Il
carcinoma spinocellulare ed i suoi precursori (carcinomi in situ o PIN 3) pur
rappresentando il 90-95% dei tumori maligni primitivi del pene costituiscono,
nei paesi industrializzati, meno dello 0,5% di tutte le neoplasie riscontrabili
nel sesso maschile. La frequenza aumenta decisamente in alcuni paesi del
“terzo mondo” dove può arrivare al 10-20% ed è in relazione sia al livello
socio culturale che alle usanze religiose. Esempio tipico è quello indiano dove
l’incidenza del carcinoma è estremamente elevata nella popolazione Indù
mentre è raro in quella mussulmana che usa praticare la circoncisione
nell’adolescenza. Fra
i fattori predisponesti riconosciuti vi sono infatti: la fimosi che condiziona
una scarsa igiene personale favorendo l’azione irritativi esercitata dallo
smegma e l’infezione da HPV (ceppi
16 e 18) (1). La
neoplasia origina dall’epitelio modificato che riveste la superficie interna
del sacco prepuziale, il solco ed il glande. Macroscopicamente può avere uno
sviluppo vegetante o ulcero-infiltrante e si caratterizza per una lenta
evoluzione locoregionale per cui la disseminazione ematogena è rara e tardiva.
Metastasi ai linfonodi inguinali si riscontrano, alla prima osservazione, in
circa il 30% dei casi. Le
lesioni benigne che possono mascherare il carcinoma sono numerose; nel dubbio è
pertanto buona regola procedere all’accertamento istologico. Un
accurato esame clinico è alla base di una corretta stadiazione. L’ispezione e
la palpazione del pene e dei linfonodi regionali consentono di predire con buona
approssimazione sia il grado di infiltrazione del tumore primitivo (cT) che la
presenza di metastasi linfonodali (cN). Nei casi dubbi, lo studio del grado
d’infiltrazione, può essere completato con l’esecuzione di: ecografia, RMN
ed eventualmente anche con la cavernosografia. Il giudizio sullo stato dei
linfonodi (sempre nei casi dubbi) andrebbe sempre posticipato di 3-4 settimane
dopo il trattamento del tumore primitivo per consentire la regressione dei
fenomeni flogistici che accompagnano la presenza del carcinoma del pene. Utili
sono senz’altro: la citologia mediante ago aspirato, l’ecografia, la TAC o
RNM (per lo studio dei linfonodi pelvici) e la biopsia del linfonodo sentinella
individuato con la linfoscintigrafia. La nostra esperienza ha evidenziato che i
più frequenti errori di stadiazione per il tumore primitivo riguardano i cT2
che in un quarto dei casi, all’esame istologico definitivo, sono in realtà
dei pT1 e l’N1 clinico alla diagnosi che in quasi il 30% sono, in realtà, dei
pNo (2). In
letteratura esistono almeno 7 diversi sistemi di classificazione anche se i più
utilizzati son quello in stadi proposto da Jacksoned il TNM (UICC1997). Qest’ultimo
ha il pregio di descrivere in modo analitico e soddisfacente le diverse
evenienze cliniche che si possono incontrareconsentendo così un facile
confronto fra le diverse esperienze riportate in letteratura (3).
1:
Gregoire L. et al.: Preferential association of human papillomavirus with
high-grade histologic variants of penile-invasive squamous cell carcinoma. J.
Natl. Cancer Inst. 1995; 87:1705-1709.
2:
Piva L. et al.: Therapeutic alternatives in the treatment of class T1N0 squamous
cell carcinoma of the penis: indications and limitations. Arch. Ital. Urol.
Androl.1996; 68: 157-161.
3:
UICC: TNM classification of malignant tumors. IV
ed., Springer-Verlag, Heidelberg, 1997.