LA DISTILLAZIONE

 
E’ dalla distillazione che viene fuori il whisky. Come si sa la distillazione consiste sostanzialmente nel convertire un liquido in vapore e quindi far condensare quest’ultimo in modo da avere di nuovo un liquido. Il whisky scozzese di malto delle Highlands era ed è tuttora distillato in alambicchi di rame a forma di pera, i pot still.
Di questi, ogni distilleria deve possederne almeno due: 
uno, il wash still, in genere dal collo più grosso, per la 
prima distillazione, quella appunto del wash, da cui si 
ottengono i low wines, i “bassi vini”, e l’altro, il low 
wines still, per la seconda distillazione, quella dello 
spirito impuro e diluito dei bassi vini, dalla quale si 
ottiene il whisky. Ecco dunque come funziona l’antico 
e semplice processo della distillazione: il liquido viene 
riscaldato fino a farlo evaporare, il vapore sale per il 
collo dell’alambicco e quindi riscende attraverso la 
serpentina, dove la bassa temperatura prodotta dall’acqua fredda in cui è immersa lo fa di nuovo condensare in liquido. Il distillato del wash, prima di riversarsi nel cassone dei bassi vini e da qui proseguire per l’alambicco dei medesimi per esservi ridistillato, passa nella spirit safe, la “cassaforte dello spirito”. Da questa cassaforte passa anche il distillato dei bassi vini, e fino a quando esso non ha perso tutte le impurità e non è diventato vero whisky non viene immesso nello spirit receiver, il cassone dello spirito. Come i primi fiotti del distillato, i foreshots, anche gli ultimi, i feints, cioè quelli fasulli, sono pieni di impurità e vengono perciò avviati in un cassone apposito, il feints receiver, per essere ridistillati con i bassi vini e con i foreshots nella successiva lavorazione. Quella di produrre del whisky decente è una cosa che dipende dalle capacità dello stillman, il responsabile della distillazione. E’ lui, infatti, che sulla base di determinate prove decide quando quello che viene fuori dall’alambicco dei bassi vini è un distillato che può andare. Se aggiungendo acqua a un foreshot limpido, questo diventa torbido, vuol dire che ancora non ci siamo. Quando invece, aggiungendovi acqua, esso resta limpido, significa che quello che viene giù è vero whisky. La spirit safe attraverso la quale viene fatto passare il distillato è 
una specie di grosso sarcofago di ottone con le pareti di 
vetro.Essa è fatta in modo che, girando apposite chiavette, 
lo stillman può far passare lo spirito in un recipiente munito
di uno strumento per la misurazione del peso specifico, 
oppure diluirlo con una certa dose di acqua distillata. 
E’ opportuno che queste operazioni si svolgano sotto vetro 
e che lo spirito non sia a portata di mano per l’assaggio 
diretto in quanto il funzionario della dogana è responsabile 
del controllo e della custodia della quantità di spirito prodotta. 
Sempre all’esterno della cassaforte, una manovella permette 
di far passare il whisky ritenuto buono nell’apposito cassone. 
Tutto quello che non è giudicato tale, e cioè i foreshots e i feints, viene avviato nel cassone dei bassi vini e dei feints e ridistillato. Quella di fare il whisky è un’arte. Un errore può anche, lì per lì, passare inavvertito, ma può avere conseguenze disastrose per l’aroma del whisky, conseguenze di cui ci si renderà conto solo dopo diversi anni, quando cioè il distillato sarà venuto a maturazione completa e avrà sprigionato tutto il suo potenziale aromatico. La mistica del whisky e la differenza che c’è tra la sue produzione e quella degli altri prodotti industriali moderni si riscontra anche nella assoluta artigianalità delle distillerie. Infatti la disposizione non sempre è delle più razionali. Uno pensa che i passaggi da una fase all’altra della lavorazione scorrano in maniera ininterrotta, ma in molte vecchie distillerie la mancanza di spazio costringe ad andare avanti e indietro, su e giù, com’è tipico delle produzioni artigianali. Un caso tipico è quello della distilleria di Clynelish nel Sutherland. Quando chi scrive, insieme ai due suoi compari, arrivò sul posto fu subito colpito da uno strano tubo sorretto da piloni che univa due parti distaccate della distilleria. Così interrogammo la piacevole biondina che ci faceva da guida sui motivi di quella strana costruzione. I proprietari, stanchi dopo l’ennesimo incendio, avevano deciso di abbandonare le vecchie strutture in legno e di costruirne delle nuove ad un centinaio di metri su una collinetta. Il problema si poneva però per i magazzini di invecchiamento: infatti ricreare le condizioni microclimatiche che in passato avevano dato così eccellenti risultati era un rischio notevole. Fu così che decisero di lasciare il vecchio deposito per la maturazione e di collegarlo alla nuova distilleria con un whiskydotto. Tornando alla distillazione, la forma e le dimensioni dell’alambicco a fuoco diretto influiscono sulla qualità del whisky prodotto. Nel campo delle distillerie di malto la gente è conservatrice, non ama apportare variazioni alle attrezzature, ivi comprese la forma e le dimensioni degli alambicchi, per cui anche quando ne montano uno nuovo, in genere preferiscono che sia identico a quello vecchio. Il risultato è che brewers e stillmen tendono a crearsi una loro mistica, a insistere che la loro è arte in cui gioca una parte notevole l’istinto affinatosi in un’esperienza di anni, spesso ereditaria. Certi brewers hanno talmente paura che anche il minimo cambiamento possa influire sul loro prodotto da non permettere che nella stanza dei tini si tiri via perfino una ragnatela. Una mistica che spesso è data dal fatto che fino a quando il whisky non è maturato è assolutamente impossibile avere la certezza della sua qualità. Altro mistero trascendente (o forse dionisiaco) è l’aroma di torba che può essere dato al whisky in maniera più o meno forte, e quanto all’acqua c’è chi sostiene che la migliore è quella che viene fuori dal granito attraverso la torba, mentre altri affermano che produce un whisky migliore quella che viene fuori dalla torba attraverso il granito.