Il Convivio

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

Tempu, palori aschi e maravigghi, poesie siciliane proiettate in Europa, di Marco Scalabrino (Ed. Federico, Palermo 2002)

Scrivere poesie in dialetto siciliano è stato per secoli molto limitativo ed indice di provincialismo. Oggi, in un mondo in cui si guarda verso la globalizzazione, potrebbe sembrare che i dialetti tendano a scomparire. Al contrario invece, a mio avviso, stanno acquisendo una maggiore vitalità e mirano ad assurgere a vere e proprie lingue regionali. E dignità di lingua al dialetto siciliano è riuscito a dare Marco Scalabrino, che giunge a tale scelta dopo meditata riflessione. Il riferimento è alla sua ultima pubblicazione “Tempu palori aschi e maravigghi”, volume che contiene 25 liriche in dialetto siciliano. Ma la novità consiste nel fatto che le liriche sono anche tradotte nelle maggiori lingue europee: inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese, e persino nella ‘morta’, ma sempre viva, lingua latina. Il plurilinguismo della silloge è azzeccato. La poesia di Marco Scalabrino, non vuole rimanere nel locale, ma essere europea, ed europea è sia nella forma che nel contenuto. Questo procedimento però, che non è puramente linguistico, porta ad una nuova concezione del rapporto comunicativo. A parte la novità formale, la poesia di Marco Scalabrino presenta una novità sostanziale: il dialetto non viene utilizzato per esprimere concetti tradizionali, ma evidenzia con peculiarità espressiva emozioni e sentimenti, meraviglia ed estasi, come appropriatamente scrive nella prefazione Flora Restivo Gugurullo: «Stupisce e incanta anche chi non conosce a fondo le lingue, tanto la perfetta adesione ai testi, quanto la suggestiva riproduzione delle atmosfere, dei sentimenti, degli ideali, segni tangibili di un compito assolto con amore e per amore di quelle poesie capaci di colpire come frecce, ma anche pervase da una dolcezza sotterranea, da una malinconia sottile, da un pianto che non si vede, dallo schiudersi e chiudersi di un’anima sensibile, tenera e rocciosa nello stesso tempo, a volte umbratile, che vive, sogna, fantastica, osserva, discute e si discute con brevità e semplicità...». Se la poesia di Marco Scalabrino è questa, è tutto un mondo che si apre attraverso le sue liriche, un mondo scandito dal tempo, un mondo in cui si possa quasi comprare e vendere il tempo, così come afferma la massima della prima poesia: «Accattu e vinnu tempu / tempu vecchiu». Il tempo è però amalgamato dalle parole. La parola è elemento comunicativo, e per essere comunicativo deve avvicinarsi alla realtà. La parola dà libertà, e la libertà è storia: storia dell’uomo e delle sue idee, delle sue emozioni e delle sue aspirazioni. I versi brevi grondano di vita e offrono pause di sospensione musicale, mentre l’utilizzo della lingua siciliana non appare retorico, ma vivo e sentito. Bellissima la lirica, nella sua semplicità, dal titolo  “Siddharta” (il richiamo è ovviamente ad Herman Hesse come si evidenzia dal sottotitolo), in cui si canta: «Respiru / lu ciumi / chi scinni / eternu / e ascutu / sirenu / li soi / milli / vuci. // Sgriciu / la pirfizioni». E calzante è la traduzione latina: «Expiro / amnem / qui perennis / defluit / et quietus / meas aures / praebeo / ad eius / innumerabiles / voces. // Attingo / breviter / absolutum».

Angelo Manitta