SCIENZA & COSCIENZA
per la libertà terapeutica dei medici
e il diritto alle cure dei cittadini farmacodipendenti


Tribunale ordinario di Milano

Ufficio del Giudice per le indagini preliminari

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome dei Popolo italiano

 

il Giudice dott.  Claudio Castelli, ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nel procedimento penale contro

INZANI GIORGIO - nato a Cremona il 21.9.1941, residente a Lacchiarella

via Salvo D'Acquisto 6:

Difeso di fiducia dall'Avv. Franca Angiolillo via Sismondi 5 Milano.

* presente

 

IMPUTATO

 

del reato di cui agli artt.  81 cpv. C.P. e 83 DPR 9.10.90 n. 309,- con riferimento all'art-73 comma 1 DPR 9.10.90 n.309 perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, quale medico chirurgo rilasciava a X, X2, X3, X4, X5, X6, X7, X8, X9, X10  ed altre persone non identificate, prescrizioni di metadone per uso non terapeutico. metadone sostanza stupefacente di cui alla tabella 1 prevista dall'art. 14 della legge medesima.

Commesso in Milano e dintorni dal gennaio 1995.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Con segnalazioni 21.12.95 e 1.7.96 il Direttore Amministrativo e il responsabile dell'Ufficio Farmaceutico dell'U.S.S.L. n.36 di Milano riferivano di frequenti prescrizioni di sostanze stupefacenti da parte di alcuni medici, allegando venticinque fotocopie di  ricette di sostanze stupefacenti. Il P.M. investito del caso disponeva di accertare quante ricette fossero state prescritte dai medici coinvolti e di sentire i pazienti.

All'esito di tali accertamenti venivano iscritti nel registro delle notizie di reato G. A., T. G., G. L. e B. M. per il delitto di cui agli artt. 73 e 83 DPR n. 309/90. Successivamente venivano iscritti per lo stesso reato P. F., V. A. Inzani Giorgio. Quest'ultimo risultava essere il medico che secondo la segnalazione iniziale aveva rilasciato il maggior numero di prescrizioni. I successivi accertamenti svolti dalla P.G. portavano a verificare che i soggetti cui il dott. Inzani  aveva rilasciato prescrizioni di metadone erano dieci di cui per tre in numero scarsamente significativo (oscillanti tra una e quattro ricette).

Inzani veniva interrogato il 14.10.97 e gli veniva contestato di avere, nella qualità di medico, prescritto metadone per uso non terapeutico. Inzani si difendeva assumendo di avere effettivamente prescritto metadone nell'ambito di una terapia nei confronti di persone che si rivolgevano a lui e che lui riceveva e visitava nello studio di Lacchiarella.  Affermava di visitare i pazienti, di accertare lo stato di tossicodipendenza e di valutare la durata temporale della tossicodipendenza da eroina e la quantità di sostanza assunta giornalmente.  Aggiungeva dì avere cominciato tali prescrizioni quando aveva inviato due pazienti presso il SERT di Monza, che li aveva rifiutati, invitandolo a prescrivere direttamente con ricettario ministeriale il metadone. Così aveva fatto facendo controllare il dosaggio da un familiare di riferimento e controllando direttamente l'andamento della terapia. Quando c'erano almeno sei mesi di astensione dall'assunzione di eroina ed il paziente era inserito nella società concordava un disimpegno lento e graduale dalla terapia metadonica. All'esito di tali indagini il P.M. chiedeva l'archiviazione per tutte le posizioni, salvo che per quella di Inzani per cui veniva chiesto il rinvio a giudizio.  La richiesta dì archiviazione si fondava sulla constatazione che i medici incriminati avevano prescritto sostanze stupefacenti a scalare onde favorire la disintossicazione del soggetto dallo stato di tossicodipendenza, o nell'ambito di una terapia del dolore.  Ciò era anche confermato dal numero assai limitato di prescrizioni.

L'udienza preliminare a carico di lnzani veniva fissata il 22 febbraio 2000.  All'esito del suo interrogatorio e della memoria difensiva prodotta veniva disposta ex art.422 C.P.P. l'audizione di alcuni dei soggetti curati, X, X2, e X3.

All'esito di tali deposizioni Pubblico Ministero e difesa chiedevano il proscioglimento, dell'imputato il primo perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e la seconda perché il fatto non costituisce reato.

La tesi difensiva si fonda sulla legittimità e bontà della terapia seguita dal dott. Inzani nei confronti dei suoi pazienti.  La cura prevedeva un esame clinico obiettivo per accertare lo stato di tossicodipendenza, la durata temporale della tossicodipendenza da eroina e la quantità di stupefacente assunta giornalmente. Sulla base di detto esame il Dott. Inzani rilasciava le prescrizioni, sempre limitate ad un dosaggio previsto per una durata non superiore ad otto giorni, con la condizione che vi fosse un parente di riferimento non tossicodipendente che controllasse il dosaggio giornaliero e custodisse la restante sostanza fino alla nuova prescrizione. Egli controllava periodicamente i pazienti, anche disponendo le necessarie analisi, modificando alla luce di eventuali ricadute la quantità di metadone. In realtà il dosaggio previsto noti poteva seguire una linea costante di disimpegno lento e graduale, dovendosi tener conto della quantità di eroina cui il soggetto era abituato e delle eventuali ricadute. Tale comportamento trova una conferma sul piano scientifico nella documentazione medica prodotta dalla difesa, la consulenza di parte del Dott. Augusto Magnone, già primario medico del servizio                              per le tossicodipendenze della U.S.S.I. n. 39 di Milano afferma che "il Dott. Giorgio Inzani ha attuato dei trattamenti metadonici scientificamente corretti in base alla letteratura medica scientifica internazionale e nazionale esistente ed all'unico trattato scientifico di medicina delle tossicodipendente attualmente disponibile in Italia edito dalla Scuola Europea di Medicina Generale su progetto del Ministero della Sanità per migliorare le conoscenze dei medici italiani dì medicina generale in tale materia". In particolare il consulente rileva che due sono i tipi di trattamenti metadonici: quello a scalare e quello protratto o di mantenimento. Il primo, previsto con una durata di alcuni mesi, viene utilizzato per superare la crisi di astinenza fisica.  Il secondo, diretto a sostituire il deficit endorfinico causato dall'eroina, ha l'obiettivo di ridurre la dipendenza psicologica a livelli controllabili con la volontà ed impedire al paziente di avvertire gli effetti dell'eroina in caso di uso, consentendogli una vita normale. il dosaggio massimo efficace, variabile da paziente a paziente, viene raggiunto progressivamente ed è confermato dalla scomparsa di metabolici nelle urine; una volta raggiunto tal dosaggio è necessario mantenerla per alcuni mesi, successivamente è possibile diminuire gradualmente il dosaggio del farmaco fino alla sospensione dello stesso.  La durata va dagli uno ai quattro anni ed anche le eventuali e frequenti ricadute sono superabili in tempi brevi.  Ne deriva che pur essendo l'obiettivo dei due trattamenti identico la differenza consta nella ben più ampia lunghezza del secondo e della sua maggiore flessibilità dovendosi adattare non solo al singolo paziente, ma anche alla sua dipendenza psicologica e alle eventuali ricadute.

Le caratteristiche ed i risultati della terapia seguita dal dott. lnzani è stata altresì confermata dall'audizione disposta ex art.422 C.P.P. dei pazienti X, X1 e X2, soggetti cui il dottor Inzani aveva rilasciato il maggior numero di prescrizioni. X ha affermato di essersi rivolto al dott. Inzani in quanto avrebbe dovuto aspettare qualche mese prima di essere preso in carico dal SERT e non essendo gli orari del SERT compatibili con la sua attività lavorativa. Solo dopo insistenze il dott. Inzani lo aveva preso in cura, Su richiesta dei medico con lui si era recata la sua convivente, non tossicodipendente. Dapprima era stato curato con farmaci e quindi, continuando a fare uso di droga, era passato alla cura con metadone.  La ricetta del dott. Inzani era per otto giorni e la convivente doveva controllare che consumasse solo la dose giornaliera.  Dopo tale periodo doveva tornare dal dott. Inzani con il quale aveva un colloquio e che gli prescriveva il dosaggio.  Questo variava, diminuendo quando vi erano miglioramenti, ed aumentando quando vi erano state ricadute. Egli pagava le visite £ 50.000 fino a quando ha potuto. X è tuttora in cura dopo quattro anni. X2 dichiarava di essere stato in cura dal dott.  Inzani a cui era arrivato, dopo essere stato allontanato dal SERT a seguito di una ricaduta. Lo stesso era dipendente pubblico e regolarmente sposato e quindi non poteva andare in comunità. Dopo essere stato visitato gli erano stati prescritti dei farmaci.  Tale terapia, durata circa un mese, non ha avuto alcun esito e dopo diverse insistenze, è quindi cominciata una terapia metadonica. Tale terapia iniziata nel 1995 è andata avanti per due - tre anni, sia pure con diverse ricadute. La dose di metadone non era fissa, calando in caso di miglioramento e aumentando qualora vi fossero ricadute.  La terapia cessava nel 1997 in quanto X2 si trasferiva a Campobasso, dove continuava ad essere curato dal SERT con somministrazione di metadone.  Confermava di pagare le visite, almeno quando ne aveva la possibilità. X3 dichiarava di non essere andato in cura dal SERT in quanto i tempi di tale organismo erano troppo lunghi e dato che tali orari non erano compatibili con la sua attività lavorativa.

Sin dall'inizio era stato curato con il metadone avendo già cominciato detta cura.  Il metadone gli veniva prescritto per otto giorni e la madre sì occupava di ritirarlo e di dosarglielo.  E' rimasto in terapia per circa due anni ed ha avuto qualche ricaduta sia durante la terapia che dopo.  Attualmente non si droga più né prende metadone da sei - otto mesi.

Tutti e tre i pazienti sentiti hanno affermato di avere sempre lavorato durante la sottoposizione alla terapia e di avere avuto un netto miglioramento della qualità della Vita.

Va infine precisato che l'aspetto della regolarità, anche fiscale, dei pagamenti ricevuti dal dott.  Inzani per le prescrizioni di metadone appare dei tutto superato.  La difesa ha prodotto le parcelle sanitarie emesse dal dott. Inzani e l'accusa di avere rilasciato le ricette per motivi di lucro pare tranquillamente cadere alla luce della stessa entità della somma richiesta per ogni colloquio e/o visita ( £ 50.000) e delle dichiarazioni dei pazienti che hanno fatto presente di avere pagato il medico solo quando potevano.

La questione che occorre affrontare è se il comportamento tenuto dal medico integri il reato di cui all'art. 83 DPR n.309/90.

E' noto che la prevalente giurisprudenza della Suprema Corte e di merito ritiene legittimo l'uso di sostanze stupefacenti solo se tale uso è mirato ad assistere, curare e recuperare fino alla disassuefazione il tossicodipendente, sulla base di un programma terapeutico individualizzato. Il che viene ritenuto possibile solo con una terapia "a scalare" per brevi periodi, inconciliabile con terapie dirette al mero mantenimento dello stato di tossicodipendenza ( Cass.  Sez.  VI 14.7.89, Cass. Sez.  VI 29.11.89, Cass.Sez. IV 29.9.95, Trib. Genova 20.6.80, Trib.  Genova 9.3.82, Trib.  Milano 3.4.84, Trib. Milano 8.2.96, G.I.P. Tribunale Biella 27.1,97).  Tale interpretazione si fonda sull'art. 122 del DPR n.309/90 che assegna al servizio pubblico per le tossicodipendenze il fine della riabilitazione e del recupero del tossicodipendente, attraverso la definizione di un programma terapeutico e riabilitativo personalizzato, tale da mirare alla disintossicazione del tossicodipendente.  Gli interventi del sanitario che intenda assistere e curare le persone dedite alle sostanze stupefacenti debbono quindi adeguarsi ai medesimi principi e possono prevedere l'uso terapeutico di sostanze stupefacenti, ma tale uso presuppone che la terapia non ecceda le necessità della cura in relazione alle particolare patologia del soggetto, e che la stessa si proponga la disassuefazione e la guarigione.

I parametri normativi al riguardo sono dati dagli artt.43 e 122 del DPR n. 309/90. Il primo impone precisi obblighi per i medici che prescrivono sostanze stupefacenti: un particolare ricettario, l'indicazione delle generalità del beneficiario, della dose prescritta e delle modalità e dei tempi di somministrazione, il limite nel dosaggio non superiore agli otto giorni, la specificazione del medico rilasciante e la sua firma. La seconda norma disciplina i programmi terapeutici e riabilitativi prevedendo che il servizio pubblico definisca con la partecipazione dell'interessato un programma personalizzato nel cui ambito possono essere previste terapie dì disintossicazione, nonché trattamenti psico-sociali e farmacologici adeguati.  Detto programma deve tener conto delle esigenze di vita e di lavoro del soggetto e può essere attuato oltre che dal servizio pubblico da un medico di fiducia. L'obiettivo chiaro che si ricava dal resto della legge è il recupero del tossicodipendente e l'abbandono dalla dipendenza da sostanze stupefacenti.  Ciò va perseguito con terapie inevitabilmente differenziate la cui bontà e validità è lasciata alla piena discrezionalità del servizio pubblico o del medico curante.  Non è casuale che l'art. 122 parli espIicitamente di trattamento personalizzato e che l'art. 94 preveda un trattamento concordato con l'interessato. Di fronte a ciò e alla libertà terapeutica di cui inevitabilmente gode il medico pare incongruo ed in contrasto con lo stesso scopo della legge limitare gli interventi possibili ad una terapia "a scalare", caratterizzata dalla brevità dei tempi e dalla rigidità dell'approccio (quasi che lo scalare debba tradursi in una applicazione matematica e non in una generale tendenza perseguita).  Una soluzione diversa che ritenga che unica lecita sia una terapia a scalare per brevi periodi non solo non trova alcun riferimento nella normativa, ma porterebbe all'assurdo di condannare all'abbandono e quindi all'inevitabile ricaduta nella droga tutti quei tossicodipendenti che necessitano di trattamenti personalizzati di lunga durata e che non possono essere presi in carico da strutture pubbliche.  Mentre pare perfettamente conforme alla ratio dell'art. 122 DPR n.309/90 qualsiasi terapia che si ponga come obiettivo il recupero e la disassuefazione del tossicodipendente, al di là del tempo necessario per raggiungere questo difficile risultato.  Del resto ciò risulta anche da pubblicazioni scientifiche e da indicazioni provenienti da autorità pubbliche quale il Se.Ce Das.. Nella nota di tale organo edita sul n.3-4 dei Bollettino per le farmacodipendenze e l'alcoolismo del Ministero della Sanità si legge: Il decreto (n.445/90) non impone lo '"scalaggio" come unica modalità consentita di impiego del metadone, né la disintossicazione in tempi brevi, né dosaggi prestabiliti, ma la disintossicazione come finalità ultima da conseguire, a seconda del caso, nei tempi e con le modalità necessarie.  La durata del trattamento ed il dosaggio dovranno in sostanza essere motivati esclusivamente da esigenze cliniche e non da protocolli amministrativo-organizzativi, purché l'obiettivo finale del trattamento sia quello di un graduale e totale svincolo della sostanza sostitutiva e durante il trattamento si ottenga l'allontanamento dalla sostanza illecita (disintossicazione), pur tenendo presente alcune possibili ricadute."

Del resto la differenza tra terapia "a scalare" e terapia "protratta o di mantenimento" rischia dì essere modulata sull'unica variabile del tempo necessario, quando invece proprio la necessità di personalizzazione del trattamento e del perseguimento del recupero impongono inevitabilmente tempi differenziati, anche lunghi. Unico discrimine per definire la legittimità del comportamento pare quindi essere la presenza di una terapia e il perseguimento attraverso di essa del recupero del tossicodipendente ed in definitiva la sua disassuefazione. Le modalità della terapia. la sua lunghezza, una volta che siano rispettati i parametri di cui all'art. 43 e 122 del DPR n.30/90 non possono essere oggetto di censura da parte del giudice penale, che altrimenti si arrogherebbe una competenza del tutto propria della capacità e della deontologia del medico. I requisiti ora indicati, ovvero la presenza di una reale terapia, che non possa in alcun modo essere scambiata con atteggiamenti strumentali che agevolino la cessione di sostanze stupefacenti, la sua personalizzazione e il perseguimento dell'obiettivo del recupero e dei superamento della dipendenza a sostanze droganti, sono tutti presenti nell'operato del dott. Inzani.  E va ulteriormente aggiunto che la bontà del suo comportamento è ulteriormente provata dalla dichiarazione dei tre pazienti sentiti che tutti hanno affermato di avere potuto vivere una vita normale, e di cui uno ha aggiunto di avere abbandonato da alcuni mesi l'uso di droghe o di sostanze sostitutive.

Né è pensabile che ulteriori elementi possano subentrare in dibattimento: la completezza dell'indagine svolta dal P.M. e le ulteriori integrazioni probatorie assunte direttamente in sede di udienza preliminare noti fanno ritenere acquisibili ulteriori elementi che debbano imporre, in una valutazione prognostica, il vaglio dibattimentale.

Tali complessivi elementi portano a prosciogliere l'imputato perché il fatto non costituisce reato.

I ricettari, le ricette ed i fogli in sequestro vanno restituite a Inzani Giorgio.

 

P.Q.M.

 

visti gli artt. 424 c.p.p.

 

DICHIARA

 

non luogo a procedere a carico di INZANI GIORGIO dal reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato.

 

ORDINA

 

la restituzione dei ricettari, delle ricette e dei fogli in sequestro a INZANI GIORGIO.

 

Cosi deciso in Milano, il 10 aprile 2000.

 

L'AUSILIARIO

Dott.sa Michela Castaldo

 

IL GIUDICE

Claudio Castelli

proc. n. 6493/97 R.G.N.R

pm, n. 4827/97 R.G.  G.i.p.

 

Info e adesioni: Giorgio Inzani

Ultimo aggiornamento: 07/08/2000