Treviso: A me cità: «Ghe xe sempre un canàl / un pòrtego amìgo, ‘na bifora, / na vècia pitùra su un muro...». E ancora il verde dei salici che scendono a toccare l’acqua del fiume, i “castegnèri” sulle vecchie mura, i barbacani eleganti che incorniciano le vecchie case. Poi per Gallina c’è “a me zènte” e qui è intesa l’umanità più umile, quella più vera, quella che spesso osserviamo senza vedere ed è in questa sezione che troviamo El vecio del vioìn, L’orto dea Gigia e Barbòn. Tutte figure un po’ a margine della società ma che per la delicata, nobile sensibilità del poeta, trovano almeno qui l’omaggio alla loro bellezza interiore. E vi sono ancora i depositari dei vecchi mestieri e gli amici scomparsi qui evocati con versi struggenti. Una raccolta che, all’intenso afflato lirico, unisce anche una testimonianza sociale del nostro passato.

 

Rina Dal Zilio