Il Convivio

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

Per un manifesto letterario

a cura di Angelo Manitta


 

La letteratura, come ogni arte umana, è soggetta ad evoluzione e ripensamenti, a critiche e dibattiti. Che ci sia una profonda esigenza di dare una svolta all’arte, e quindi che si voglia intraprendere un nuovo corso, è un’idea che ormai corre palese. Il Novecento è stato forse il secolo dei manifesti letterari e della voglia estrema di cambiare. Oggi l’idea di un manifesto atterrisce: si potrebbe perdere la propria libertà. Ma è vero? «Un manifesto oggi?» si chiede Elsa Emmy. «Ogni tanto qualche gruppo di artisti o di poeti ci prova, ma resta lettera morta su carta patinata. Ciò perché ormai la società tecnologica ci ha fagocitati, siamo diventati individualisti sfrenati, ormai forgiati sul modello della competitività mercantile. Credevamo che la democrazia ci avrebbe dato spazi operativi ma questi, una volta occupati da tutti, cioè da chiunque, si sono rivelati angusti e dissennati, producendo subcultura. Non è vero che siamo tutti poeti, pittori, musicisti e quant’altro... Né possiamo più tornare indietro a modelli elitari».

Le verissime parole di Elsa Emmy, lasciano però intuire che c’è una profonda esigenza di dibattito, un volere confrontarsi con la realtà in cui viviamo: la realtà tecnologica. Se Marinetti all’inizio del secolo scorso elogiava la macchina e quindi il progresso, oggi bisogna confrontarsi non più con la macchina, ma con l’intelligenza artificiale, cioè con ciò che di più sofisticato l’uomo ha saputo creare, nel tentativo di non perdere la propria libertà, in realtà ormai persa nell’anonimato della creazione. L’individuo da solo non ha voce. «Un manifesto – scrive Rolando Tani - è simile ad un proclama che diventa legge, togliendo e vagliando la libertà di concedere e quelle da escludere, idoneo solo politicamente e religiosamente per i loro tabù e permissività... La letteratura, come le altre arti, ha libertà illimitate, nei modi, nei tempi e negli stili, con variegate teorie e gusti, per i quali è impensabile redigerlo anche attraverso espressioni essenziali, evidenziando così una serie di ventilati compromessi, utile nella loro scelta ad essere snobbati... Sincretismo ed anacronismo sono le micce che farebbero incendiare ed incenerire l’iniziativa di un manifesto».

Ma un manifesto oggi a cosa deve volgere? Deve attenzionare l’aspetto sociale? La giovane scrittrice argentina Clara Lourdes Bango ci dice che i giovani argentini sono sfiduciati, la letteratura per loro non ha senso, è quasi vergognoso scrivere: quel che conta è l’aspetto economico. «En estos momentos, muchos jóvenes parecen tener vergüenza de admitir que les gusta escribir. Cuanto más en serio se toman esta actividad, más les pesa, como si estuvieran haciendo algo malo. En un país donde lo políticamente correcto es estudiar Administración de Empresas y pasar los fines de semana haciendo equitación en el campo; escribir un poema con una taza de café barato en la mano parece un insulto a la “jai sosaieti” que ya no existe pero que remite a todos los corruptos que se robaron el país. Los que se mantuvieron honestos, a veces se preguntan si hicieron bien y, ante la duda, salen a venerar el dinero y todo aquello que los pueda acercar a él: lo útil, lo inmediato, lo lindo. El brillo y el glamour, como en Hollywood. Es entonces cuando este manifiesto de literatura joven argentina se convierte en un llamado a todos los escritores que ahora están pasando frío en un bar de estudiantes, con una edición de cinco pesos de un libro de Borges. A los que están hartos de tener que ser los top, a quienes se cansaron de tenerle miedo al hambre, yo les digo: Escriban, jóvenes. Escriban».

Dall’altra parte la giovane Angela Aragona ribatte: «Ritengo che la prima cosa a cui dobbiamo fare riferimento è la realtà dei fatti, quella attuale, quella nostra. La poesia è preminentemente specchio dell’animo umano, è sintesi compiuta e perfetta della reale condizione esterna per mezzo dell’interiorizzazione di questa da parte dell’individuo che affronta il destino della sua vita in ogni minimo istante... La poesia oggi rende se stessa una forma di denuncia, diviene sempre più frutto della consapevolezza del cambiamento repentino di ogni cosa che ci circonda. No... non siamo espressione di una certezza storica, di una periodizzazione certa degli eventi, in un’epoca dove non c’è certezza nemmeno per quei valori per i quali fino a qualche tempo fa avremmo sacrificato la nostra vita, non stiamo qui da narratori, ma da tragici... Abbiamo inquietudini e furori da tragedia greca, assistiamo immemori alle tragedie quotidiane, così disposti a dimenticare... In fondo cosa possiamo perdere più di quello che già perdiamo: frammenti d’identità?... Ma i giovani sono voci di disincanto, sono penetrati da violenze fisiche, psichiche, visive... Non si crede più all’amena terra promessa... Le nostre storie sono state violentate dal conformismo... Come genere letterario ritengo sia interessante il prosimetro... e sarebbe una sfida appetibile cercare di rendere poesia la prosa e la prosa poesia... Il poeta è un po’ pittore, un po’ musicista, calibra il ritmo, diluisce i colori, ama per primo le immagini che crea... perché anche una lattina di birra vuota che rotola lungo una strada diventi veicolo d’emozioni... Siamo pittori di sculture, chissà o forse d’anime. Il colore della nostra anima è il colore di ciò che viviamo».

«Infatti - aggiunge la giovane Elvira Sessa - nell’era della comunicazioni di massa, credo che il poeta debba sforzarsi di stabilire ponti con il lettore e non rinchiudersi in torri d’avorio, che spesso nascono da atteggiamenti narcisisti o, semplicemente, dalla sfiducia nella possibilità di esser compresi dalla società... Inoltre, sono convinta che tra i compiti della poesia contemporanea ci sia quello di proporre valori (amicizia, amore, fedeltà, rispetto dell’uomo…) il che non significa far moralismo ma, più semplicemente, lanciare messaggi e spunti di riflessione per combattere il relativismo dominante».

Concludiamo questo dibattito con le parole di Ferruccio Gemmellaro, d’altra parte già autore e cofirmatario di un manifesto letterario, l’Omologismo: «Ogni uomo tende a manifestare la cultura che possiede - che definiamo IO - sia per se stesso sia confrontandosi con il prossimo: essa è il risultato dell’educazione palese - che definiamo ID – ricevuta sin dalla nascita, in famiglia, a scuola, dalla società - morale, fede, costumi, tradizioni... - dall’ambiente, dalle condizioni ed altro in cui cresce e matura».