Il Convivio

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

Giovanni Minutoli, una poesia tutta interiore in Compendio alla follia, poesie e favole per l’assurdità della vita (Ed. Metem, Messina 2003)

 

“Encomion morias seu laus stultitiae” è il singolare titolo di una delle opere più note di Erasmo da Rotterdam. Il saggio vuole mettere in evidenza che ogni uomo è sempre un po’ folle. Folle è il filosofo, folle l’artigiano, folle il commerciante, folle è anche il poeta, e folle è persino Dio dal momento in cui ha voluto creare l’uomo pur sapendo che poi si sarebbe ribellato a lui. Il tema della follia è certamente caro alla letteratura fin dall’antichità. Folli sono personaggi come Ulisse o Orlando, l’Enrico IV di Pirandello o Edipo. E Giovanni Minutoli, giovane poeta messinese, ha voluto fare della follia l’oggetto della sua silloge di poesie, dal titolo appunto “Compendio alla follia – Poesie e favole per l’assurdità della vita”. La follia permette al poeta di penetrare una varia gamma di situazioni, di impressioni e di emozioni. «La follia è insania sanguinaria o totale privazione della razionalità e sopraggiunge, nel suo stato acuto a posteriori, al momento della consapevolezza dell’ormai compiuto» scrive nella prefazione Angela Saya. Lo stesso autore già a partire della prima lirica evidenzia il pregio e il valore letterario della follia e il ‘folle’ se ne rende conto. Infatti «guardandosi le mani vide che erano vuote... / solo allora capì il pregio che esse contenevano». In questa ricerca interiore, da una parte l’uomo scopre se stesso e contemporaneamente gli altri, d’altra parte il sapiente scopre le realtà esistenziali dell’umanità intera. Se si volesse trovare una linea di demarcazione tra saggezza e follia, forse è impossibile trovarla, forse per quella ‘coincidentia oppositorum’ propria della filosofia medievale. La follia, infatti, molto spesso coincide con la saggezza, tanto avulse sono l’una e l’altra alla realtà umana, ma nello stesso tempo così tanto insite. E quando il folle fa una scoperta dimentica la sua pazzia, dimentica la realtà contingente e scopre la felicità. Ognuno ha diritto alla felicità e più di tutti il folle, il quale contraddittoriamente forse non ne ha coscienza, mentre il saggio si. La nostalgia e la tristezza, il dolore e l’apatia, la paura e la ricerca sono i concetti dominanti della poesia di Giovanni Minutoli, osservate attraverso il filtro della follia. La stessa silloge è divisa in tre parti: che rispecchiano più o meno le tematiche essenziali: “Tra vita e follia” la prima, “Il Dio dei folli” la seconda, “Favole folli” la terza. Ed è proprio nell’ultima parte che attraverso la favola ed il linguaggio metaforico, vengono trattati anche temi di fondamentale importanza, come il tempo e il suo scorrere, la saggezza, la viltà o l’amicizia. Una delle paure più ataviche è il buio. Ma il buio (si veda l’omonima poesia) ha un valore simbolico: è la paura di se stessi e quella di affrontare il mondo. Il buio porta al caos, alla visione errata della realtà, tanto che l’uomo riesce a piangere per la «falsità del sole». In questa ricerca interiore, un aspetto essenziale ha la divinità. Si tratta di una divinità pagana, ma puramente spirituale e panica, tanto che «la tua estinzione sarà chiesta alle divinità / verrai giudicata, incarcerata, flagellata, / perderai i privilegi che spettano a chi è giusto nei costumi». La poesia di Giovanni Minutoli corre proprio su questa scia: la follia e il delirio che portano alla rigenerazione personale e umana del pensiero, quale elemento coordinatore del sentimento.

 

 

                Angelo Manitta