In
architettura l’aggettivo ecocompatibile si riferisce ai
processi o prodotti che hanno la capacità di integrarsi
con l’ambiente in cui vive l’essere umano e in
generale con l’ecosistema circostante. Da ciò si
deduce che il concetto di ambiente, inteso fino agli anni 80 solo
come ambiente naturale, si estende al “sistema di
interrelazioni strutturali tra un soggetto e il suo spazio di
pertinenza”. L’ecocompatibilità è
inoltre strettamente legata al concetto di sviluppo sostenibile
introdotto nel 1987 dal Rapporto Brundtland secondo cui “lo
sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni delle
generazioni presenti senza compromettere quelli delle generazioni
future”. In quest’ottica il progetto ecocompatibile,
oltre che rispondere alle complesse esigenze dell’utente,
ha l'obbligo di promuovere lo sviluppo sostenibile in relazione
ai tre grandi ambiti di riferimento: economico, ambientale,
sociale. In particolare la progettazione ecocompatibile
dell’ambiente costruito è connotata da un rapporto
con il contesto, inteso come ambiente fisico e antropizzato, tale
da garantire condizioni di benessere con un ridotto consumo di
risorse ambientali e un basso livello di inquinamento.
L’obiettivo è oggi quello di diffondere l’approccio
ecocompatibile e di integrarlo all’interno dell’iter
progettuale ordinario, nelle diverse fasi progettuali e nelle
diverse scale del processo edilizio.
Nella
professione e nello studio l'approccio ecologico all'architettura
ed all'edilizia è diventato, in questi ultimi anni, un
passaggio fondamentale, un percorso di conoscenza ed
esperienziale obbligatorio. La progettazione ecocompatibile
dell'ambiente costruito, infatti, è connotata da un
rapporto con il contesto, inteso come sistema fisico e
antropizzato, tale da garantire condizioni di benessere, sia
negli spazi chiusi, sia in quelli aperti, con un ridotto consumo
di risorse ambientali e un basso livello di inquinamento. In tale
ottica si inseriscono il protocollo di Kyoto per la riduzione
delle emissioni di gas serra e le più recenti direttive
europee in campo energetico. Per fare fronte alle attuali
emergenze ambientali e alle esigenze degli utenti, sempre più
complesse, l'approccio bioclimatico alla progettazione non è
più sufficiente. Oggi, infatti, l'ottimizzazione delle
scelte funzionali, tecnologiche e morfologiche, che fa
riferimento alle fasi di concezione, metaprogetto, progetto
definitivo e progetto esecutivo, deve essere
finalizzata, oltre che alla coerente integrazione con il clima,
anche all'uso razionale delle risorse e alla salvaguardia
ambientale. Tale approccio implica di considerare, quindi, tutte
le altre risorse ambientali quali l'acqua, il verde, il suolo,
nonché tutti i flussi di materia ed energia nell'intero
ciclo di vita dell'edificio. Inoltre, le condizioni di benessere
dell'utente devono fare riferimento ad una percezione
"plurisensoriale". In tale ottica, questo volume si
pone come principale obiettivo quello di fornire concetti,
criteri di scelta, strumenti e metodi, per diffondere la
cultura dell'approccio ecocompatibile integrato - nelle
diverse fasi e alle diverse scale - nella prassi progettuale
dell'ambiente costruito.
L'equilibrio
tra ambiente naturale e ambiente antropico non può che
dipendere da una cultura progettuale capace di interpretare le
dinamiche del presente e di utilizzare i mezzi appropriati alla
costruzione di un futuro desiderabile. Il manufatto
architettonico è sempre più interconnesso con un
contesto storico e geografico (oppure fisico e culturale) in
continua trasformazione. Le risposte attualmente
sperimentate/utilizzate in giro per il mondo inseguono direzioni
apparentemente diverse che, però, finiscono per
rappresentare vasi tutti intercomunicanti tra loro: a.
ridurre i consumi energetici del manufatto in fase di utilizzo;
b.
adottare sistemi costruttivi leggeri per ridurre l'impatto dei
processi produttivi; c.
reinterpretare vecchi materiali o sperimentarne di nuovi; d.
diffondere pratiche virtuose legate al riciclo di scarti e
rifiuti; e.
integrare i modelli fisici e la modellazione virtuale per
potenziare l'immaginazione progettuale; f.
introdurre nello spazio euclideo geometrie complesse basate su
relazioni casuali o stocastiche; g.
confrontare i processi industrializzati con le pratiche di
auto-costruzione; h.
dare risposte adeguate alle emergenze umanitarie e alle
catastrofi naturali; i.
misurarsi con il paesaggio generato dalla dialettica uomo-natura;
j.
verificare la legittimità dei modelli di consumo. Ciascuna
di queste esperienze, per essere condotta a termine, ha bisogno
di restringere il campo di osservazione concentrandosi su uno
specifico aspetto (approccio riduzionista). Nel contempo per
valutare i risultati è necessario restituire
all'ecosistema l'intrinseca organicità (approccio
olistico). All'architettura spetta il compito di trovare i punti
di convergenza o corrispondenza tra i due approcci.
Si
parla sempre più spesso di architettura bioclimatica, in
realtà, a parte una stretta cerchia di addetti ai lavori,
la nozione di architettura bioclimatica è il più
delle volte nebulosa e spesso confusa o mischiata con altre quali
bioarchitettura, architettura sostenibile, risparmio energetico,
casa passiva ecc.
INTRODUZIONE
ALLA CASA BIOCLIMATICA
OGNI
LUOGO È DIVERSO DALL'ALTRO E LE CASE, NORMALMENTE, STANNO
FERME.
Questa
apparente banalità significa che ogni costruzione è
immersa, si relaziona, prende il sole, il vento, la pioggia,
l’albedo, il freddo, il caldo, l’umidità di un
luogo specifico. Ogni uno dei fattori sopra elencati varia
fortemente da un luogo all’altro, a seconda
dell’esposizione, dell’altitudine, della vicinanza al
mare o al lago, della latitudine, del versante della stessa
vallata, delle caratteristiche del terreno o dell’abitato
circostante.
Dunque
per l’architettura bioclimatica la stessa casa non va bene
ovunque. Anzi, lo studio del luogo e delle sue caratteristiche
climatiche sono un dato di progetto tanto importante quanto le
normative, il budget e le esigenze della proprietà, o la
bellezza, o la solidità vitruviane. Ma perché
questa importanza data al clima? Perché in questo momento
in italia almeno tre gruppi di lavoro indipendenti stanno
mettendo a punto una griglia di valutazione delle caratteristiche
bioclimatiche degli edifici, perché questo interesse dei
Comuni a proporre sgravi o agevolazioni per la bioclimatica?
UN
PO' DI STORIA In
passato l’attenzione al clima è sempre stata parte
fondamentale del costruire. La storia dell’architettura
spontanea è piena di esempi di adattamento al clima,
esempi che diventano tanto più evidenti quanto più
le condizioni climatiche si fanno estreme. Ma anche in climi non
estremi le caratteristiche architettoniche e di risposta
ambientale sono molto differenti da un posto all’altro.
Potremmo dire anzi che le architetture storiche caratterizzano
talmente un luogo da poterlo distinguere a prima vista, sia che
parliamo di architetture sia che parliamo di
insediamenti.
Quelle
nuove invece sono uguali ovunque: senza
dover girare il mondo e parlare di globalizzazione
dell’architettura (o international style), le lottizzazioni
di Verona sono uguali a quelle di Trieste, o Roma, o Bari, le
case anche, i grattacieli anche. Cosa si è perso nel
percorso dell’architettura? Da cosa nasceva la differenza?
Perché ora si è annullata? Tre
erano i motori della differenza 1.
materiali e tecnologie a disposizione, 2.
caratteristiche climatiche particolari a cui rispondere, 3.
stratificazione e cultura figurativa (in parte derivata da
queste)
In
una frase, le case in cui abitare venivano costruite con i
materiali più facilmente reperibili, per scaldarsi il più
facilmente in inverno e stare il più possibile freschi in
estate: questi
due fattori portavano a soluzioni comuni per luoghi vicini che
diventavano forme e tipi di case, cioè figure
riconoscibili e ripetute perchè ben funzionanti: pensiamo
per esempio alle case in muratura e legno del trentino o ai
portici in mattoni della pianura emiliana ecc. E’ chiara
la rispondenza ad un problema di economicità e limitatezza
delle risorse. Da fine 800 in poi questa situazione è
andata progressivamente cambiando, modificando radicalmente i tre
fattori
di differenza: 1.
I materiali e le tecnologie più economiche non sono più
state quelle reperibili in loco, ma quelle che l’industria
e la distribuzione più facilmente mettevano (e mettono) a
disposizione, dunque gabbia in cemento armato e tamponamenti in
laterizio. 2.
Per quanto riguarda il clima inoltre, l’evolversi degli
impianti e la disponibilità di energia a basso costo hanno
per un certo tempo fatto pensare di poter minimizzare
l’importanza di una risposta a condizioni climatiche locali
dell’architettura stessa. 3.
Rimaneva a questo punto solo una cultura figurativa svuotata dei
suoi contenuti generativi e ridotta quindi ad uno stilismo dei
materiali e delle forme, ridicolmente tutelato più avanti
dai regolamenti edilizi e dalle commissioni per i beni ambientali
su nuove costruzioni e ristrutturazioni. Tuttavia dalla crisi
economica della fine degli anni 60 una parte della cultura
architettonica aveva già incominciato a capire come le
risorse energetiche mondiali non potevano considerarsi illimitate
e cominciarono a riproporre il problema di una architettura a
basso consumo energetico. Da li’ una serie di studi, di
sperimentazioni anche pionieristiche spesso supportate da un
grande fervore ideologico (pensiamo agli studi sulla «casa
autonoma», la casa autosufficiente energeticamente) hanno
portato ad una rifondazione della disciplina e a quella che
potremmo ormai avere il coraggio di definire bioclimatica
moderna. (bibliografia anni ’60-80).
Arriviamo
quindi ad una prima definizione condivisa di «architettura
bioclimatica»: quel tipo di architettura che ottimizza le
relazioni energetiche con l’ambiente naturale circostante
mediante il suo disegno architettonico. Essendo
nata nell’Europa centrale e di seguito importata in Italia
la bioclimatica era all’origine concentrata sul guadagno
termico dell’edificio nei mesi freddi e su un suo grande
isolamento, fattori che concorrevano in modo principale al
risparmio energetico. Il trasferimento delle conoscenze acquisite
a livello europeo alla situazione italiana pone in luce ulteriori
problematiche. Anche nella parte più vicina all’europa,
nella zona pedemontana ai piedi della Alpi presenta infatti
caratteri climatici più complessi in quanto oltre ad
inverni relativamente rigidi, ha estati molto calde e non
presenta le brezze mitiganti delle località più
propriamente mediterranee. E’ importante in questo senso
sottolineare come, a parte alcuni «pionieri» e gli
studi recentissimi, l’Italia rimanga sostanzialmente fuori
da questa riflessione, e che la peculiarità del clima (o,
molto meglio, dei climi) italiani sia in gra parte inesplorata.
Il raffrescamento estivo va da noi coniugato con il guadagno
termico invernale, operazione non semplice; infatti una casa in
Italia ben progettata con gli strumenti della bioclimatica dovrà
essere: in
inverno naturalmente
calda, cioè non solo ben isolata dove serve, ma capace di
sfruttare al massimo il calore entrante dalle superfici vetrate
per minimizzare il consumo di energia per il riscaldamento, piena
di luce e comunque ben illuminata in modo naturale per
minimizzare il consumo di energia elettrica nelle ore diurne ,
protetta dalle dispersioni nelle ore notturne; in
estate naturalmente
fresca, cioè non solo ombreggiata al massimo pur
mantenendo il corretto livello di illuminazione naturale, ma
capace di attivare sistemi di ventilazione naturale, diurna e
notturna per smaltire l’eccesso di calorie immagazzinate.
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