- La figura del padre che muore e che
lascia dietro di sé un mondo a volte tormentato è il concetto essenziale
delle liriche di Ernesto Papandrea. Il Poeta ripercorre con grande
maestria, alcuni momenti di vita nel ricordo e si accorge che il passare
del tempo porta con sé amarezze, qualche senso di colpa e momenti vissuti
col sentimento e col cuore. L’immagine del padre è pervasa di tenerezza ed
è evidente il desiderio del Poeta di farlo vivere ancora: “L’anima rinasce
a vita nuova nell’eterno”. C’è una speranza di un mondo infinito? Ora il
padre rivive nell’animo del poeta il quale affonda i suoi pensieri nel
tempo, un tempo inteso come memoria, come qualcosa che passa velocemente,
un tempo che a volte diventa “divino”. Ma ciò che colpisce di più dalla
lettura delle liriche è quel desiderio di speranza, di apertura e ciò si
nota nelle ultime righe di ogni lirica: è un voler percorrere spazi nuovi,
“entrare nei sogni”, come un ritorno verso l’infanzia con “gli aquiloni”,
oppure “ritornare a camminare / così! Adagio”, spesso basta “un frullare
di ali” per farlo sognare. A volte il Poeta vuole farsi trascinare dalla
stessa poesia. “E vado fin dove la vita diventa poesia”. Altre volte si
pone l’interrogativo sulla vita stessa: “Dove conduce / questa mesta vita?
/ Spiegamelo non so / e ho bisogno di luce / per squarciar tenebre / che
s’annidano dentro / quest’anima immiserita”.
L’immaginazione può vincere la morte del padre e in tal caso il padre
stesso potrà essere immaginato dal poeta come un albero rinato: “Si
accendono in me / della commozioni, / lo immagino albero / che rinasce /
coi suoi polloni”. L’albero, infatti, è il simbolo della vita e non a caso
si protende verso l’alto, verso il cielo. I momenti di tristezza nelle
liriche sono dunque intervallati dal desiderio di speranza e dai ricordi e
questi due aspetti permeano tutta l’opera di un alone sentimentale. “…E il
futuro cosa riserba/non mi è dato sapere, / ma devo sperare”. È
nell’ultima lirica che si raggiunge la conclusione finale del mondo, della
vita, è questo il momento in cui si capisce il senso della vita stessa:
“Chi sei? Chi sono? Ti rivedrò al cimitero, / mi vedrai più vero, / uomo
del perdono”. Il perdono, dunque, è alla base di tutta l’umanità ed è il
legame che ci unisce anche ad un mondo diverso e ci fa dimenticare i
brutti ricordi, le “grinfie” del passato e i momenti di dolore, è esso
stesso una speranza. Anche nella lirica precedente ritroviamo la speranza:
“Il Signore veglia sul tuo sonno, / quelle lacrime sono perle di sorriso /
di vita che continua oltre la morte, / e ho davanti la vision del
Paradiso”.
Le rime sono chiare, ben strutturate, ricche di metafore e sono
accattivanti nella lettura. Non si ha la voglia di fermarsi, perché si
desidera proseguire il cammino artistico insieme al poeta per capire fino
in fondo la sua personalità. In conclusione, facendo anche riferimento a
tutta la produzione poetica di Ernesto Papandrea, una produzione ricca e
profonda nelle tematiche, mi sembra doveroso fare un augurio a questo
Poeta, affinché le sue opere vengano sempre più apprezzate da un vasto
pubblico. Sono opere animate da un profondo sentimento e da un alto valore
etico. Costituiscono soprattutto un insegnamento in questa società dove a
volte si perdono i valori principali della vita.
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