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Progetto scuola

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Biblioteca del Mulino - Bologna

Associazione "Progetto per la scuola" – Bologna

Fondazione della Cassa di Risparmio di Forlì

Liceo F.Paulucci da Calboli - Forlì

Ciclo di seminari per l’aggiornamento e la formazione dei docenti
"Governo della scuola e nuovi sistemi formativi.
L’incontro dei saperi e l’insegnamento nella scuola"
A.S. 2001 - 2° Semestre

 

Nota introduttivaAppendiceCalendario e sintesi

 


 

Nota introduttiva

        A partire dal 1994, la Biblioteca del Mulino, in collaborazione con l’Associazione "Progetto per la Scuola" e con l’Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, organizza cicli annuali di seminari dedicati alla scuola e ai suoi problemi dal titolo "Governo della scuola e nuovo sistema formativo". Il successo delle sette edizioni passate, di cui forniamo in appendice la serie dei programmi annuali, ci ha spinti a esportare l’iniziativa anche altrove, nell’ambito della nostra regione, nella convinzione che sia indispensabile oggi, per chi nella scuola opera, trovare occasioni di confronto libero e ricco, per far fronte alle nuove sfide educative con consapevolezza e strumenti adeguati. L’esperienza maturata in questi anni ci porta a concludere che il formato seminariale, diversamente dalla tradizionale conferenza frontale, tipica dei corsi di aggiornamento, è di gran lunga la modalità migliore per consentire un dialogo fecondo tra colleghi, a maggior ragione quando i "relatori" – ovvero coloro che di volta in volta vengono chiamati ad innescare il dibattito, più che a tenere lezioni – provengono dal mondo universitario o da altri mondi ancora più distanti (quello politico-amministrativo, piuttosto che quello dell’impresa privata).
        Curricolo delle competenze, nuclei fondanti, selezione dei contenuti, rifiuto dell’enciclopedismo, profili formativi individualizzati. E’ questo il glossario del dibattito recente, che potrà essere declinato in modi diversi in virtù. del mutato quadro politico e di nuove proposte riformatrici, ma non per questo cesserà di essere attuale. Queste categorie concettuali come coesistono con i diversi saperi disciplinari? Come viene messa in discussione l’identità epistemica delle discipline? Come si devono tradurre in materie dell’apprendimento?
        Riteniamo che a queste domande si debba rispondere dal punto di vista dei saperi, riconsiderandone criticamente, al tempo stesso, l’identità, attraverso il confronto impregiudicato di angoli visuali anche assai diversi: i quattro seminari promossi quest’anno sono intesi dunque a visitare i nodi più profondi del sapere linguistico-letterario, di quello storiografico - antropologico e delle loro relazioni:, primo terreno di una ricognizione destinata ad allargarsi anche ad altri ambiti disciplinari.

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Appendice

        Fra il 1994 e il 2000 il ciclo di seminari intitolato "Governo della scuola e nuovo sistema formativo", organizzato dalla Biblioteca del Mulino e dalla Associazione "Progetto per la scuola" ha affrontato questi temi: (1994) "A che punto è il progetto dell’autonomia?" (con relazione di Enzo Morgagni); "Quali percorsi formativi nel futuro obbligo scolastico?" (con relazioni di Giorgio Franchi e Giuseppe Farias); "La formazione professionale giovanile" (con relazioni di Giuseppe Farias e Marie Françoise Delatour); (1995) "Scuola pubblica e scuola privata" (con relazioni di Luigi Pedrazzi e Francesco Margiotta Broglio); "L’elevazione professionale dei lavoratori" (con relazioni di Giuseppe Farias e Giovanni Ghiotto); "Sistema scolastico e governo locale" (con relazioni di Marco Macciantelli e Ethel Serravalle); (1996) "Organizzazione e responsabilità nella scuola: la Carta dei servizi" (con relazioni di Marco Cammelli, Costantino Ruscigno e Enzo Morgagni); "Riforma della scuola, riforma dello Stato" (con relazioni di Alessandro Pajno e Paolo Ferratini); (1997) "Il grande cambio nella scuola: quando, come" (con relazioni di Vittorio Campione e Angelo Panebianco); "Scuola, formazione, impresa" (con relazioni di Livio Pescia, Claudio Gentili e Andrea Ranieri); "La qualità nella scuola" (con relazioni di Piero Romei e Tiziana Pedrizzi); "La revisione dei curricoli e dei contenuti della scuola dell’obbligo" (con relazioni di Paolo Ferratini e Giorgio Franchi); (1998) "Rapporti Scuola-Università: la formazione degli insegnanti" (con relazioni di Franco Frabboni e Francesco Piero Franchi); "Rapporti Scuola-Università: il problema dell’orientamento" (con relazioni di Stefano Zamagni e Miriam Ridolfi); "Il ruolo dell’orientamento" (con relazioni di Domenico Di Nubila e Gilberto Seravalli); (1999) "Saperi fondamentali e costruzione dei curricoli" (con relazioni di Luisa Ribolzi, Elide Catalfamo, Anna Rosa Guerriero ed Elide Sorrenti Nocentini); "Rendimento scolastico e standard minimi" (con relazioni di Giancarlo Gasperoni e Alberta De Flora); "Fare l’autonomia: dirigenza scolastica e organi collegiali" (con relazioni di Livia Barberio Corsetti e Giorgio Rembado); "Fare l’autonomia: figure di sistema e organizzazione del lavoro" (con relazioni di Giuseppe Cosentino e Gabriella Giorgetti); "Autonomia e riforma della scuola" (con Vittorio Campione e Ethel Serravalle); "Le biblioteche nell’attività di formazione: dentro la scuola e fuori" (con relazioni di Roberta Ballotta, Luisa Marquard ed Ethel Serravalle); "L'esame di stato: primi risultati e prospettive" (con relazioni di Guido Armellini, Vittorio Citti e Maria Teresa Fabbri); "Multidisciplinarità e competenze trasversali: ripensare i curricoli (con relazioni di Adriano Colombo e Saul Meghnagi); (2000) "Nuove strategie didattiche: il laboratorio di scrittura e di lettura" (con relazioni di Paolo Bollini, Antonio Faeti e Enzo Pellegrino); "I libri di testo nella scuola dell’autonomia" (con relazioni di Andrea Grillini, Italo Rosato e Ethel Serravalle); "Realizzare l’autonomia: il piano dell’offerta formativa" (con relazioni di Beatrice Bertolla e Elena Bertonelli); "La storia insegnata: quando il presente interroga il passato" (con relazioni di Alberto De Bernardi, Giovanni Miccoli e Mario Pinotti)

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Calendario e Sintesi:

25 ottobre 2001:
Educare alle lingue e alle letterature: per la costruzione di un curricolo verticale

6 novembre 2001:
I nodi dell’educazione linguistica e letteraria fra presente e passato

21 novembre 2001:
Quando il presente interroga il passato

3 dicembre 2001:
Verso una nuova identità del sapere storiografico

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1° incontro: 25 ottobre 2001

Riccardo Di Donato, Andrea Grillini
"Educare alle lingue e alle letterature: per la costruzione di un curricolo verticale"
(conduce Rossella D’Alfonso)

Nel primo incontro Riccardo Di Donato e Andrea Grillini hanno messo in rilievo tre questioni cruciali, attorno alle quali si può annodare la riflessione sull’incontro tra i saperi e la qualificazione di una didattica volta a fare dello studente il protagonista della costruzione del proprio processo di apprendimento.

1)
La prima questione rappresenta una vera e propria intersezione rispetto alle altre due ed è stata profondamente sottolineata da entrambi i relatori. Tutti e due hanno convenuto sulla necessità di porre al centro del processo di apprendimento lo studente quale interrogante, quale formulatore delle domande da rivolgere al passato, agli "antichi", ai soggetti di un tempo ancora capace di "parlare" col presente.
Di conseguenza, la prospettiva del presente come punto di osservazione in cui trovare i nodi problematici, da cui trarre il senso per rivolgersi al passato, risulta assolutamente centrale.
Quali condizioni sono richieste affinché sia realizzabile una simile prospettiva? La risposta è stata chiara: esse sono due. La prima richiede che il passato continui ad essere vivo nel presente; la seconda è che gli alunni facciano esperienza del "produrre letterario".

2)
Riccardo Di Donato ha insistito pertanto sull’idea di "antico" come dimensione ancora viva nel presente, capace di concorrere alla formazione dell’identità culturale italiana ed europea. Per comprendere un tale discorso occorre liberarsi dell’accezione lineare della storicità e sostituirla col paradigma della scuola delle "Annales": se la storia non è più pensata come il corso tortuoso ancorché progrediente di un fiume, ma come un territorio su cui coesistono diverse stratificazioni temporali, allora si può capire come le vestigia degli antichi possano ancora sopravvivere, in un nuovo contesto funzionale e culturale che chiamiamo contemporaneità, nel presente, e rendersi accessibile alle domande di conoscenza dei contemporanei.
Tutto questo discorso poggia sull’assunzione del concetto di ‘antico’ inteso nella sua storicità, nella sua temporalità relativa e portatore dei concetti della diacronia e della variazione, in contrapposizione a quello di ‘classico’, atemporale e universaleggiante, per parlare della civiltà greca e di quella latina.
Il suo valore formativo da questi punti di vista (riconoscimento dell’identità, senso della storia) ne raccomanda l’accostamento dalla scuola elementare a ogni indirizzo della scuola superiore, riservando lo studio delle lingue antiche ad alcuni.

3)
La circolarità ermeneutica tra soggetto interrogante e soggetti interrogati, tuttavia, richiede per l’appunto un soggetto che sappia interrogare, non solo in virtù di una capacità tecnica di analisi dei testi e dei segni dell’antico, ma anche in virtù di una motivazione al dialogo col passato.
Si gioca qui, allora, la terza questione, quella posta con forza da Andrea Grillini. Il laboratorio di scrittura come proposta didattica punta a far "frequentare" all’alunno i luoghi topici della produzione letteraria. In questo laboratorio sarà possibile sperimentare i problemi tecnico-retorici della produzione scritta, ma anche le complesse suggestioni culturali (estetiche, etiche, psicologiche) che accompagnano sempre l’intenzione artistica.

(sintesi a cura di Mario Pinotti, A.P. per la S.)

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2° incontro: 6 novembre 2001

Andrea Battistini, Luciano Stupazzini
"I nodi dell’educazione linguistica e letteraria fra presente e passato"
(conduce Rossella D’Alfonso)

1)
Quali devono essere i fondamenti culturali di un sistema scolastico formativo basato sull’incontro tra i saperi e su una didattica volta a fare dello studente il protagonista della costruzione del proprio processo di apprendimento?
Riccardo Di Donato e Andrea Grillini, nell’incontro del 25 ottobre scorso, ne hanno indicati tre:

  1. porre al centro del processo di apprendimento lo studente quale interrogante, quale formulatore di domande da rivolgere al passato;
  2. riconoscere l’"antico" come dimensione ancora viva nel presente, capace di concorrere alla formazione dell’identità culturale italiana ed europea;
  3. far frequentare all’alunno i luoghi topici della produzione letteraria.

Questo orizzonte problematico è stato assunto anche dai due relatori dell’incontro del 6 novembre. Entrambi hanno portato un contributo di riflessione teso a metterlo ulteriormente a fuoco. Essi si sono incontrati nella comune condivisione della prospettiva ermeneutica, capace, nel suo movimento circolare lettore-testo-contesto, di promuovere la centralità del soggetto interrogante, il rigore delle procedure volte a far parlare il testo, delle domande che il testo rinvia al contesto.

2)
Battistini ha preso le mosse da una questione immediatamente didattica (la competizione tra i sostenitori del manuale e i sostenitori dell’antologia come strumento privilegiato della didattica della letteratura italiana) per approdare ad un nodo di portata generale: il canone delle conoscenze da insegnare. Il manuale occulta (occultamento che è anche una rassicurazione per chi lo usa) il carattere storicamente determinato di ciò che insegna mostrandolo come un dato oggettivo, come una scelta inevitabile consacrata dall’autorità indiscussa degli autori presentati. Questo occultamento però conduce ad un progressivo distacco tra ciò che matura nel presente in termini di giudizi di valore, sensibilità estetica, gusti individuali ed un mondo letterario sempre più ossificato e più lontano dalla vita. Ecco allora che il sapere letterario rischia di perdere la sua ragion d’essere, un contributo cioè irrinunciabile per la formazione delle giovani generazioni.
Si è cercato, di conseguenza, di correre ai ripari davanti a questo pericolo accogliendo, da un certo momento in poi e per un lungo periodo, la prospettiva dello strutturalismo, che cerca di "uccidere l’autore", per consegnare al lettore l’incontaminata autonomia del testo messa sempre in pericolo dai filtri interpretativi del contesto.
Ma, per questa via, ci si è incamminati verso la polverizzazione dell’universo letterario frantumandolo in tante isolate esperienze di scrittura ed esponendolo allo smarrimento del suo proprio senso.
Da qui la necessità di rifondare un nuovo orizzonte unitario, un tessuto che correli tra loro le diverse manifestazioni (testi, poetiche, movimenti ecc.) della letteratura italiana, in relazione poi a quelle europee e non solo, e le sintonizzi con quanto di nuovo l’esperienza artistica e la vita sociale producono. Questa rifondazione, che non può essere una restaurazione, chiede di ridefinire un nuovo canone capace di affrontare le vicende letterarie, in particolare quelle del XX secolo, in modo né frammentario né rapsodico.

3)
Dal canto suo Stupazzini ha cercato di indagare le ragioni che rendono l’antico un’esperienza ancora viva, ancora in grado di parlare al presente. La sua lezione, facendo proprio il concetto di storicità precisato da Riccardo Di Donato nell’incontro del 25 ottobre, ha indicato nel mito e nella cultura tecnologica della civiltà antica i contributi più vitali e più fecondi per l’orizzonte problematico del nostro tempo. Anche lo studio della lingua va affrontato, come ha sostenuto anche Di Donato, attraverso un approccio antropologico alle civiltà antiche.
Attraverso i miti la civiltà contemporanea può misurarsi con gli archetipi della psicologia collettiva ed individuale, disporre di un inesauribile serbatoio di creatività, comprendere il senso profondo del valore figurativo e concettuale della parola.
Dal punto di vista tecnologico, l’antico è stato, fino alla vigilia della grande trasformazione industriale, scuola di arte nautica, di lavorazione della ceramica, del legno, del ferro, di tecnica dell’organizzazione paesistica. Un esempio su tutti. La civiltà greca non solo ha conosciuto, ma ha anche riflettuto sulla svolta epocale rappresentata dal passaggio dalla cultura orale alla cultura scritta. Questa svolta ha implicato una ridefinizione del modo di pensare, delle categorie ordinatrici della realtà, della sintassi della comunicazione tra gli uomini. E, mentre conosceva questa rivoluzione, la civiltà antica creava i "libri di pietra" (come il Partenone e l’Ara pacis), che con la forza dell’immagine parlavano alle masse non alfabetizzate delle città e delle campagne. Eredità che sarà raccolta dal Medio Evo romanico e gotico.
Proprio attraverso il rivolgimento tecnologico-telematico anche l’età contemporanea conosce una rivoluzione di portata analoga che investe il modo di pensare, le strutture cognitive, le modalità espressive della presente e delle future generazioni.
Quanto allo studio della lingua negli indirizzi superiori in cui è presente, è con gli strumenti della nostra cultura contemporanea (dove la linguistica si misura, semmai, con la retorica classica) che studiamo le lingue antiche. Queste sono poi una palestra straordinaria per la riflessione sulla lingua proprio perché morte, costituenti pertanto un corpus conchiuso. E tale studio sarà fecondo se farà vivere la lingua nella sua civiltà, ponendo al centro il lessico, che dà voce ai valori semantici fondamentali caratteristici di ciascuna cultura, e la morfosintassi affrontata però con strumenti più efficienti (linguistica generale, funzionalismo, grammatica generativa,…) di quelli tradizionali.
Anche oggi, come allora, vanno ridefinendosi così categorie cognitive, modalità comunicative, forme del pensiero: muovere dallo studio dell’antico (non solo della sua produzione letteraria) e dell’esperienza letteraria ed artistica in genere significa riconoscerne radici e discontinuità.

(sintesi a cura di Mario Pinotti, A.P. per la S.)

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3° incontro: 21 novembre 2001

Paolo Pombeni, Mario Pinotti
"Quando il presente interroga il passato"
(conduce Rossella D’Alfonso)

 

Il terzo incontro ha spostato la riflessione sulle discipline storico-antropologiche e sui problemi connessi al loro insegnamento.
"Il problema dell’insegnamento della storia si scontra col problema che il passato non ha più valore nella coscienza collettiva", ha sottolineato Paolo Pombeni, riecheggiando le parole di Riccardo Di Donato e di Luciano Stupazzini. La ragione di questa perdita di interesse verso lo studio della storia è stata cercata da entrambi i relatori in due direzioni, una di carattere sintattico ed una di carattere semantico.
Paolo Pombeni e Mario Pinotti, facendosi portatori di un giudizio largamente condiviso, hanno indicato nella pervasività del linguaggio televisivo la causa principale dell’appiattimento della capacità di rappresentazione temporale.
La cultura televisiva, avverte Pombeni, ha la responsabilità di appiattire la dimensione temporale della storia banalizzando una delle fondamentali categorie del discorso storiografico. E’ la stessa facoltà percettiva che viene alterata annichilendo l’idea di distanza, di lunga durata, in nome delle sequenze pressoché istantanee con cui vengono mostrati i flussi dei fenomeni sociali.
Contemporaneamente, ha insistito Pinotti, "si sta sgretolando anche l’universo semantico che ha rappresentato per tante generazioni il lessico comune. E’ la stessa esperienza sociale che sta compiendo questa azione dissolvitrice. Due esempi colpiscono efficacemente l’immaginazione: l’evaporazione dei fondamenti della cultura cristiana e la banalizzazione della cultura della libertà, sempre più indifferente accoglimento della coesistenza delle diversità e sempre meno etica della scelta e responsabilità".
Come realizzare, allora, un insegnamento che garantisca la necessaria complessità all’apprendimento storiografico? Come suscitare tra gli studenti un interesse che non sia né erudito né ideologico? Si tratta di cercare nell’orizzonte tematico del presente una serie di nodi che abbiano una portata di grande rilievo problematico e di profonda dimensione temporale.

Per Paolo Pombeni due questioni meriterebbero una considerazione privilegiata:

a) Il cambiamento e la crisi dei sistemi politici e dei partiti. Esso sembrava senza riscontro qualche anno fa, in un’Italia che pareva immobile, mentre oggi è di grande attualità; bisognerebbe quindi chiedersi perché declinano e scompaiono, e per farlo si potrebbe partire dal Settecento, in cui, col libro di Gibbon sulla caduta dell’impero romano, si origina questo tema storiografico. C’è infatti un rilancio di interesse per la politica, non tanto come ideologia ma come studio del cambiamento e di come governarlo;

b) un secondo tema è la globalizzazione: è superficiale pensare che si tratti di un fenomeno solo attuale, poiché tale fenomeno caratterizzò, con gli opportuni distinguo, anche l’età antica (il Mediterraneo egizio, l’impero romano, ecc.).

In altri termini, noi ci rivolgiamo al passato non perché sia già successo tutto, ma perché i meccanismi dei grandi eventi sociali si ripetono. E’ lo stesso motivo per cui rileggiamo Platone ed altri classici, poiché alcuni grandi problemi si perpetuano.
Se è questa la natura formativa del passato, la sfida da affrontare, dunque, è come ridare una cultura della complessità e costruire un’adeguata rappresentazione del tempo storico, un tempo il cui statuto sia composto da un ricco alfabeto di lettere, da quelle che esprimono gli eventi rapidi ed incalzanti a quelle che segnalano le lunghe durate.
Per un insegnamento che intenda recuperare la complessità della storia, non c’è posto per l’enciclopedismo, è necessario "indugiare" sulle fitte relazioni che danno senso agli accadimenti sociali. E’ all’ordine del giorno, pertanto, come ha ricordato Mario Pinotti, la rivisitazione del canone delle conoscenze. Questa esigenza, molto avvertita anche nei due precedenti incontri, è emersa dopo la circolare Berlinguer sulla storia del Novecento. Quando si è trattato di insegnare un secolo fino a quel momento solo marginalmente rientrante nel canone tradizionale, si è visto quanto profondo fosse il disorientamento dei docenti.
Quali i criteri da cui desumere la configurazione di questo nuovo canone? Per Pinotti non ci sono dubbi: le rilevanze del presente e il padroneggiamento degli elementi fondamentali della sintassi spazio-temporale come strumento metodologico indispensabile.
Sono tutti nodi su cui la convergenza dei relatori, dal 25 ottobre in poi, è stata unanime ed ha fornito indicazioni precise. Ad animarla è la fiducia condivisa della dialogicità tra presente e passato, ma Pinotti ha insistito sulla necessità di porre a questa fiducia una domanda cruciale, non retorica: e se le trasformazioni in corso dal XIX secolo avessero reciso irrimediabilmente ogni punto di contatto tra esperienza del presente ed esperienza del passato? Se la contemporaneità fosse progressivamente il trionfo dell’assolutamente nuovo, dell’irripetuto?
In questa direzione va, a esempio, la lettura del totalitarismo che dà Hannah Arendt; si può respingerne l’interpretazione, ma la domanda è ineludibile. Arendt scorgeva infatti nell’appiattimento dell’individualità, originata dalla massificazione imposta dall’industrializzazione, un fenomeno politico assolutamente nuovo, non contemplato dalla classificazione aristotelica delle forme di Stato, mai conosciuto prima dagli uomini.
Se è vero che la contemporaneità è il regno dell’assolutamente nuovo, allora lo studio dell’Ottocento e del Novecento è prioritario e si legittimerebbe così il sacrificio dei millenni precedenti.
Per chi crede nel valore formativo del passato, di tutto il passato, anche del più remoto, questa sfida va accolta molto sul serio.

(sintesi a cura di Rossella D’Alfonso, Associazione Progetto per la Scuola) 

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IV incontro: 3 Dicembre 2001

Antonio Brusa, Lucetta Scarafia
Verso una nuova identità del sapere storiografico
(conduce Mario Pinotti) 

    Anche il quarto incontro è stato dedicato alla riflessione sulle discipline storiografico-antropologiche. Due sono risultati i temi fondamentali affrontati dai relatori: la genesi e lo sviluppo della storiografia tradizionale, con le conseguenti implicazioni didattiche, e la proposta di nuovi modelli storiografici più capaci di cogliere la complessità della tradizione culturale europea e della radicalità delle trasformazioni in atto.
    In particolare, Antonio Brusa ha dedicato gran parte della propria riflessione a mostrare come il dibattito storiografico risenta profondamente delle trasformazioni sociali che dal XIX secolo l’Europa sta conoscendo. E’ per questo motivo che la storiografia scientifica nasce nel vecchio continente tra il 1870 e il 1890 nel segno della volontà di comprensione del mutamento, di cui proprio l’Europa è epicentro. Al di fuori di essa non accade nessuna grande trasformazione e, di conseguenza, al di fuori di essa non c’è spazio per la storia, bensì per l’antropologia, che indaga la staticità o la ripetitività dei fenomeni sociali e culturali.
    Il soggetto fondamentale di questa storia è lo Stato, o meglio gli Stati nella loro determinazione particolare. Gli Stati sono presentati come vera e propria epifania di Dio, un dio immanente, i cui segni possono essere decifrati solo dallo storico professionista, che lascia parlare i documenti. Con l’aiuto della filologia e di una conoscenza geografica che gli gerarchizza il mondo, questo professionista può celebrare i fasti del soggetto Stato convinto di raccontare la storia mondiale e non la storia dell’eurocentrica categoria di nazione.
    Il dissolvimento dei grandi imperi coloniali, l’emersione di tante nuove entità statali (africane, asiatiche) hanno provocato il moltiplicarsi di nuove prospettive storiografiche di continenti emarginati dalla storia fino a qualche decennio prima.
    Le linee di sviluppo or ora descritte valgono anche per narrare la storia della manualistica.I libri di testo in vigore nelle scuole preunitarie erano ridotti alla semplice celebrazione della storia delle dinastie regnanti prima del 1861. Solo intorno al 1880 Pasquale Villari, su incarico di Francesco De Sanctis, metterà mano ai programmi di storia ufficializzando quel canone che, senza sostanziali variazioni, è rimasto in auge fino ad oggi. Il disegno storico si amplia, travalica i confini nazionali, ma solo per trovare nelle più lontane radici dell’antichità greca e, soprattutto, romana la giustificazione culturale dell’unità nazionale.
    Nei nostri anni, però, è maturato il tempo della crisi di quel canone, reso muto da un mondo così radicalmente mutato.
    A Montreal, qualche anno fa, in un forum mondiale sulla didattica della storia, ci si è contrapposti tra due grandi posizioni. Da un lato gli storici provenienti dai paesi occidentali sostenevano la necessità di una storia mondiale che avesse al proprio centro gli uomini e le donne nelle loro molteplici soggettività; dall’altro gli esponenti dei paesi di più recente formazione nazionale (i paesi postcoloniali) difendevano la necessità di storie patrie, indispensabili per la formazione di un senso identitario che travalicasse le appartenenze tribali.  

    Anche Lucetta Scarafia ha preso le mosse dal tema dell’identità culturale pronunciandosi contro il mito di una storiografia asettica. E’ necessario rivendicare la nostra tradizione culturale con forza, poiché su di essa si fonda la nostra identità. E’ una preoccupazione resa ancora più urgente dall’atteggiamento di molti giovani, confusi nel sostenere che tutte le culture sono uguali, indistintamente giuste.
    Mentre persistono simili orientamenti, di fronte a noi ci sono culture (come l’Islam, anche nelle sue manifestazioni più moderate) che si propongono con rivendicazioni identitarie sempre più forti.Davanti a tale aggressività, noi dobbiamo conoscere più a fondo la nostra storia, poiché non si può conoscere l’altro se non si sa chi si è. E’ opportuno pertanto portare un correttivo alla direttiva di L. Berlinguer del 6 novembre 1996, che ha comportato un taglio alla storia medievale, col rischio di sacrificare quella parte del programma che prevedeva lo studio delle origini della civiltà islamica. Invece, se noi conoscessimo più a fondo la storia e la tradizione islamica, verremmo a sapere che molti di quei paesi non hanno firmato nel 1948 la dichiarazione dei diritti dell’uomo, tranne poche eccezioni e senza sincera convinzione. Infatti l’Islam non ritrova quei valori nel corano, sono laici e basati sulla tradizione cristiana; per un musulmano, non si ammette l’uguaglianza degli esseri umani: gli uomini sono visti come fedeli o infedeli, come uomo o donna. Non ci si deve stupire, pertanto, se molti paesi musulmani hanno visto quella dichiarazione come un imperialismo, culturale che porta a una omologazione che non tiene conto delle diverse appartenenze identitarie.
    Lévy Strauss indica le appartenenze come costitutive di ogni gruppo umano e di ogni cultura. E’ sulla scorta di questa convinzione che Lucetta Scarafia, assieme ad Anna Bravo e Anna Foa, ha sentito il bisogno di scrivere un manuale di storia che tematizzasse proprio il nodo dell’identità. L’assunto metodologico, da cui ha preso le mosse questa operazione didattica, è stato quello della storia di genere, il solo orientamento storiografico in grado di dare al tempo stesso il giusto rilievo al protagonismo femminile nella storia ed alla tradizione europea come cultura della soggettività. Si è trattato di una creazione didattica nuova, che ha portato a frequentare fonti inusuali per la storiografia al maschile. L’assenza della donna dagli spazi pubblici ha costretto infatti ad interrogare la demografia per costruire l’ambiente sociale di vita delle donne nell’età preindustriale:: numerosissime gravidanze, morti per parto, vita media intorno ai 40 anni erano il destino cui non si poteva sfuggire.
    Secondo Scarafia solo la cultura cristiana ha permesso di ‘salvare’ le donne dall’inevitabile destino di allevatrici coatte fornendo un’alternativa al matrimonio attraverso la scelta della monacazione o l’adesione agli istituti terziari francescani. Sarebbe infatti errato interpretare le ordinazioni femminili come il segno di una cultura religiosa dominante sessualmente repressiva. Entrare in convento poteva essere preferibile alla morte per parto a 25 anni e alle altre angherie cui erano sottoposte ordinariamente dai loro padri o dai loro mariti le figlie e le mogli di quei secoli.
    Le fonti ecclesiastiche, pertanto, hanno rappresentato un altro tipo di fonte privilegiata: qui le donne hanno lasciato qualche traccia di sé. Questo fenomeno ha differenziato le società di matrice cristiana dalle altre, dove nessuna alternativa era possibile per la vita femminile, condannata ad essere quella di animali da riproduzione. Nessuna identità poteva in queste società essere riconosciuta alla donna. Si pensi che l’Islam riprende la storia della Genesi ma NON dà il nome a Eva. Anche le fonti letterarie si sono mostrate una preziosa risorsa informativa fino alla rivoluzione francese e alla rivoluzione industriale, che hanno rappresentato in Occidente la fine della differenziazione dei ruoli sessuali.
    L’irruzione riconosciuta delle donne nella storia dalla fine del Settecento ha obbligato le autrici del manuale a riconsiderare il tradizionale canone delle conoscenze, come è ben visibile nel secondo e soprattutto nel terzo volume. La storia di genere, pertanto, così come altri orientamenti storiografici, in virtù della prospettiva soggettiva che assume, pone anch’essa la questione della selezione delle conoscenze a dimostrazione che il canone non è il risultato oggettivo di una fredda scientificità osservativa ma di un’ottica che valorizza e gerarchizza fatti storici in nome del soggetto che intende valorizzare.

(sintesi di Mario Pinotti)

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