SCARLATTI SERGIO ALEXANDER

geometra

IL BIOPROGETTO ECOCOMPATIBILE:

In architettura l’aggettivo ecocompatibile si riferisce ai processi o prodotti che hanno la capacità di integrarsi con l’ambiente in cui vive l’essere umano e in generale con l’ecosistema circostante. Da ciò si deduce che il concetto di ambiente, inteso fino agli anni 80 solo come ambiente naturale, si estende al “sistema di interrelazioni strutturali tra un soggetto e il suo spazio di pertinenza”. L’ecocompatibilità è inoltre strettamente legata al concetto di sviluppo sostenibile introdotto nel 1987 dal Rapporto Brundtland secondo cui “lo sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere quelli delle generazioni future”. In quest’ottica il progetto ecocompatibile, oltre che rispondere alle complesse esigenze dell’utente, ha l'obbligo di promuovere lo sviluppo sostenibile in relazione ai tre grandi ambiti di riferimento: economico, ambientale, sociale. In particolare la progettazione ecocompatibile dell’ambiente costruito è connotata da un rapporto con il contesto, inteso come ambiente fisico e antropizzato, tale da garantire condizioni di benessere con un ridotto consumo di risorse ambientali e un basso livello di inquinamento. L’obiettivo è oggi quello di diffondere l’approccio ecocompatibile e di integrarlo all’interno dell’iter progettuale ordinario, nelle diverse fasi progettuali e nelle diverse scale del processo edilizio.


Nella professione e nello studio l'approccio ecologico all'architettura ed all'edilizia è diventato, in questi ultimi anni, un passaggio fondamentale, un percorso di conoscenza ed esperienziale obbligatorio.
La progettazione ecocompatibile dell'ambiente costruito, infatti, è connotata da un rapporto con il contesto, inteso come sistema fisico e antropizzato, tale da garantire condizioni di benessere, sia negli spazi chiusi, sia in quelli aperti, con un ridotto consumo di risorse ambientali e un basso livello di inquinamento. In tale ottica si inseriscono il protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas serra e le più recenti direttive europee in campo energetico. Per fare fronte alle attuali emergenze ambientali e alle esigenze degli utenti, sempre più complesse, l'approccio bioclimatico alla progettazione non è più sufficiente. Oggi, infatti, l'ottimizzazione delle scelte funzionali, tecnologiche e morfologiche, che fa riferimento alle fasi di concezione, metaprogetto, progetto definitivo e progetto esecutivo, deve essere finalizzata, oltre che alla coerente integrazione con il clima, anche all'uso razionale delle risorse e alla salvaguardia ambientale. Tale approccio implica di considerare, quindi, tutte le altre risorse ambientali quali l'acqua, il verde, il suolo, nonché tutti i flussi di materia ed energia nell'intero ciclo di vita dell'edificio. Inoltre, le condizioni di benessere dell'utente devono fare riferimento ad una percezione "plurisensoriale". In tale ottica, questo volume si pone come principale obiettivo quello di fornire concetti, criteri di scelta, strumenti e metodi, per diffondere la cultura dell'approccio ecocompatibile integrato - nelle diverse fasi e alle diverse scale - nella prassi progettuale dell'ambiente costruito.

L'equilibrio tra ambiente naturale e ambiente antropico non può che dipendere da una cultura progettuale capace di interpretare le dinamiche del presente e di utilizzare i mezzi appropriati alla costruzione di un futuro desiderabile. Il manufatto architettonico è sempre più interconnesso con un contesto storico e geografico (oppure fisico e culturale) in continua trasformazione.
Le risposte attualmente sperimentate/utilizzate in giro per il mondo inseguono direzioni apparentemente diverse che, però, finiscono per rappresentare vasi tutti intercomunicanti tra loro:
a. ridurre i consumi energetici del manufatto in fase di utilizzo; b. adottare sistemi costruttivi leggeri per ridurre l'impatto dei processi produttivi; c. reinterpretare vecchi materiali o sperimentarne di nuovi; d. diffondere pratiche virtuose legate al riciclo di scarti e rifiuti; e. integrare i modelli fisici e la modellazione virtuale per potenziare l'immaginazione progettuale; f. introdurre nello spazio euclideo geometrie complesse basate su relazioni casuali o stocastiche; g. confrontare i processi industrializzati con le pratiche di auto-costruzione; h. dare risposte adeguate alle emergenze umanitarie e alle catastrofi naturali; i. misurarsi con il paesaggio generato dalla dialettica uomo-natura; j. verificare la legittimità dei modelli di consumo.
Ciascuna di queste esperienze, per essere condotta a termine, ha bisogno di restringere il campo di osservazione concentrandosi su uno specifico aspetto (approccio riduzionista). Nel contempo per valutare i risultati è necessario restituire all'ecosistema l'intrinseca organicità (approccio olistico). All'architettura spetta il compito di trovare i punti di convergenza o corrispondenza tra i due approcci.


Si parla sempre più spesso di architettura bioclimatica, in realtà, a parte una stretta cerchia di addetti ai lavori, la nozione di architettura bioclimatica è il più delle volte nebulosa e spesso confusa o mischiata con altre quali bioarchitettura, architettura sostenibile, risparmio energetico, casa passiva ecc.



INTRODUZIONE ALLA CASA BIOCLIMATICA


OGNI LUOGO È DIVERSO DALL'ALTRO E LE CASE, NORMALMENTE, STANNO FERME.

Questa apparente banalità significa che ogni costruzione è immersa, si relaziona, prende il sole, il vento, la pioggia, l’albedo, il freddo, il caldo, l’umidità di un luogo specifico. Ogni uno dei fattori sopra elencati varia fortemente da un luogo all’altro, a seconda dell’esposizione, dell’altitudine, della vicinanza al mare o al lago, della latitudine, del versante della stessa vallata, delle caratteristiche del terreno o dell’abitato circostante.



Dunque per l’architettura bioclimatica la stessa casa non va bene ovunque. Anzi, lo studio del luogo e delle sue caratteristiche climatiche sono un dato di progetto tanto importante quanto le normative, il budget e le esigenze della proprietà, o la bellezza, o la solidità vitruviane.
Ma perché questa importanza data al clima? Perché in questo momento in italia almeno tre gruppi di lavoro indipendenti stanno mettendo a punto una griglia di valutazione delle caratteristiche bioclimatiche degli edifici, perché questo interesse dei Comuni a proporre sgravi o agevolazioni per la bioclimatica?

UN PO' DI STORIA
In passato l’attenzione al clima è sempre stata parte fondamentale del costruire. La storia dell’architettura spontanea è piena di esempi di adattamento al clima, esempi che diventano tanto più evidenti quanto più le condizioni climatiche si fanno estreme. Ma anche in climi non estremi le caratteristiche architettoniche e di risposta ambientale sono molto differenti da un posto all’altro. Potremmo dire anzi che le architetture storiche caratterizzano talmente un luogo da poterlo distinguere a prima vista, sia che parliamo di architetture sia che parliamo di insediamenti.

Quelle nuove invece sono uguali ovunque: senza dover girare il mondo e parlare di globalizzazione dell’architettura (o international style), le lottizzazioni di Verona sono uguali a quelle di Trieste, o Roma, o Bari, le case anche, i grattacieli anche. Cosa si è perso nel percorso dell’architettura? Da cosa nasceva la differenza? Perché ora si è annullata?
Tre erano i motori della differenza
1. materiali e tecnologie a disposizione,
2. caratteristiche climatiche particolari a cui rispondere,
3. stratificazione e cultura figurativa (in parte derivata da queste)

In una frase, le case in cui abitare venivano costruite con i materiali più facilmente reperibili, per scaldarsi il più facilmente in inverno e stare il più possibile freschi in estate:
questi due fattori portavano a soluzioni comuni per luoghi vicini che diventavano forme e tipi di case, cioè figure riconoscibili e ripetute perchè ben funzionanti: pensiamo per esempio alle case in muratura e legno del trentino o ai portici in mattoni della pianura emiliana ecc.
E’ chiara la rispondenza ad un problema di economicità e limitatezza delle risorse.
Da fine 800 in poi questa situazione è andata progressivamente cambiando, modificando radicalmente i tre
fattori di differenza:
1. I materiali e le tecnologie più economiche non sono più state quelle reperibili in loco, ma quelle che l’industria e la distribuzione più facilmente mettevano (e mettono) a disposizione, dunque gabbia in cemento armato e tamponamenti in laterizio.
2. Per quanto riguarda il clima inoltre, l’evolversi degli impianti e la disponibilità di energia a basso costo hanno per un certo tempo fatto pensare di poter minimizzare l’importanza di una risposta a condizioni climatiche locali dell’architettura stessa.
3. Rimaneva a questo punto solo una cultura figurativa svuotata dei suoi contenuti generativi e ridotta quindi ad uno stilismo dei materiali e delle forme, ridicolmente tutelato più avanti dai regolamenti edilizi e dalle commissioni per i beni ambientali su nuove costruzioni e ristrutturazioni.
Tuttavia dalla crisi economica della fine degli anni 60 una parte della cultura architettonica aveva già incominciato a capire come le risorse energetiche mondiali non potevano considerarsi illimitate e cominciarono a riproporre il problema di una architettura a basso consumo energetico.
Da li’ una serie di studi, di sperimentazioni anche pionieristiche spesso supportate da un grande fervore ideologico (pensiamo agli studi sulla «casa autonoma», la casa autosufficiente energeticamente) hanno portato ad una rifondazione della disciplina e a quella che potremmo ormai avere il coraggio di definire bioclimatica moderna. (bibliografia anni ’60-80).


Arriviamo quindi ad una prima definizione condivisa di «architettura bioclimatica»: quel tipo di architettura che ottimizza le relazioni energetiche con l’ambiente naturale circostante mediante il suo disegno architettonico.
Essendo nata nell’Europa centrale e di seguito importata in Italia la bioclimatica era all’origine concentrata sul guadagno termico dell’edificio nei mesi freddi e su un suo grande isolamento, fattori che concorrevano in modo principale al risparmio energetico. Il trasferimento delle conoscenze acquisite a livello europeo alla situazione italiana pone in luce ulteriori problematiche. Anche nella parte più vicina all’europa, nella zona pedemontana ai piedi della Alpi presenta infatti caratteri climatici più complessi in quanto oltre ad inverni relativamente rigidi, ha estati molto calde e non presenta le brezze mitiganti delle località più propriamente mediterranee. E’ importante in questo senso sottolineare come, a parte alcuni «pionieri» e gli studi recentissimi, l’Italia rimanga sostanzialmente fuori da questa riflessione, e che la peculiarità del clima (o, molto meglio, dei climi) italiani sia in gra parte inesplorata. Il raffrescamento estivo va da noi coniugato con il guadagno termico invernale, operazione non semplice; infatti una casa in Italia ben progettata con gli strumenti della bioclimatica dovrà essere:
in inverno naturalmente calda, cioè non solo ben isolata dove serve, ma capace di sfruttare al massimo il calore entrante dalle superfici vetrate per minimizzare il consumo di energia per il riscaldamento, piena di luce e comunque ben illuminata in modo naturale per minimizzare il consumo di energia elettrica nelle ore diurne , protetta dalle dispersioni nelle ore notturne;
in estate naturalmente fresca, cioè non solo ombreggiata al massimo pur mantenendo il corretto livello di illuminazione naturale, ma capace di attivare sistemi di ventilazione naturale, diurna e notturna per smaltire l’eccesso di calorie immagazzinate.



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