Il Convivio

A. IV n. 3
Luglio - Settembre 2003

Oltre le nebbie del quotidiano, poesie nitide come acqua di sorgente, di Giovanni Tavčar (ed. Il portone, Pisa 2002)

La speranza, «nascosta / tra le tendine del tempo», osserva indagatrice e sorniona, ma il vivere del poeta ha perso, ormai, «la saltellante freschezza»; anche la memoria s’è “allentata”, «voci sbiadite / e slegate / risuonano flebili / nei circuiti ossidati / del cuore» e tutto scorre come «vacuo gioco», «con sempre meno varianti». Questa lirica, che apre l’inizio della silloge, è una finestra aperta che lascia scoprire, per intero, tutto quanto è racchiuso nel mondo interiore dell’autore; in essa è concentrato il problema esistenziale di un uomo che accetta, cosciente, con pacata rassegnazione, con malinconica serenità, il suo tormento intimo e rivive, nostalgico, l’irreversibilità di un passato che riappare come ombra nei ricordi esili... Il tempo ha divorato anche i sogni e «nulla resta a dissipare la nebbia», neanche le illusioni che «hanno ali volitive e non sempre si tingono d’infinito». E la vita (purtroppo) «è fatta di piccole gocce amare», «di sensazione di vuoto», «di sordo rimestio di giorni». Rimpianto del “carpe diem”, per non aver colto, prima, i sorrisi luminosi... Chi ci svelerà i misteri del tempo? Rimarrà, il nostro, «un anelito insoluto?». Ma non è rinunciando che avremo risposte, si ribella il poeta. Il quotidiano si ricopre di “denso grigiore” e l’unico suono che ancora rimane non ha la forza di emergere... I titoli delle poesie costituiscono un filo logico, sintetico ed esauriente, per leggere nel percorso psicologico, elegiaco, del Tavčar. Le idee emergono chiare, limpide, eloquenti dalla trasparenza del suo animo. Anche nelle metafore c'è luce e l’ermetismo - a volte forma di rigetto - non appare. I sogni sono l’altro senso di vita, quello vero. Il peccato più grave dell’uomo è quello di «deludere i sogni». C’è ricorrente immersione nel panico della natura, fonte di meraviglie... Scorrono lisce come seta, danzando, le espressioni di estasi, di elevazione catartica, di distacco dal caduco. Non poteva non mancare, in un animo tanto sensibile, il ricorso a Dio: «La fede è un dono... Azzurra è la fede che mi avvolge e mi sostiene... Credere in Dio è un rischio totale che vale la pena di provare». La poesia di Tavčar è nitida come acqua di sorgente, dolce e musicale come il mormorio dei ruscelli, è l’espressione di un animo delicato e sensibile che riesce a commuoversi di fronte ad un angolo ameno della natura, un fiore, una farfalla, un tramonto, una falce di luna... a rincorrere sogni, a percepire il profumo del cielo, le purezze dell’infinito, la voce del mare, «i soli della verità», a ritrovare, in un iter a ritroso nel tempo, e con un certo rimpianto, ‘sapori’ smarriti: «il senso dello stupore, la sete dell’eterno vagabondare, il bruciante desiderio di ritorni senza speranza».

Antonia Izzi Rufo