Materiali didattici di italiano per stranieri, a cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi, Scuola d'Italiano Roma

 
   

Giulia Grassi

 

LA SATIRA AL TEMPO DEI PAPI: PASQUINO

 
  Pasquino e le statue parlanti di Roma
 

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Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini, cioè "Quello che non hanno fatto i barbari, hanno fatto i Berberini.
Questa frase molto famosa è una "pasquinata" dedicata a Urbano VIII Barberini (1623-1644): è il papa che ha permesso di usare le decorazioni in bronzo del Pantheon per fare il Baldacchino di San Pietro in Vaticano.
Le "pasquinate" sono perciò gli scritti satirici che, per secoli, sono stati messi su una statua frammentaria conosciuta come Pasquino. La statua si trova su un lato di Palazzo Braschi a Roma, vicino a Piazza Navona.
 
È una delle statue parlanti di Roma. Sono chiamate così perché su queste sculture, collocate in luoghi ben visibili, di notte erano messi dei cartelli con scritti satirici anonimi, in genere contro i papi. Altre statue parlanti famose sono Marforio, che si trova nel cortile del Museo Capitolino in Campidoglio ma che un tempo era ai piedi del colle; e Madama Lucrezia a Piazza San Marco, vicino al palazzetto Venezia. E altre ancora. Ma Pasquino è la più conosciuta.

In tutti e tre i casi si tratta di sculture antiche. Pasquino in origine faceva parte di un gruppo statuario con Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente. Si tratta della copia romana in marmo di un'opera originale in bronzo, forse fatta dallo scultore Antigonos (240-230 a.C.), nato nella città di Pergamo (Turchia).
I resti di questo gruppo statuario sono stati trovati per caso nel 1501 e sistemati su un angolo del palazzo Orsini (oggi Braschi); forse faceva parte della decorazione dello Stadio di Domiziano (l'attuale Piazza Navona).
La statua di Pasquino con appeso al collo un cartello con scritti satirici
 
Perché il nome Pasquino? Per qualcuno Pasquino era il nome di un sarto (ma c'è chi dice di un barbiere) che parlava male di papi e cardinali; per altri era il nome di un
professore della zona. In ogni caso, dal 1501 la statua è stata la voce dei romani: con i loro scritti anonimi potevano criticare papi e principi, cosa che non potevano fare apertamente.

Ecco qualche altra pasquinata famosa:

Per la morte di papa Alessandro VI Borgia (1492-1503), accusato con tutta la sua famiglia di violenza, lussuria e crudeltà:
Qui giace Alessandro sesto. È sepolto con lui / quanto venerò: il lusso, la discordia, l’inganno, / la violenza, il delitto.

Per la morte di papa Leone X Medici (1513-1520), famoso perché prometteva il Paradiso in cambio di soldi ("vendita delle indulgenze"), soldi che usava per pagare i grandi progetti artistici a Roma e a Firenze: Gli ultimi istanti per Leon venuti, / egli non poté avere i sacramenti. / Perdio, li avea venduti!

Dopo la morte di papa Clemente VII de' Medici (1523-1534), provocata forse dalla scarsa bravura del suo medico, sulla statua viene messo il ritratto del medico con la scritta: Ecce qui tollit peccata mundi (Ecco quello che toglie i peccati del mondo).

Per la morte di Paolo III Farnese (1534-1549), papa grandissimo ma accusato di "nepotismo", cioè di avere concesso ricchezze e poteri ai suoi parenti: In questa tomba giace / un avvoltoio cupido e rapace. / Ei fu Paolo Farnese, / che mai nulla donò, che tutto prese. / Fate per lui orazione: / poveretto, morì d'indigestione.

Contro Donna Olimpia Pamphilj (Pimpaccia), la cognata di Papa Innocenzo X Pamphilj (1644-1655): Per chi vuol qualche grazia dal sovrano / aspra e lunga è la via del Vaticano. / Ma se è persona accorta / corre da Donna Olimpia a mani piene / e ciò che vuole ottiene. / È la strada più larga e la più corta.

Famosa la pasquinata contro Napoleone Bonaparte, che aveva il vizio di prendere le opere d'arte nei paesi conquistati e portarle in Francia. Si tratta di un colloquio con Marforio:
Marforio: È vero che i francesi sono tutti ladri? / Pasquino: Tutti no, ma BonaParte! 
 

Ricostruzione del gruppo statuario di Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente, conosciuto come "Pasquino",
a cura di Bernhardt Schweitzer (Leipzig, Institut für Klassische Archäologie der Universität)

 

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