Il Convivio

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

Fili di memoria sospese, una bella favola d’amore di Tita Paternostro

Una favola. Una bella favola. Una bella favola d’amore. Una bella favola d’amore a lieto fine. Avvincente. Vibrante. Commovente. A patto che ci si abbandoni, che ciascuno di noi lettori abneghi per un pomeriggio, o una mattinata se preferite, se stesso e sia Tita, se donna, ovvero Enzo, se viceversa uomo. Lo sia; lo sia realmente, senza riserve, con tutto il proprio essere. Altrimenti, se avete seppellito le fiabe nel giardino della vostra infanzia, se vi considerate ormai troppo adulti per le storie d’amore - quelle a lieto fine, poi, che strazio! -, se di questi tempi nel vostro quotidiano non v’è più spazio per il “cuore”… beh, allora, non sarete certo dei nostri. No, non sfogliate ancora il libro! Tita ed Enzo, in copertina, ci stanno guardando. Si stanno presentando a noi sorridenti, fiduciosi. Ci stanno trasmettendo l’emblema della radiosità, della felicità, dell’unione. Ecco, dell’unione. Osservate, al centro e in basso: Enzo appoggia a sé Tita e la stringe, delicatamente. Ebbene questa icona, che, è ovvio, risale a parecchi lustri or sono, è quanto mai attuale per loro, viva, reale. Amore, possiamo dunque convintamente affermare. Certo, amore. Ma un amore – come tradizione comanda - dagli altri osteggiato agli inizi, conquistato quindi a fatica in virtù della imperterrita loro risolutezza e, non sembri banale il sottolinearlo, nutrito giorno dopo giorno dopo giorno; per tutta la vita.
La “favola”, difatti, non tarda a profilarsi di contenuti, ad indossare i panni della realtà, ad addensarsi di accadimenti; di quegli accadimenti che, nel loro perpetuo indistinto reiterarsi, contribuiscono a determinare per ciascuno di noi nella sua individualità, quell’unica, singolare, irripetibile, straordinaria vicenda umana che è la vita. Tutti noi, per lo più, riteniamo la nostra storia, la custodiamo gelosi nel recondito nostro intimo, ne facciamo tesoro esclusivo, dei cui ricordi compiacersi, magari, nel tempo. Tita (ci perdonerà l’Autrice il tono proditoriamente confidenziale, ma, dopo avere appreso “tutto” di lei dalla sua stessa penna, abbiamo quasi la sensazione di esserle di famiglia) ha creduto bene invece parteciparci la sua, lasciarne testimonianza, renderla patrimonio comune. Ecco allora la scrittura, il libro; il labirinto della memoria, come la stessa Tita lo definisce nella nota introduttiva. Tra le pagine di questo, nei meandri delle tragiche vicende storiche che nel suo sottofondo si snodano, dagli Anni Trenta del secolo scorso fino quasi ai nostri giorni, parecchi di noi potranno, accanto a loro, pur con accenti diversi, riconoscersi e avranno modo di rie-vocarsi, protagonisti o comparse, in quell’Italia segnata da stravolgimenti sociali, storici, politici ed economici, epocali.
Non vogliamo anticipare alcunché della narrazione e tuttavia, a solo scopo esemplificativo, menzioniamo l’episodio delle cancellate e delle fedi, la simbiosi tra l’avanzamento economico-sociale e il crescere della cilindrata dell’automobile, le minuziose descrizioni dei luoghi mete delle numerose peregrinazioni. Compaiono nel corpo del racconto altri personaggi, ma, nessuno toglie la ribalta a Tita ed Enzo. Sono loro, e solo loro, i protagonisti assoluti di questo libro, l’asse portante di tutto il volume; loro e il loro tenero, passionale, eterno, realizzato, sogno d’Amore. La schiettezza, la femminilità, la sicilianità che pervadono l’intera opera e il trasporto verso la letteratura, la musica, il teatro, concorrono peraltro a definire con puntualità lo sfaccettato mo-saico di Tita e della sua terrena esperienza. Basta! Lasciamo, adesso, che siano i lettori a cogliere, di volta in volta, questi e ben altri tratti significativi del lavoro.
MarcoScalabrino