Il Convivio

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

Turi Marchese, La strata di la Cruci, (Paternò, dicembre 2002)

 

La poesia dialettale, di ogni dialetto, rispetto alla poesia in lingua è sempre più viva ed affascinante, anche perché esprime in maniera popolare e con molto realismo idee, sentimenti, osservazioni. In poche parole il poeta si avvicina alla gente comune, facendo suoi i sentimenti altrui e rispecchiando la coralità degli uomini. “La strata di la cruci” di Turi Marchese, esposta nella aggraziata parlata catanese, va su questa scia. L’autore con molto realismo e vivacità si avvicina alla gente, proprio come un cantastorie, e riesce ad affascinarla attraverso un tema che, benché trito e ritrito, viene trattato con originalità, sapendo bene rappresentare il dolore umano e la fatica dell’esistere, in personaggi come Gesù, la Madonna, le pie Donne. Pieno di emozione è l’incontro di Gesù con la madre. «A denti stritti e la faccia tirata / si metti addritta ccu na gran furzata / ppi ripigghiari prestu lu caminu / e chiùmpiri accussì lu so distinu. / Ma già lu passu si fa cchiù pisanti... / na fimminedda cci veni davanti... / è la Beddamatri addulurata, / ca lu varda ciancennu... svinturata». La scena piena di pathos, è solo un piccolo saggio dell’intera opera di Turi Marchese che ha saputo fondere fede, religiosità popolare e sentimenti, riuscendo a darci della vera poesia. Mentre la terra trema e si veste di lutto, «ogni debole uomo di volta in volta sarà colui che condanna, che si sacrifica, che cade, che aiuta, che asciuga le lacrime altrui e che consola,che agisce con sopraffazione e che uccide, che perdona, che muore e che gioisce con il Risorto nella speranza dell’immortalità futura» scrive padre Domenico Evola nella prefazione. «”La strata di la cruci”, composta in versi rimati e musicata da Turi Marchese, ad una prima lettura ci trasferisce in una qualunque piazzetta di paese in mezzo ad una folla, più o meno nitrita, che sta in quell’atteggiamento tipico di ascolto attento e curioso, attorno ad un cantastorie del passato». Ed il linguaggio di Turi Marchese è appunto avvincente come quello di un cantastorie. Il volumetto, costituito da quindici liriche di cinque quartine ciascuna, che rappresentano le quindici stazioni, più una lirica di presentazione, è un percorso ideale: quello dell’uomo che attraverso la sofferenza giunge alla salvezza: la morte è passaggio obbligato per la resurrezione. Ed in effetti la quindicesima stazione, che raffigura la Resurrezione di Cristo, è appunto la novità di questa via crucis che non si risolve con la deposizione di Gesù nel sepolcro, bensì con la conquista della vita in senso reale e metaforico.

 

                Angelo Manitta