Il Convivio

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

Il solitario Beethoven
di Giovanni Tavčar

Beethoven è un solitario, e come solitario ha avuto modo di approfondire smisuratamente la sua coscienza del mondo e ha potuto così chiarire la sua personale ragione di esistere, di vivere, di operare. Ed uno stato proprio un movente d’ordine fisico la vera causa di questo suo approfondimento: la sordità! La sordità ha contribuito in modo determinante a plasmare l’uomo Beethoven in quell’immenso artista che noi oggi conosciamo. Senza l’ostacolo di questo straziante difetto fisico, Beethoven sarebbe presumibilmente diventato solo uno dei tanti, seppur grandi, musicisti della sua epoca, e nulla più. Proprio con il sorgere della sordità, il vincolo stretto e amoroso che legava Beethoven alla società del suo tempo subisce un duro e mortale colpo. Alla sua natura di uomo sensibile viene inferta improvvisamente una lacerante ferita, che lo porta, passo dopo passo, a una scelta angosciosa: recidere volontariamente il filo che anima la sua esistenza, oppure continuare a vivere in quello stato deprimente e degradante? Egli scelse, dopo un terribile momento di smarrimento, il senso della vita. E la scelta lo spinse inesorabilmente a chiudersi in se stesso, ad interiorizzarsi, a volgere le spalle alla società umana e alle sue convenzioni. L’indomabile e ferrea forza di volontà, ingigantita dalla tremenda prova, fece sì, che la sua anima si aprisse sempre più pienamente alla vita spirituale. Gli si dischiusero allora mondi immensi, orizzonti sconfinati, mete insondate. Il dramma intimo e il dolore che vi si sprigionava assursero nell’artista ad un’ampiezza universale. Più la carne veniva martirizzata, più le sue sofferenze fisiche e morali diventavano acute e spesso insopportabili, più l’uomo diventa irascibile e intrattabile.

Di contrappeso però la sua anima, provata e purificata, s’innestava sull’onda sonora che fluisce nelle fibre più intime e riposte del Creato. Nella corrente sonora, incanalata da Beethoven, noi troviamo una specie di fierezza della nostra desolazione umana, una consolazione attiva delle nostre debolezze, una coscienza rinnovata e irrobustita dei nostri traguardi. Ecco perché sentiamo irresistibile in noi il bisogno di dissetarci a questa fonte nei momenti più dolorosi e cruciali della nostra esistenza e di attingervi, nello stesso tempo, una coscienza spirituale più alta e rivelatrice. L’abbraccio spirituale, nel quale Beethoven ci stringe, riesce a contenere tutti i nostri dolori, le nostre sofferenze, le nostre aspirazioni. Le nostre lotte personali si sentono in lui ingigantite, potenziate, esaltate, scoprendo nel contempo la loro utilità d’essere e di esistere. Al musicista Beethoven fu certo negata la facilità di sintesi, che invece abbondava in Schubert. Per conquistarsela egli dovette lottare duramente. L’idea musicale che sorgeva in lui doveva passare, faticosamente, attraverso diverse versioni, prima di giungere vittoriosa alla forma definitiva. Il suo banco di lavoro era l’abbozzo, sul quale doveva poi faticare a plasmare, a tagliare, a correggere, ad aggiungere e a limare, in un atteggiamento impetuoso e nervoso, mentre la tensione gli sconvolgeva l’anima, cosciente e dolorante.

In Beethoven la musica è la mediatrice tra la natura, intesa come la creazione, e l’animo umano. Voce che rivela l’armonia segreta del creato e che esprime l’infinito nel temporale. La musica, come espressione diretta dei sentimenti, si deve a una sacralità, nella quale il dramma umano sembra confondersi con il dramma divino. «Lo spirito - dice Beethoven - aspira all’universalità, e raggiunge, nell’atto creativo, una grande beatitudine, la pace di tutte le paci». La musica assume, per Beethoven, un’alta funzione unificatrice, già riconosciuta all’arte in genere, e il suo messaggio e la diretta manifestazione dell’essere. «L’arte - continua Beethoven - rappresenta sempre il divino e il rapporto con l’arte e religione». Dice di lui il fido Schindler: «Egli riconosceva chiaramente Dio nell’universo e l’universo in Dio». Beethoven dunque, al contrario di Schubert, prima ancora di essere un musicista, è un pensatore, un filosofo, un teologo.

Dal pensiero la musica trae, sempre secondo Beethoven, un più profondo significato, un più universale sentire, permettendoci di intravedere in essa il segreto della creazione divina, l’essenza spirituale della bellezza. Beethoven è poi uno studioso entusiasta della storia. Penetrare nella storia è per lui un modo per intendere il divenire dell’uomo, la sua superiore finalità. Egli è infine un’altra figura morale che grandeggia sulla società che lo attornia e che è stimolo al suo operare. Pur dovendosene allontanare, a causa della sordità, egli, dal suo volontario isolamento, si interessa di tutto ed è informato su tutto. Proteso verso il futuro di libertà e di giustizia (in questo simile a Schubert), egli crede nel compimento dell’umana avventura in un modo soprannaturale. Alla mancanza di forma, latente nello spirito romantico, egli oppone una forma salda e articolata, che proprio nella conciliazione degli opposti trova la sua dialettica. L’infinito si riversa, secondo lui, nel finito, attraverso la struttura formale, che lo riflette e lo esprime. In Beethoven il confronto tematico diviene conflitto, la variazione metamorfosi. Egli introduce nelle sue composizioni più cellule tematiche, che poi svolge, sconvolge, frantuma, scarnifica, ribalta, riforgia, arricchisce, unisce tra loro. Il tutto in una logica musicale che ora va a ritroso, ora avanza, poi indugia e si ferma, riflette, si cambia d’abito, esce allo scoperto, si carica di nuove energie vitali, grida, si agita, esulta, fino a scoppiare in apoteosi alte e vigorose.

Beethoven stenta molto a conferire una veste definitiva ad un tema, a una frase musicale. Egli medita a lungo le vicende delle sue composizioni, cercando di evitare il più possibile soluzioni già codificate, esperienze scontate, e tenta di infondervi la sua storia personale, facendo vivere a ogni sua creazione una vicenda autonoma, unica e irripetibile. Durante quest’itinerario verso una meta ideale, le forme si ampliano, gli accenti si irrobustiscono, i colori si allargano, le conquiste aumentano. È perciò intrinseca, in un simile procedimento, la tendenza alla grandiosità, l’aspirazione alla monumentalità. Beethoven è un compositore moderno, senza mezze misure, senza compromessi. Egli deve avere sempre un avversario con cui confrontarsi, un nemico da battere, una meta da conquistare. Proprio per queste ragioni Beethoven risulta il primo musicista che sia riuscito a rivolgersi all’umanità intera, mettendo a conoscenza di tutti, anche dell’uomo comune, le tormentose vicende delle sue creazioni, un vero e proprio cosmo in cui ognuno riesce in qualche modo a ritrovarsi e a riconoscersi.