- Una favola. Una bella favola. Una bella
favola d’amore. Una bella favola d’amore a lieto fine. Avvincente.
Vibrante. Commovente. A patto che ci si abbandoni, che ciascuno di noi
lettori abneghi per un pomeriggio, o una mattinata se preferite, se stesso
e sia Tita, se donna, ovvero Enzo, se viceversa uomo. Lo sia; lo sia
realmente, senza riserve, con tutto il proprio essere. Altrimenti, se
avete seppellito le fiabe nel giardino della vostra infanzia, se vi
considerate ormai troppo adulti per le storie d’amore - quelle a lieto
fine, poi, che strazio! -, se di questi tempi nel vostro quotidiano non
v’è più spazio per il “cuore”… beh, allora, non sarete certo dei nostri.
No, non sfogliate ancora il libro! Tita ed Enzo, in copertina, ci stanno
guardando. Si stanno presentando a noi sorridenti, fiduciosi. Ci stanno
trasmettendo l’emblema della radiosità, della felicità, dell’unione. Ecco,
dell’unione. Osservate, al centro e in basso: Enzo appoggia a sé Tita e la
stringe, delicatamente. Ebbene questa icona, che, è ovvio, risale a
parecchi lustri or sono, è quanto mai attuale per loro, viva, reale.
Amore, possiamo dunque convintamente affermare. Certo, amore. Ma un amore
– come tradizione comanda - dagli altri osteggiato agli inizi, conquistato
quindi a fatica in virtù della imperterrita loro risolutezza e, non sembri
banale il sottolinearlo, nutrito giorno dopo giorno dopo giorno; per tutta
la vita.
La “favola”, difatti, non tarda a profilarsi di contenuti, ad indossare i
panni della realtà, ad addensarsi di accadimenti; di quegli accadimenti
che, nel loro perpetuo indistinto reiterarsi, contribuiscono a determinare
per ciascuno di noi nella sua individualità, quell’unica, singolare,
irripetibile, straordinaria vicenda umana che è la vita. Tutti noi, per lo
più, riteniamo la nostra storia, la custodiamo gelosi nel recondito nostro
intimo, ne facciamo tesoro esclusivo, dei cui ricordi compiacersi, magari,
nel tempo. Tita (ci perdonerà l’Autrice il tono proditoriamente
confidenziale, ma, dopo avere appreso “tutto” di lei dalla sua stessa
penna, abbiamo quasi la sensazione di esserle di famiglia) ha creduto bene
invece parteciparci la sua, lasciarne testimonianza, renderla patrimonio
comune. Ecco allora la scrittura, il libro; il labirinto della memoria,
come la stessa Tita lo definisce nella nota introduttiva. Tra le pagine di
questo, nei meandri delle tragiche vicende storiche che nel suo sottofondo
si snodano, dagli Anni Trenta del secolo scorso fino quasi ai nostri
giorni, parecchi di noi potranno, accanto a loro, pur con accenti diversi,
riconoscersi e avranno modo di rie-vocarsi, protagonisti o comparse, in
quell’Italia segnata da stravolgimenti sociali, storici, politici ed
economici, epocali.
Non vogliamo anticipare alcunché della narrazione e tuttavia, a solo scopo
esemplificativo, menzioniamo l’episodio delle cancellate e delle fedi, la
simbiosi tra l’avanzamento economico-sociale e il crescere della
cilindrata dell’automobile, le minuziose descrizioni dei luoghi mete delle
numerose peregrinazioni. Compaiono nel corpo del racconto altri
personaggi, ma, nessuno toglie la ribalta a Tita ed Enzo. Sono loro, e
solo loro, i protagonisti assoluti di questo libro, l’asse portante di
tutto il volume; loro e il loro tenero, passionale, eterno, realizzato,
sogno d’Amore. La schiettezza, la femminilità, la sicilianità che
pervadono l’intera opera e il trasporto verso la letteratura, la musica,
il teatro, concorrono peraltro a definire con puntualità lo sfaccettato
mo-saico di Tita e della sua terrena esperienza. Basta! Lasciamo, adesso,
che siano i lettori a cogliere, di volta in volta, questi e ben altri
tratti significativi del lavoro.
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