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Le pagine che seguono raccolgono cinque contributi in relazione ai nuovi curricoli riuniti nel Dossier "Le associazioni disciplinari per i nuovi curricoli" uscito in "Progettare la scuola", ed. La Nuova Italia, n. 7 (luglio – agosto 2000), pp. 24-41 (manca soltanto l’apertura di E. Lugarini di cui non posseggo il file). Vi si dà conto di quanto emerso nel II convegno bolognese sul tema:

 

Associazione "Progetto per la scuola" - Bologna

Forum delle Associazioni disciplinari della scuola – Bologna

Associazioni disciplinari nazionali della scuola

"UNA FILOSOFIA PER I NUOVI CURRICOLI DELLA SCUOLA RIFORMATA:

IL CONTRIBUTO DELLE ASSOCIAZIONI DISCIPLINARI"

II giornata nazionale di studio

Bologna, 6 maggio 2000

 

 

INDICE :

    "Competenze e nuclei fondanti. La grammatica dei nuovi curricoli"
    di Sandra Garulli,, Associazione "Progetto Per la scuola"

    "Nuclei fondanti e criteri di selezione dei contenuti prioritari: riconoscimento dell’identità e incontro con l’alterità nel  tempo e nello spazio antropico e naturale"
    di Roberto Fiorini, Associazione "Progetto Per la scuola"

 

 

Quale filosofia per i nuovi curricoli della scuola riformata?
di Rossella D’Alfonso, Associazione "Progetto per la scuola"

1. Quadro e finalità

Rifondare il sistema formativo nei suoi presupposti culturali e nei suoi cardini strutturali comporta ripensare il ruolo della scuola nella società, quali siano i saperi essenziali ad essa e agli individui, quali strumenti normativi, strutture e metodi di insegnamento siano più adatti a favorire l’apprendimento. A questo abbiamo dedicato molti sforzi negli anni in cui la cornice normativa si precisava attorno all'autonomia delle istituzioni scolastiche, regolata poi dal DPR 275 del marzo 1999, al centro di una costellazione di provvedimenti che richiamano l'attenzione sullo sviluppo delle conoscenze, delle capacità e soprattutto delle competenze.

Ora, il riordino dei cicli è legge dello stato e l'autonomia andrà a regime fra pochi mesi: le disposizioni transitorie in merito ai programmi ed agli ordinamenti di studio non possono surrogare ancora a lungo gli adempimenti previsti dall'art.8 del DPR 275 e dalla L.30 del 10/2/2000. Ridefinire i curricoli nazionali di studio dando un quadro di riferimento certo alle scuole è l’operazione ormai ineludibile che tutti attendono da parte del ministero: le scuole cominciano a cogliere le opportunità che la normativa prevede (a partire dall'art.11 del DPR 275) per ridefinire i piani formativi, ma l'assenza di standard di riferimento e di traguardi comuni rischia di minare l'omogeneità nazionale, di cui il sistema pubblico dell'istruzione e della formazione deve farsi garante, e di rendere impossibile il dialogo fra sistemi.

Ai curricoli "Progetto per la scuola" e le associazioni disciplinari hanno dedicato due giornate nazionali di studio, l’8 maggio 1999 e il 6 maggio scorso, a Bologna. Il nostro impegno è di continuare a stimolare il dialogo con le istituzioni e con l’intellettualità che su questi temi ragiona per tradurre la propria indagine in proposte operative. E’ capitale infatti costruire un’intesa su quale paideia sottendere alle scelte anche ordinamentali della nuova scuola riformata e di conseguenza alla riformulazione dei curricoli di studio, tenendo conto della complessità estrema del contesto.

Il bisogno primario dei giovani di decifrare il presente così difficile nel quale vivono e di costruire la propria identità ed il proprio ruolo in esso impone infatti di rivedere finalità, contenuti e metodi dell’insegnamento. La globalizzazione dei modelli culturali e di comportamento, prima che dei mercati, rende indispensabile a ogni giovane e cittadino tanto rinsaldare la propria identità storica e culturale al livello nazionale e supernazionale (europeo), quanto saper dialogare linguisticamente e (inter)culturalmente con gli altri, praticando lo scambio e la tolleranza, e in definitiva le regole del vivere civile, accedendo insieme alle fonti d’informazione in maniera attiva e consapevole. Le esigenze legittime imposte dalla dinamicità del quadro socioeconomico, che chiede ai giovani competenze trasversali e spendibili anche nel mondo produttivo, non debbono perciò sacrificare né il profilo formativo globale di ogni persona né la costruzione di una cultura solida a sostegno di questo e di quelle. Il sistema da costruire dovrebbe pertanto "essere capace di riorientare i saperi ‘irrinunciabili’ consolidati dalla tradizione e significativi per la strutturazione dell’identità culturale individuale e sociale integrandoli ad altri, prodotti della modernità […] e richiesti dalle trasformazioni socioculturali contemporanee, per tradurli in competenze durevoli, applicabili dai discenti anche fuori dei contesti di partenza e anzi in contesti affatto nuovi".

2. Competenze, nuclei fondanti, contenuti prioritari: il codice dei nuovi curricoli

Cosa intendiamo per "competenza" nell’istruzione è noto: "ciò che, in un contesto dato, si sa fare (abilità) sulla base di un sapere, cioè di conoscenze sia esperite sia concettualizzate, per raggiungere l’obiettivo atteso e produrre conoscenza; è quindi la disposizione a scegliere, utilizzare e padroneggiare le conoscenze, capacità e abilità idonee, in un contesto determinato, per impostare e/o risolvere un problema dato". Va sottolineato il carattere non ‘tecnicistico’ della definizione, che punta piuttosto sulla costruzione da parte del discente, assistito dal docente, della propria cultura, e sulle operazioni mentali necessarie a questo, sulle capacità cioè che si traducono in competenze (e solo come tali sono osservabili e valutabili) allorché sono messe in campo in situazione e che non possono darsi a prescindere dalle conoscenze in cui si radicano.

Ripensare la paideía svincolandosi da una concezione della scuola come luogo di sola trasmissione invece che di costruzione della cultura implica che il raggiungimento di competenze certificabili debba coniugarsi all’attenzione alla processualità, ai ritmi e agli stili individuali dell’apprendere, alla relazione fra i saperi ed il loro uso sociale, ai valori civici che devono permeare ogni attività della vita formativa ed innervarsi nelle discipline. Implica altresì il riconoscimento che la trasferibilità delle competenze acquisite da un ambito a un altro non è affatto automatica, ma richiede da parte di studiosi e insegnanti un lavoro specifico di ‘traduzione’ del linguaggio di ogni ambito disciplinare e di esplicitazione delle operazioni sottese ai percorsi proposti e della loro analogia con altri ambiti. Le competenze sono infatti riconducibili e pochissime operazioni, comuni a tutte le discipline e in questo senso trasversali: saper selezionare i dati pertinenti, saper leggere (analizzare, interpretare,…), generalizzare, strutturare (confrontare, modellizzare,…), comunicare; ciascuna disciplina (o ambito) le declina però con contenuti, metodi e linguaggi specifici.

Inoltre, il riconoscimento che le competenze sono poche e comuni comporta una graduazione nel perseguirne e certificarne il raggiungimento: e questo implica a sua volta una prospettiva di curricolo verticale, e dunque di continuità dalla scuola dell’infanzia al triennio secondario, in cui si ritorni sulle stesse competenze a livelli diversi di complessità (di metodi e contenuti) e di concettualizzazione. L’attenzione alle competenze ‘ordina’ l’insegnamento all’apprendimento, e l’individualizzazione e l’opzionalità conseguenti di parte dei percorsi, contemperate dagli elementi comuni dei curricoli nazionali, consentono di porre al centro le esigenze degli apprendenti e di rinsaldarne il senso di responsabilità e la motivazione. La certificazione dei livelli di competenze raggiunti poi ridà anche consistenza ai titoli di studio, si pone alla base di un sistema pattizio di crediti (e debiti) formativi e garantisce ad un sistema siffatto la riconoscibilità all'esterno, da parte delle altre istituzioni scolastiche, di altri sistemi formativi, del mondo produttivo.

Passaggio obbligato a questo punto è la definizione dei criteri di scelta dei contenuti dell’insegnamento e dell’apprendimento. Il ripensamento degli statuti epistemici delle discipline e della loro relazione con le discipline insegnate e pertanto con la loro didattica è cruciale per comprendere quale contributo ciascun ambito disciplinare possa fornire a questa prospettiva. Viene di qui la riflessione avviata sui ‘nuclei fondanti’ delle discipline, intesi in un'accezione generale e astratta, tale da caratterizzarne la struttura, anche epistemologica: "concetti fondamentali che ricorrono in vari luoghi di una disciplina e hanno perciò valore strutturante e generativo di conoscenze", orientano cioè la scelta dei contenuti prioritari dell'insegnamento e dell'apprendimento.

3. La giornata di studio del 6 maggio 2000

Sono questi i nodi attorno ai quali si è incentrata la seconda giornata nazionale di studio di Bologna "Una filosofia per i nuovi curricoli della scuola riformata: il contributo delle associazioni disciplinari", articolata in due tavole rotonde, dedicate rispettivamente a "Competenze e nuclei fondanti: la grammatica dei nuovi curricoli" e a "Nuclei fondanti e criteri di selezione dei contenuti prioritari: riconoscimento dell’identità e incontro con l’alterità nel tempo e nello spazio antropico e naturale" (cfr. infra la sintesi).

Definite infatti le competenze specifiche ed i nuclei fondanti delle discipline, la selezione dei contenuti, da questi evinti, prioritari per il loro sviluppo e apprendimento è subordinata alle finalità assegnate al sistema dell'istruzione e della formazione. Tra queste, appare primaria e condivisa che i giovani diventino capaci di costruire il loro sapere, che, per essere aperto consapevolmente e criticamente al nuovo, ma capace di opporsi ai pericoli dell’omologazione, deve essere solido nei fondamenti scientifici e culturali, dare strumenti per interpretare il presente, il mondo intorno a sé e se stessi, ed essere perciò ben radicato nella tradizione e nel dialogo con gli altri. Ma la tradizione va vista non come un canone autoritativo e mummificato, bensì un patrimonio cui, nel pieno rispetto della sua identità, rivolgere domande motivate da interessi e bisogni presenti e urgenti, così da costruire, entro quella collettiva, la propria memoria, con lo stesso spirito con il quale gli umanisti del Tre e del Quattrocento e gli scienziati del Rinascimento e dell’età barocca indagavano, con sguardo scevro ormai dell’ossequio al principio d’autorità, le età antiche, il mondo fisico, il linguaggio matematico che ne offriva la chiave di lettura.

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Sintesi della giornata di studio

La necessità di riformulare i curricoli di studio nell'ottica di una rifondazione dei saperi e del loro ruolo nella scuola riformata è stata oggetto dell'introduzione ai lavori della giornata di Rossella D'Alfonso, presidente dell'associazione "Progetto per la scuola", che ha insistito sull'importanza del lavoro comune delle associazioni, che le ha portate a condividere finalità, linguaggio e metodi, e di aprire sempre più il dialogo con le istituzioni e con altri soggetti. Se il traguardo delle competenze invita a costruire i curricoli ponendosi dal punto visuale del discente e dunque a sottolineare il ruolo di una didattica non trasmissiva, riconoscere che è bisogno primario dei giovani essere capaci di decifrare il mondo, antropico e fisico, e di agire in esso riconoscendo la propria identità e dialogando consapevolemente con le altre culture, con l'antico, con il mondo della natura, conduce la riflessione sui nuclei fondanti delle discipline non solo a dipanare in un curricolo verticale, nell'ottica dell'integrazione reciproca, i contenuti prioritari adatti a ciascun ciclo e indirizzo, ma a sceglierli muovendo proprio dalle esigenze cogenti della contemporaneità.

  1. "Competenze e nuclei fondanti. La grammatica dei nuovi curricoli"
  2. di Sandra Garulli, ASSOCIAZIONE "Progetto Per la scuola"

    Alla prima tavola rotonda hanno partecipato rappresentanti di SCI/DD (chimica), AIF (fisica), GISCEL (educazione linguistica), CLIO ’92 (storia), LEND (lingue), TESOL ITALY (inglese) e sono intervenuti rappresentanti di ADI (italiano), ANISN (scienze naturali), UMI (matematica), APS - Sez. lingue e culture classiche. Tra i convenuti si è stabilita una sostanziale convergenza di vedute, innanzitutto a partire dal Glossario minimo condiviso da tutti.

    Fabio Olmi (SCI/DD) introduce la I tavola rotonda rivisitando il concetto di apprendimento e, dopo aver osservato la larga condivisione ormai raggiunta sul termine competenza, focalizza l’attenzione sul concetto di nucleo fondante (NF) analizzando le diverse prospettive dalle quali ad esso si può guardare: da quella della disciplina oppure da quella dell’apprendimento; da ciò l’esigenza di fare chiarezza. In particolare, quando parliamo di nuclei fondanti delle discipline possiamo senz’altro rifarci alla nota definizione del Forum (25/2/2000). Se però i nuclei fondanti fanno riferimento alla struttura formativa delle discipline, sono cioè nuclei fondanti dell’apprendimento, allora non è possibile ricavarli solo dalla riflessione interna alle discipline stesse, rimanendo unicamente ancorati, cioè, al piano storico-epistemologico, ma dovremo tener conto contemporaneamente anche delle dimensioni psicopedagogica e didattica: la loro definizione non può essere ristretta ad un’operazione disciplinare, ma deve avere un respiro multidisciplinare. Una possibile formulazione di nucleo fondante dell’apprendimento potrebbe essere la seguente:

    "i nuclei fondanti dell’apprendimento, attorno ai quali si costruisce il curricolo scolastico, costituiscono i concetti più significativi, generativi di conoscenze e ricorrenti in vari punti dello sviluppo di una disciplina, ricavati analizzandone la struttura tenendo conto sia degli aspetti storico-epistemologici che di quelli psicopedagogici e didattici".

    Particolare attenzione andrà posta poi al modo di articolazione dei nuovi curricoli. Olmi si chiede, infine, quali competenze siano necessarie allora per la stesura dei nuovi curricoli e sostiene che rivestono un ruolo centrale le Associazioni disciplinari nel cui ambito sono presenti l’insieme delle competenze necessarie a coprire tutti gli aspetti della progettazione curricolare. Sarà necessario, però, che tali Associazioni collaborino strettamente tra loro.

    Gli interventi dei rappresentanti dell’area linguistica condividono innanzitutto la necessità della formulazione di curricoli verticali, che traccino un disegno globale delle competenze e dei saperi. Anna Rosa Guerriero (GISCEL) propone un curricolo che conferisca centralità al saper fare e al suo carattere processuale e garantisca una chiara ed esplicita certificazione delle competenze. L’enunciazione delle norme curricolari dovrà tenere conto, in un primo periodo, delle difficoltà iniziali della riforma, dovrà partire dai concreti bisogni degli allievi, definire obiettivi nazionali omogenei come traguardi irrinunciabili, alcuni standard (prestazioni attese in riferimento a particolari competenze osservabili e certificabili) e le prove modello per accertarli e certificarli, considerando le caratteristiche di ciclicità e ricorsività dell’educazione linguistica, che procede con andamento a spirale piuttosto che lineare e sequenziale. Le procedure e le pratiche dell’apprendimento si rivolgeranno ad uno studente attivo, che ha la possibilità di personalizzare l’accesso ai saperi, e terranno conto della dimensione coevolutiva dell’insegnare e dell’apprendere, in cui il docente non è un mero trasmettitore di conoscenze, ma colui che aiuta il discente ad orientarsi nella molteplicità delle vie d’accesso ai saperi. In questo panorama i NF, operativi e strutturali, individuano i contenuti essenziali ed irrinunciabili dell’insegnamento; nella disciplina "italiano", essi riguardano essenzialmente le abilità linguistiche e la riflessione sull’uso della lingua, di cui è parte l’educazione letteraria. Esse convergono nell’idea di testo come unità comunicativa; saranno quindi presenti fin dalla scuola di base e mireranno, con strumenti graduati, a favorire il piacere della lettura, a far scoprire la ricchezza della lingua e l’accesso consapevole alla propria identità culturale. L’educazione linguistica si presta poi ad essere patrimonio trasversale di tutte le discipline: dovrà quindi essere strumento comune di tutti gli insegnanti per comunicare ed insegnare.

    Secondo Franca Quartapelle (LEND) la scuola deve trasmettere i saperi disciplinari collegandoli in una rete complessa. I curricoli non potranno pertanto avere carattere enciclopedico e le metodologie didattiche dovranno seguire un’ottica integrata, superando le attuali rigidità. L’elaborazione dei curricoli disciplinari delle lingue straniere segue le indicazioni del Framework o Cadre de référence del Consiglio d’Europa (Strasbourg 1996), che articola la padronanza linguistica su sei livelli. Ciò premesso, per la definizione dei NF di queste discipline si è ricorso, con riferimento alle finalità, ai concetti relativi all’ambito etico (democrazia, evoluzione, cultura), relazionale (atti che consentono di intrattenere rapporti, variabilità linguistica) e cognitivo (nozioni universali, linguistiche, storico - culturali).

    I principi dell’apprendimento delle lingue sono quindi, come ha ricordato Lucilla Lopriore (TESOL ITALY), la funzionalità e la variabilità della lingua, il cui apprendimento deve essere continuo, legato a contesti significativi ed interattivi ed alla competenza in lingua madre; ha quindi carattere culturale e trasversale; particolare attenzione va posta alla peculiarità dell’inglese come lingua veicolare anche per i non anglofoni.

    In linea con queste proposte si è posto l’intervento di Stefano Rovinetti (APS - Sez. di lingue e culture classiche), che ha ribadito la necessità di un rinnovamento dell’insegnamento delle lingue classiche, dando maggiore spazio alle competenze lessicali oltre che sintattiche e abbandonando la pretesa dell’esaustività teorica a favore di strumenti essenziali che consentano la comprensione e l’interpretazione dei testi antichi. Anche in questo ambito dunque i NF sono da individuarsi nella testualità e nella variabilità linguistica.

    Nell’area delle scienze umane e storiche, l’intervento di Ivo Mattozzi (CLIO ’92) ha esemplificato, in relazione alla scuola di base, il rapporto fra competenze e NF: l’insegnamento della storia mira a sviluppare competenze temporali, spaziali, della tematizzazione e della classificazione. La costruzione del sapere storico si prepara attraverso un lungo training che coinvolge sia le conoscenze propedeutiche sia la conoscenza del metodo storico. I NF consistono, per CLIO ’92, nel sapere metodologico e nel significato della storia come conoscenza controllabile del passato, nella mappa del passato del mondo attraverso la strutturazione di quadri di civiltà e infine nella mappa dei problemi storici ottenuta dalla comparazione dei quadri di civiltà. Essi sono "tra di loro collegati curricolarmente nel senso che i primi fondano le condizioni per lo sviluppo degli altri e che i susseguenti sono disposti per capitalizzare e sviluppare il patrimonio di conoscenze e competenze già costruite".

    E’ poi seguito un denso dibattito. Il contributo di Laura Goggi (ADI) punta l’attenzione sulla necessità di raccordare chiaramente competenze e certificazioni e di descrivere le competenze stesse, per evitare un impatto negativo dei nuovi curricoli su insegnanti che sono ancora, in gran parte, estranei alla discussione. L’ADI, dice, è senz’altro disponibile al confronto con APS ed il Forum. Ornella Robutti (UMI) ha poi sottolineato quanto vi sia di positivo in una visione dell’insegnamento strutturata come rete tra NF e competenze: l’istruzione può essere vista, metaforicamente, come una casa le cui fondamenta sono le competenze trasversali, a cui seguono, sui piani successivi, le competenze disciplinari, i NF, i contenuti e gli obiettivi. Bisogna prestare attenzione a che la programmazione modulare non infranga la necessaria unitarietà e organicità, in senso sia verticale sia orizzontale, della proposta didattica.

    A conclusione della mattinata, l’interesse del MPI per i lavori di APS e del Forum delle associazioni disciplinari è stata espresso dall’Ispettore Elena Bertonelli: essi tengono il timone di un percorso coerente all’interno di uno stesso orizzonte di senso per il quale la scuola deve essere considerata nella sua prospettiva formativa, in un rapporto dialettico con la ricerca disciplinare: è ragionando sui nuclei forti che le discipline accademiche possono essere trasferite nella scuola ad uso dei discenti. La strutturazione dei curricoli per competenze, NF e contenuti essenziali deve naturalmente rispondere a finalità educative trasversali.

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  3. "Nuclei fondanti e criteri di selezione dei contenuti prioritari: riconoscimento dell’identità e incontro con l’alterità nel tempo e nello spazio antropico e naturale"
    di Roberto Fiorini, ASSOCIAZIONE "Progetto Per la scuola"

Il pomeriggio della giornata di studio è stato occupato dalla seconda tavola rotonda e dalle conclusioni di Adriano Colombo e Mario Pinotti. La tavola rotonda - cui partecipavano Luciano Stupazzini, del settore Lingue classiche di APS, Clementina Todaro (ANISN, scienze naturali), Aurora Del Monaco (INSMLI/LANDIS, storia), Lucia Arena (AIIG, geografia) e Franco Paris (SFI, filosofia) - aveva un titolo impegnativo e certamente difficile. In realtà, lo svolgimento delle relazioni della prima tavola rotonda aveva ampiamente chiarito l’importanza e l’urgenza di quella discussione. Da quella prima tavola rotonda era emerso con chiarezza che i contenuti e le conoscenze disciplinari trovano il proprio significato didattico in quanto base su cui impostare lo sviluppo delle abilità e delle competenze. E, ancora a livello disciplinare, risultava ormai chiaro il valore dei nuclei strutturali fondanti, come principi in base ai quali sviluppare la grammatica interna alle varie discipline. Risultava chiaro, insomma – come le conclusioni di Mario Pinotti metteranno in evidenza - che le discipline non possono essere più intese come somma di contenuti più o meno strutturati sulla base dei propri statuti accademici, ma concepite invece come articolazione di una sintassi didattica, sganciata da quella accademica e centrata sul rapporto pedagogico tra docente e allievo.

Ma quando ci si sposta al problema dell’interrelazione delle discipline nell’ambito dei curricoli, se da una parte si deve porre il problema delle competenze trasversali e metodologiche, si deve d’altra parte cominciare a pensare a quali nuclei fondamentali possano strutturare l’aggregazione delle discipline. Insomma, se i programmi concepiti come sommatoria di conoscenze non possono ormai dire nulla alla società contemporanea, quale altra struttura formativa forte si potrà sostituire a quella che quei curricoli sviluppavano? Quale altra filosofia informerà i curricoli della nuova scuola italiana?

La relazione di Del Monaco ha catturato l’attenzione del pubblico con una considerazione secca: nel novembre del 1999, alla conclusione del secolo e del millennio, la riunione delle massime potenze europee a Stoccolma ha riconosciuto nella Shoah il punto di riferimento dell’identità europea; l’impegno a che non si possa mai più ripetere un tale orrore è stato riconosciuto compito essenziale della Scuola. Che cosa significa questo, se non riconoscere in un evento straziante - uno strappo e una ferita - la matrice dell’identità di un’intera civiltà, che si riconosce nel nome di Europa? Che cosa significa questo se non affermare che un’identità può costruirsi anche attraverso una scissione, un confronto, un rapporto problematico con l’altro, con ciò che si vorrebbe rimuovere e non si può rimuovere, con un ricordo il cui senso sfugge ma la cui presenza dilacerante deve in qualche modo essere tenuta presente di fronte a sé? Nella pratica scolastica - prosegue Del Monaco - noi sappiamo per certo che la pura e semplice conoscenza delle vicende della Shoah non è di per sé garanzia che l’orrore non si ripeta: il rischio, nei migliori dei casi, è che quell’avvenimento sia sentito dagli allievi, anche dai migliori e più motivati, come un male assoluto, un irrimediabile orrore, uguale ed identico ad altri orrori, di cui la storia diviene il racconto ripetuto e uniforme. Ciò significa che tra le identità che noi vogliamo strutturare attraverso le conoscenze e quelle che otteniamo si apre una distanza incommensurabile. Viene allora il dubbio, del tutto condivisibile, che si debba riformulare l’impostazione del problema: non più mirare alla costruzione di identità culturali la cui forza deriva da conoscenze strutturate, ma puntare a consolidare una serie di esperienze storiche come possessi culturali. Allora il nucleo fondante non sarà forse il Senso Moderno della Storia, ma la pluralità delle esperienze di confronto tra differenti modalità di interpretare il senso degli avvenimenti. Il confronto con l’altro e il diverso apre la possibilità, per esempio, di trattare il problema della nazione a partire non solo dall’idea di "unione", ma anche da quella di "divisione"; non solo a partire dall’idea di "possesso di un territorio", ma anche da quella di "abbandono" di esso; non solo dall’idea del "risiedere", ma anche da quella di "spostarsi" e "partire" – "lasciare". Se lo studio della storia a iniziare dalle palafitte non lasciava al piccolo allievo della scuola di un tempo, come suo proprio precipitato formativo, niente altro che l’idea del progresso illimitato dell’uomo occidentale – che era poi forse l’implicito nucleo fondante della disciplina – ripensare i nuclei fondanti significherà anche ripensare l’organizzazione stessa della disciplina, al fine di lasciare come possesso formativo alle generazioni prossime non dei contenuti, ma –attraverso i contenuti - i processi interpretativi, la ricerca del senso, il confronto con la zona d’ombra di ogni accadimento storico.

Interpretare è sempre mettersi in relazione con un altro, con il diverso: il concetto di problema ha qui la sua radice. Secondo Luciano Stupazzini, questo risulta evidente anche nella formazione classica. Essa si traduce in un "progetto paideutico" che, rifiutando la tendenza all’omologazione propria di alcuni aspetti del mondo contemporaneo, mira ad un’identità non "data pacificamente una volta per tutte", ma tale da costruirsi nella dialettica tra polarità. E, tra le altre polarità, Stupazzini ha evidenziato in particolare quella tra continuità e discontinuità nel processo storico, e quella tra somiglianza e difformità nel rapporto al Modello. Sia che si guardi al modello grammaticale, sia che si guardi a quello scientifico, sia che si consideri quello artistico, sia che si faccia riferimento a quello antropologico, proprio la polarità tra identità e difformità è capace di innescare dinamiche formative fortissime. E lo stesso studio della classicità, lontanissima e insieme alla base della civiltà europea, si propone come emblema di tale polarità – come "incontro con la diversità".

E’ poi addirittura proprio dello statuto disciplinare della Filosofia – secondo Franco Paris - il problema dell’interpretazione della verità e del senso, il problema del rapporto tra ciò che appare e ciò che è nascosto, il problema di modelli di razionalità differenti ovvero di una metodologia incentrata sulla dialettica. Naturalmente anche la Geografia – come sottolinea Lucia Arena – deve affrontare i problemi posti dalla globalizzazione a proposito della ridefinizione della identità di intere culture e del rapporto tra centro e periferia.

Dunque, sono due le parole chiave di un possibile nucleo fondante transdisciplinare dei curricoli, che ne costituisca il contenuto profondo, non detto ma compresente all’impostazione di tutte le discipline e per ciò stesso altamente formativo: interpretazione - come confronto con la diversità e l’alterità; ed esperienza – attraverso la quale costruire il processo di costruzione di un’identità. E d’altronde la radice profonda dell’interpretazione affonda nell’esperienza.

Le stesse discipline scientifiche, come la Chimica o la Biologia – secondo le parole di Todaro - non sono più pensabili solo come insieme di contenuti descrittivi di una realtà naturale data, ma necessariamente devono collegarsi al concetto di trasformazione e anche di manipolazione del mondo, nell’ambito di una cultura post-industriale in cui la differenza tra artificiale e naturale è risolta nel virtuale e i confini tra scienza e tecnologia tendono a sfumare. Questo implica la necessità di raccordare lo studio scientifico all’esperienza, specie in considerazione del fatto che – attraverso questa via - si può arrivare alla definizione della legge o alla descrizione scientificamente univoca della realtà attraverso lo studio dell’evento nella sua irripetibilità, nella sua contingenza, nella sua individualità – secondo la direzione epistemologica che anche in ambito accademico le scienze naturali vanno assumendo.

E ciò appare evidente nell’insegnamento della Musica – secondo Marconi (SIEM) – la quale si basa proprio allo stesso tempo sulla percezione e sul sentimento del pensiero – propriamente in quanto esperienza calata nel tempo. E la didattica della Musica si fonderà proprio sulla scoperta di piaceri ignoti - al di fuori dell’omologazione dei gusti definiti dal mercato e dalla moda - come anche sul "sapersi mettere nei panni" di chi fa ricerca e arte con la musica.

Un contributo decisivo, nell’ambito di questa discussione su identità e diversità, è venuto da Gabriele Pallotti, il quale ha invitato ad interrogarsi sulla questione – destinata ad assumere sempre maggiore importanza – dell’inserimento di alunni per i quali la lingua italiana è una lingua straniera. Superato il falso dilemma tra separazione in "scuole speciali" e "inserimento" nel gruppo classe per "trattarli come gli altri" – due facce di un medesimo ideologema scarsamente disposto a pensare la differenza – il problema vero risulta quello di favorire l’apprendimento spontaneo dentro un percorso curricolare dato, ma necessariamente flessibile. Ciò sarà possibile colmando le lacune di origine e quelle derivanti dalla minore comprensione; semplificando lessico e sintassi; scegliendo le informazioni necessarie. Ma la questione essenziale, cui necessariamente si dovrà rivolgere la riflessione, è quella di disegnare un curricolo che prenda in considerazione che quella stessa lingua, la quale costituisce il fondamento dell’identità della classe - lo strumento per svolgere tutti gli altri percorsi disciplinari - dovrà immediatamente diventare essa stessa oggetto di indagine, problema da affrontare: l’occhio con cui la comunità di discenti va a guardare gli altri contenuti disciplinari sarà obbligato a guardare se stesso, a interrogarsi sulle sue modalità di vedere. E questo potranno farlo solo gli insegnanti operando sullo statuto disciplinare, interrogando ciascuno il suo proprio "occhio".

Verso sera, Adriano Colombo e Mario Pinotti si sono avviati a trarre le conclusioni della giornata di studio, l’uno sostenendo la necessità di parametrare le competenze certificabili, l’altro mettendo in evidenza il valore dei nuclei fondanti in quanto concetti capaci di manifestare il contenuto intrinseco di un sapere costituitosi come disciplina, e perciò capaci anche di assicurarle la coerenza sintattica, nel momento in cui viene trasmessa all’allievo. Pur sottolineando aspetti diversi, entrambi hanno premuto proprio sulla questione decisiva della nuova scuola: definire solo ciò che è possibile definire; costruire percorsi che conducano a competenze certificabili; attenersi al verificabile e visibile, come alla superficie sottile e leggera di una faticosa opera di riduzione, decantazione e condensazione metodologica, capace di assicurare che ciò che resta del lavoro didattico – ciò che resta in parte fuori dal giorno dei parametri verificabili e certificabili – pur rimanendo nella penombra, costituisca la base certa della formazione di quelle generazioni per cui domani sarà pieno giorno.

 

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I curricoli secondo le associazioni disciplinari
di Adriano Colombo, Coordinamento del Forum delle associazioni disciplinari

Da quando si è avviato il processo di riforma della scuola (autonomia degli istituti, riordino dei cicli), è apparso particolarmente intrigante il problema del "formato" che dovrebbero assumere, nel nuovo sistema, le norme curricolari nazionali che dovrebbero garantire un minimo di omogeneità del sistema, facilitare le opzioni e i passaggi degli studenti, e insieme lasciare uno spazio ampio all’iniziativa autonoma delle scuole e degli insegnanti.

Noi conosciamo il "genere letterario" dei programmi ministeriali, che ha le sue convenzioni, suscettibili di evolversi nel tempo ma tali da condizionare sempre implicitamente i redattori dei testi e le aspettative dei destinatari. Dobbiamo invece inventare da capo il nuovo genere delle norme nazionali sui curricoli in regime di autonomia.

La formula del "curricolo per competenze" è stato un tentativo di rispondere a questa esigenza, ma il suo significato preciso, in termini di testi da scrivere, è restato a lungo mal definito. I contributi che le associazioni disciplinari della scuola hanno elaborato in vista della seconda Giornata nazionale di studio su "Competenze e nuovi curricoli" (Bologna, 6.5.2000), e il dibattito tenuto in quell’occasione, cominciano finalmente a delineare una risposta. In questi testi l’idea di una scuola che punta sulla padronanza, teorica e pratica, delle discipline, più che sull’accumulo di contenuti, si delinea con grande chiarezza, e la differenza dalla concezione tradizionale dei programmi è palpabile.

Attraverso anni di discussione, le associazioni sono riuscite a progredire verso un linguaggio comune: solo un anno fa, alla prima Giornata nazionale sui curricoli (8.5.1999), le varie proposte apparivano non incompatibili, ma spesso concepite in termini diversi e poco comunicanti fra loro; ora si delinea un’idea comune su come le norme curricolari dovrebbero essere scritte. Un contributo importante, in questa direzione, è venuto dal Glossario minimo elaborato in proposito da un gruppo di lavoro dell’Associazione Progetto per la scuola e del Forum delle associazioni disciplinari; soprattutto le definizioni ivi proposte di "competenze" ("ciò che, in un contesto dato, si sa fare (abilità) sulla base di un sapere (conoscenze), per raggiungere l’obiettivo atteso e produrre conoscenza... la disposizione a scegliere, utilizzare e padroneggiare le conoscenze, capacità e abilità idonee, in un contesto determinato, per impostare e/o risolvere un problema dato") e di "nuclei fondanti" ("concetti fondamentali che ricorrono in vari luoghi di una disciplina e hanno perciò valore strutturante e generativo di conoscenze") sono ampiamente citate nei documenti delle associazioni e, quel che più conta, sono usate, diventano strumenti comuni di articolazione del discorso curricolare.

Anche l’indicazione (formulata da Vertecchi e accolta nel documento citato) che la definizione delle competenze "lasci sempre trasparire una strategia di verifica" è ampiamente seguita. Si tratta di un passaggio di estrema importanza: non solo dà precisione e leggibilità alle proposte curricolari, ma permette di immaginare in quali termini un sistema nazionale di valutazione potrebbe verificare nel lavoro delle scuole l’aderenza a quel "minimo comune denominatore" che lo stato può e deve esigere dalle scuole.

Questi documenti costituiscono anche la migliore risposta alla polemica di chi si ostina a vedere nell’ipotesi delle competenze una diminuzione di importanza delle conoscenze e uno scadimento qualitativo; la polemica si manifesta fondata sui pregiudizi più che sull’informazione: i curricoli delineati dalle associazioni sono concettualmente densi e ambiziosi.

Siamo naturalmente ancora lontani da una soluzione complessiva del problema: tra le proposte delle associazioni sussiste qualche disomogeneità di impostazione e di linguaggio. La domanda se e quanto le norme curricolari debbano contenere indicazioni metodologiche, o lasciarle interamente all’autonomia didattica, trova una certa varietà di risposte. Così viene interpretata in modi non sempre omogenei la distinzione tra le competenze, traguardi formativi per il singolo, e le finalità formative più generali che (suggerisce il Glossario citato) hanno per soggetto l’istituzione, non lo studente, e dovrebbero pertanto essere oggetto di una valutazione delle scuole, non di una certificazione dei curricoli individuali. C’è insomma ancora parecchio lavoro da fare, in vista di una scrittura omogenea dei curricoli, ma il percorso compiuto è consistente; e quando l’autorità di governo deciderà di mettere mano a questo capitolo conclusivo ed essenziale della riforma, potrà disporre (se lo vorrà) di un punto di partenza molto avanzato, di un’elaborazione che nasce dalle migliori competenze presenti nella scuola e nei settori dell’università ad essa più vicini.

Un altro dato che colpisce è che queste proposte, nate all’interno di associazioni disciplinariste, non si rinchiudono affatto in recinti disciplinari, ma hanno un’ispirazione chiaramente "trasversale". Le intersezioni sono numerose: gli storici parlano di geografia e i geografi di storia, come è naturale; in un modulo didattico proposto come esempio dall’Associazione per l’insegnamento della Fisica, che ha per oggetto "Aspetti fisici della comunicazione", si trovano, al livello della scuola di base, elementi che potrebbero benissimo figurare nei curricoli di educazione linguistica e musicale; in tutte le proposte disciplinari è poi rilevante l’attenzione agli obiettivi di carattere linguistico, che si tratti della padronanza di un lessico tecnico o dell’uso di verifiche di tipo testuale, come riferire o descrivere, oralmente o per iscritto. La trasversalità dell’educazione linguistica, che è da sempre una tesi centrale di questa proposta educativa, vive ormai consapevolmente nelle ipotesi curricolari intitolate alle materie più diverse.

Se queste intersezioni si risolveranno in fruttuose interazioni, o si ridurranno a sovrapposizioni inutili e dannose (a cui purtroppo i curricoli tradizionali ci hanno abituato), dipende da un lavoro ulteriore che è ancora da fare. Ci sono da prevedere incastri e divisioni di compiti, e soprattutto moduli didattici comuni a diverse materie, e questo è un compito che la collaborazione volontaria tra le associazioni non basta forse, da sola, ad assolvere.

Così come non può bastare a risolvere un altro problema che si delinea con chiarezza crescente. Ho detto che le proposte sono ambiziose, ed è bene che lo siano; ma se ci limitassimo ad affiancare e sommare le competenze indicate dai vari documenti (e per lo più sono solo esemplificazioni parziali), rischieremmo un curricolo enciclopedico, stracarico, ingestibile, ricadremmo cioè nel difetto più volte imputato ai programmi Brocca. Un rimedio può venire dai moduli interdisciplinari, un altro dalla modularità interna ai curricoli disciplinari, intesa come possibilità di opzioni. Ma sono convinto che questi rimedi non bastino, se non recupereremo una opzionalità per lo studente anche tra materie (e non solo tra indirizzi prefissati), che era prevista dal documento Berlinguer del 1997 e si è persa per strada nel cammino della riforma. Si sta cercando di ridurre gli orari complessivi, ed è giusto; contemporaneamente si profila l’aggiunta di nuove materie "per tutti", dalla filosofia all’educazione musicale nella scuola secondaria, forse alla geografia, e anche per questo ci sono ottime ragioni. Ma se non vogliamo frantumare il monte ore complessivo, se non vogliamo impelagarci in una penosa guerra degli orari, dovremmo trovare il modo di far sì che lo studente possa scegliere una cosa o l’altra; "per tutti" significherebbe allora "offerto a tutti" e non -"obbligatorio".

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Punto di vista epistemologico, punto di vista psicopedagogico: una prospettiva indispensabile per l’insegnamento
di Mario Pinotti, Coordinamento del Forum delle associazioni disciplinari

Una grammatica dei curricoli, che si snodi attorno al rapporto tra "competenze", "nuclei fondanti" e "conoscenze", insiste sulla centralità dei saperi e attribuisce alle discipline un prioritario ruolo formativo. Tale grammatica non rischia di smarrire il punto di vista dei processi psicologici degli alunni? Di indicare la meta ottimale trascurando le effettive possibilità cognitive di chi deve raggiungerla? Questi interrogativi sono serpeggiati nel corso dei lavori del Forum del 6 maggio e meritano una precisa puntualizzazione. La contraddizione tra punto di vista psicologico e punto di vista epistemologico può essere ricomposta felicemente a certe condizioni, come si può desumere dalle considerazioni relative alla categoria di "nucleo fondante", di seguito esposte.

Questa categoria è stata introdotta per dirimere il rapporto che deve intercorrere tra le "competenze" e le "conoscenze". Le competenze, vere e proprie capacità operazionali proprie di ogni disciplina, posseggono in sé i criteri per poter stabilire quali conoscenze debbano accompagnarle? La risposta è "no", poiché le competenze sono indifferenti verso gli oggetti tematici attorno a cui si esercitano. Per evitare, allora, di gerarchizzare le conoscenze in virtù di criteri arbitrari, estrinseci, effimeri ci si è serviti del concetto di nucleo fondante, che merita qualche chiarimento.

Che cos’è un nucleo fondante? E’ ciò che svela le caratteristiche essenziali di una disciplina. In che cosa consistono queste caratteristiche essenziali? Immaginiamo, per semplicità, che un determinato sapere si oggettivi in un breve saggio di poche pagine. Analizziamolo: quali elementi costitutivi lo connotano?

Innanzitutto ci sono degli elementi empirici (numeri, parole, note, eventi): questi elementi, tuttavia, sarebbero privi di qualsiasi comprensibilità se non fossero organizzati da parametri ordinatori: mi riferisco al tempo, allo spazio, a relazioni logiche. Questi parametri, in altri termini, costituiscono una vera e propria sintassi del sapere e, in quanto tale, riscontrabile all’interno di ogni discorso disciplinare.

Ogni ramo della scienza elabora i propri statuti paradigmatici nello sforzo continuo di migliorare la propria lettura della realtà: per questo variano da un sapere all’altro le accezioni del tempo o dello spazio, dei nessi causa-effetto o di reciprocità, e sempre più si arricchiscono gli alfabeti categoriali.

Resta, tuttavia, ancora da chiedersi chi ha scelto gli elementi empirici e chi ha deciso di organizzarli secondo determinate configurazioni.

Dietro ogni sapere, insomma, ci sta un "sapiente" che è il responsabile del suo prodotto. Egli lavora secondo procedure rigorose, si attiene ad una prassi metodologica sperimentata, ma, in ultima analisi, le sue scelte dipendono dall’intenzionalità che lo guida e la sua intenzionalità rinvia ad un universo di domande, valori, problemi di cui si sostanzia la vita degli uomini e in essa il complesso universo della ricerca del senso. Ecco svelata la natura del sapere e di tutte le sue articolazioni disciplinari: riferimenti fattuali, sintassi, domande di senso. Secondo questa accezione il sapere si rivela nella sua processualità, nel suo farsi, e non solo nel risultato del suo essere in atto.

Grazie al concetto di nucleo fondante si è potuto dare del sapere un’immagine che spiega con successo l’incontro tra competenze e conoscenze, tra il momento della ricerca e quello della costruzione.

Come si incontra la prospettiva psicologica con questo scenario appena descritto?

Questa prospettiva chiede di tenere conto delle potenzialità cognitive ed emotive degli alunni, delle motivazioni e della affettività, di mobilitarne l’intera identità soggettiva. Sono questi i motori dell’apprendimento: trascurarli equivarrebbe a votare all’insuccesso l’intervento didattico.

Proprio l’idea di un sapere come processo consente di porre al centro dell’insegnamento l’alunno. Se il sapere è ricerca della verità, questa ricerca avviene secondo procedure, scansioni, operazioni che didatticamente si devono tradurre nelle competenze da far apprendere agli studenti. In altre parole ogni disciplina può indicare le sue competenze e chiamare gli studenti a padroneggiarle.

Questa chiamata è un appello alla soggettività di chi deve apprendere. Misurarsi con i momenti costitutivi della ricerca scientifica non impegna solo la dimensione cognitiva: queste scansioni, per essere affrontate, richiedono una nuova concezione dello spazio e del tempo scolastico e implicano una relazione cooperatrice (scambio, collaborazione, confronto, critica) tra gli alunni che ne mette in gioco l’emotività. Se il laboratorio può essere usato come metafora della didattica delle competenze, possiamo dire che in laboratorio gli studenti non vivono solo l’esperienza dell’attività contemplativa. C’è un rapporto con i compagni, c’è un nuovo rapporto con gli insegnanti, c’è un rapporto con gli oggetti di studio che rinvia ad un complesso immaginario dove stanziano significato e senso e chiamata in causa di sé. La costruzione del proprio sapere è avventura, al tempo stesso, cognitiva e pragmatica, relazionale ed emotiva, un’avventura che mette in gioco l’identità individuale.

Sarà, allora, compito della didattica cercare le mediazioni necessarie per rendere corrispondente all’età degli alunni la complessità delle competenze da apprendere e delle conoscenze da padroneggiare, ma che la scuola debba essere lo scenario del dispiegarsi di questa avventura rimane vero per ogni livello scolare, dalla prima elementare all’ultimo anno delle superiori.

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