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Biblioteca del Mulino - Bologna
Associazione "Progetto per la scuola" – Bologna

Fondazione della Cassa di Risparmio di Forlì
Liceo F.Paulucci da Calboli - Forlì

Ciclo di seminari per l’aggiornamento e la formazione dei docenti
"Governo della scuola e nuovi sistemi formativi.
L’incontro dei saperi e l’insegnamento nella scuola"
A.S. 2002 - 1° Semestre

 

Sintesi
di Anna Marantonio

      18 febbraio 2002:
"Una nuova idea di storia: dai saperi umanistici a quelli scientifici"
      27 febbraio 2002:
"La storicità come categoria essenziale dei saperi"
      12 marzo 2002:
"La sistematicità come categoria essenziale dei saperi"
      4 aprile 2002:
"Oltre l’antitesi tra sistematicità e storicità"

 


 

18 febbraio 2002
R.D’Alfonso, F.Olmi, M.Pinotti
"Una nuova idea di storia: dai saperi umanistici a quelli scientifici"
(condotto da L. Stupazzini, Associazione Progetto per la Scuola- sez. di civiltà classiche)

Bologna, Emeroteca del Mulino

 

    Il ciclo seminariale dello scorso anno ha messo in evidenza come la crisi del progetto culturale della scuola italiana abbia radici profonde, che si stanno rivelando di fronte ai radicali processi di trasformazione in atto nel nostro tempo.     In particolare, è emerso con chiarezza che il concetto tradizionale di storicità non è in crisi solo per la storia ma investe tutte le discipline afferenti all’area letteraria e artistica, che in tale categoria si sono riconosciute dal secolo scorso sino a non molto tempo fa.
    A questa crisi occorre contrapporre un altro grande progetto culturale, fondato sulla ricerca delle competenze fondamentali da apprendere, intese, secondo un’accezione largamente condivisa, come nodo inestricabile di conoscenze e abilità cognitive da mettere in opera in certi contesti. E’ questo un compito che chiama in causa gli aspetti epistemologici delle discipline attorno a cui si struttura il percorso formativo.
    Nasce di qui il problema di riesaminare i fondamenti sistematici e storici sia delle discipline scientifiche sia di quelle umanistiche, per verificare se proprio le categorie di storicità e di sistematicità siano le categorie fondative di questi saperi e del sapere in generale.

LA PROPOSTA DI ROSSELLA D’ALFONSO
(docente di lettere; ass. Progetto per la scuola)

    Nel momento in cui l’idea desanctisiana di cultura nazionale, con il suo portato di un canone letterario orientato alla sua costruzione, ha perduto la propria efficacia sul terreno sia culturale sia politico, quale paradigma sostituirle? E’ ancora proponibile quella nozione, teleologica, di storicità, sul piano del dibattito critico come nella sua mediazione didattica? Che letteratura, arte, lingua, filosofia insegnare allora, se i nostri interlocutori – le generazioni più giovani – paiono avulsi dalla tradizione (cristiana e classica) nella quale sino a non molti anni fa tutti ci si riconosceva? Secondo quale disegno costruire un nuovo modello ed operare le scelte nell’insegnamento? Qual è la categoria di storicità da recuperare?
    A mostrare come la questione sia stata vera in ogni tempo ci soccorre, tra i tanti esempi possibili, il prologo al De viris illustribus di San Girolamo: nel momento in cui, nel IV secolo d. C., la cultura cristiana si fa da minoritaria dominante, si assume il compito di darsi una tradizione, per dimostrare la propria dignità a fronte della secolare cultura del paganesimo antico, sforzandosi nel contempo di inserirsi in tale solco e di sussumerla entro di sé; San Girolamo dichiara esplicitamente si rifarsi a Svetonio, addita modelli pagani illustri (Cicerone) e meno illustri (Santra), presenta un canone cristiano ricco di nomi che abbiamo dimenticato.
    Quasi un millennio dopo, Dante sciorina, nel IV dell’Inferno e nel X del Paradiso, le proprie auctoritates classiche e cristiane, mescolando i poeti ai filosofi, i teologi ai sapienti di medicina e diritto. Un altro canone, un’altra tradizione, questa volta a suggello di un’epoca che si spegne.
    Si potrebbe continuare all’infinito. Ogni volta che cambiano gli obiettivi, o semplicemente le prospettive della cultura si presenta la necessità di rifondare il sapere, e di conseguenza di rifondare il canone. Il nuovo canone dichiara la propria tradizione e ne muta il concetto stesso.
    Di più, ogni epoca, ogni autore, ogni opera ed ogni fruitore hanno ciascuno la propria tradizione: in un testo si possono leggere in controluce altri testi, perché la memoria dell’artista ha operato scelte e rifiuti; nella lettura le associazioni con altri testi, esperienze, pensieri ed emozioni concorrono alla sua interpretazione non meno dell’attenzione al testo stesso. E’ stata l’estetica della ricezione a insegnarci che alla costruzione del sistema letterario (e culturale in genere) concorrono anche, e sostanzialmente, le scelte interpretative, le reazioni del pubblico, le condizioni della produzione, della circolazione e della fruizione della cultura, e molte altre variabili. Esso è frutto dell’intersezione di una pluralità di paradigmi e di tradizioni.
    Storicizzare vorrà dire allora comprendere le diverse scelte entro il loro tempo, chiedersi, anche con gli allievi, perché sono state compiute, porle a confronto con il loro e nostro tempo.
    Muovendo di qui sarà possibile scegliere un nuovo canone che aiuti a ricostruire la loro e nostra identità, un canone sottoposto anch’esso alle leggi del transeunte, che nell’organizzarsi attorno alle categorie fondanti delle discipline sappia dunque tenere conto della significatività per chi apprende degli argomenti scelti, e ripensare perciò radicalmente la metodologia per insegnarli: abbandonare la mera trasmissione andrà a vantaggio della costruzione progressiva e critica di un proprio sapere, capace di interagire nel dialogo con gli altri e far sorgere le domande di senso che spesso nei ragazzi restano inespresse.

LA PROPOSTA DI FABIO OLMI
(docente di scienze; Divisione didattica della SCI, chimica; Ass. Progetto per la scuola)

    Considerando la situazione dell’insegnamento scientifico nelle nostre scuole e università, si osserva che, all’ingresso dell’università, il lascito formativo e culturale è quasi nullo, perché di norma non vengono insegnati gli aspetti culturalmente significativi delle discipline scientifiche, vale a dire i loro fondamenti epistemici ed assiomatici. L’insegnamento scientifico è infatti spesso angustamente specialistico e/o molto formalizzato, molto lontano per di più, in genere, dalle effettive possibilità di apprendimento degli allievi. A questo limite si aggiunge una sostanziale ignoranza della sua dimensione storica, che produce una preparazione che da più parti è stata definita appunto come tecnicistica.
    La preparazione scientifica, soprattutto in ambito preuniversitario, deve invece essere formativa, far risaltare cioè i nodi delle questioni, non trasmettere un’enciclopedia di nozioni ma valorizzare la dimensione euristica e creativa della scienza, selezionando le conoscenze in base alla loro significatività rispetto e alla disciplina e a chi apprende. E’ possibile ed opportuno, didatticamente, far risaltare anche la bellezza estetica di una teoria, dimensione che non appartiene solo alle arti.
    Per combattere poi il rischio della frammentazione dei saperi, si devono riconoscere e sottolineare i nodi che legano la logica delle scoperte scientifiche agli altri ambiti del sapere, sia sul piano di una storicità sicuramente da ridiscutere sia su quello degli aspetti sistematici, che a loro volta sono costitutivi, come è stato già ricordato, anche di altre aree.
    E’ il pensiero kuhniano che negli anni ’50 e ’60 ha segnato la svolta epistemologica delle scienze (con particolare riguardo alla fisica ed alla chimica), proponendo un nuovo modello di ‘storicità’ e di ‘sistematicità’: tale progetto è stato ripreso ed ampliato successivamente da E. Mayr nell’ambito della biologia. Kuhn, partendo dagli esempi (tra gli altri) di Copernico nel XVI sec. e di Lavoisier nel XVIII, avanza che in ogni scienza si proceda per rivoluzioni e fasi "normali": ogni rivoluzione coincide essenzialmente con l’introduzione di nuovi paradigmi, la quale non può essere però ricondotta soltanto ad una creatività individuale: perché si giunge proprio in quel determinato momento alla rottura dei paradigmi precedenti? Quale fermento culturale, non solo entro il campo specifico della scienza di riferimento, l’ha generata? Questo è il senso profondo della storicità contestualista di Kuhn. Assumerla anche nell’impostazione didattica significa rivitalizzare l’interesse di chi apprende, saldando il sapere scientifico agli altri e sottraendolo a un appiattimento tecnicistico e non problematico che ne nega la dimensione di ricerca.

LA PROPOSTA DI MARIO PINOTTI
(docente di storia e filosofia; INSMLI; sez. didattica Ist. Parri; ass. Progetto per la scuola)

    Rutilio Namaziano, celebrando nel IV secolo D.C. l’immortalità di Roma, rappresenta la figura di chi, davanti alla dissoluzione di un mondo, di una civiltà, di una tradizione, risponde con la forza della fede nell’immutabilità della sua cultura.
    Anche oggi non è infrequente incontrare un simile atteggiamento. Molti continuano a celebrare la fede per una tradizione culturale che ha perduto l’originaria forza creativa, che ha smarrito le ragioni e i presupposti che l’hanno costruita. Di che tradizione si tratta?  Della tradizione culturale costruita nella seconda metà dell’Ottocento, in Italia e in Europa.
    Nel momento del suo massimo splendore egemonico l’Europa ottocentesca ha celebrato lo Stato-nazione come il soggetto capace di liberare l’uomo dai retaggi di una cultura oscurantista e superstiziosa e di guidarlo, grazie al sapere tecnico-scientifico, verso una superiore civiltà garantita dalla fiducia nel progresso.
    Progresso e storicità pertanto sono divenuti i fondamenti-sinonimi di un sapere che affermava le ragioni del proprio successo attraverso il suo trionfo nel tempo. Sulla categoria di progresso storico si è strutturato tutto il sistema di sapere ora in crisi. Lo studio e l’insegnamento delle arti, delle lingue e delle letterature, della filosofia e, ovviamente, della stessa storia hanno assunto il carattere dello studio e dell’insegnamento della storia delle arti, della storia delle lingue e delle letterature, della storia della filosofia.
    Questa tradizione sta agonizzando, non per colpa della Scuola, ma perché ne sono venuti meno i fondamenti culturali: lo vediamo attraverso le reazioni degli alunni, sempre più estranee e disorientate davanti a ciò che fino a qualche decennio fa era ritenuto generalmente ovvio.
    Come affrontare questa crisi? Nel corso della sua storia l’Europa ha affrontato diverse svolte e rifondazioni culturali, ma l’ha sempre fatto da una posizione egemonica sul resto del mondo o da una posizione non insidiata da altre egemonie culturali. Oggi, la prospettiva è radicalmente diversa. L’Europa sta vivendo una lunga stagione di subalternità rispetto al mondo statunitense, il quale non solo ha subito l’influenza di diversi motivi della nostra tradizione culturale, ma ha anche saputo rielaborarli in sintesi che hanno trasformato quella cultura in altro.
    Si pensi al ruolo attribuito al successo come criterio e validazione della verità; si pensi al trionfo del sapere tecnologico ed al suo carattere empirico, signore del "particolare", risolutore del caso per caso. La civiltà europea si trova in grande difficoltà ad affermare le ragioni dell’"universale", cercato e riaffermato in vari modi per secoli e riconosciuto nel XX secolo come "morto". E’ chiaro che il riconoscimento europeo di questa "morte" è avvenuta dall’ottica del "vinto", dall’ottica di chi vede solo l’avanzamento della barbarie nel trionfo del particolare sull’universale.
    Dobbiamo allora gettare la nostra tradizione nella sua complessità o possiamo ancora trovarvi qualche elemento buono? Possiamo fondare un nuovo sapere, rivolgendo nuovamente gli occhi alla tradizione mediante nuovi modelli storiografici. In questi sarà determinante il paragonare e confrontare culture diverse, anche per scongiurare il rischio di una cultura dominante. Il vero senso di storicità sta nell’unione sinergica di tutti gli elementi di una cultura con il presente; perde il suo carattere narrativo, trova la ricerca scientifica e insegna a ragionare. E per far sorgere nei ragazzi la domanda di storicità a partire dal presente, occorre la condivisione e la capacità di presa di posizione, con un processo di apprendimento che sia un processo ermeneutico di domanda e risposta.

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27 febbraio 2002
M.Bettini, F.Arzarello, L.Cerruti
"La storicità come categoria essenziale dei saperi"
(condotto da Fabio Olmi, APS e SCI-DD)

Bologna, Emeroteca del Mulino

 

    Nel precedente seminario è stato proposto un progetto educativo-culturale che, rifiutando una prospettiva enciclopedica, si basi e riorganizzi, in una prospettiva di verticalità (costruzione graduale delle competenze lungo l’arco dell’intero curricolo) e di orizzontalità (valorizzazione delle relazioni fra le aree e le discipline), sui nuclei fondanti dei diversi saperi e sulle loro connessioni.
    E’ stata inoltre indicata nella storicità una delle categorie attorno a cui si struttura il discorso delle diverse discipline a garanzia di un possibile dialogo reciproco. Questa categoria, tuttavia, non va interpretata secondo il canonico quanto tradizionale concetto di storicità come storicismo, ma rifondata attorno a nuovi paradigmi di spazio, tempo, interpretazione, nei termini della contestualizzazione dei fenomeni studiati.

LA PROPOSTA DI MAURIZIO BETTINI
(letteratura latina, università di Siena)

    Nella scuola degli anni ’60 e ’70 ha dominato il modello storicistico, che aveva offerto a tutte le discipline afferenti in qualche misura all’asse storico una garanzia di spiegazione, ma aveva finito per ridurre ad un ormai formulare "storicamente determinato" ogni fenomeno, sottraendogli la complessità e concausalità intrinseche in nome di una interpretazione finalistica o deterministica stretta nei limiti di un rapporto rigido di causa-effetto. Questo paradigma si è rivelato non accettabile.
    Una tendenza più recente, assai pericolosa, rischia tuttavia di appiattire l’interpretazione dei fenomeni storici e culturali in genere sulla present history, sostituendo lo storicismo con la cosiddetta "epistemologia del supermercato", ove sono a disposizione senza una ratio tutti gli strumenti possibili. Questo ha causato conseguenze disastrose, come per esempio il decostruzionismo, degenerazione impropria dello strutturalismo che ha portato forme di disinteresse e di conseguenza interpretazioni incongrue rispetto ad altri fenomeni contemporanei a quello studiato. La legittimazione di ogni interpretazione ne è stata una vistosa deriva. Neppure questo modello è accettabile.
    Ecco perché si ricomincia a credere nell’utilità della storia: ci si rende conto della necessità profonda dello studio dei suoi fondamenti, di riflettere sulla storia e di contestualizzarne gli oggetti di studio. Anche questo bisogno affonda nella storia: come la scienza, la storiografia non esiste, infatti, da sempre, ma è la traduzione relativamente recente (è opera dei greci, con Erodoto, nel V sec.) del bisogno di comprendere e di spiegare ciò che accade e ciò che è accaduto. Questo è un valore della nostra cultura che non deve essere perso.
    Ma ‘prima’ della storiografia era il mito (‘discorso’, ‘racconto’) a tradurre in immagini questo bisogno: era una interpretazione inattendibile? No, parlava per immagini. Non è dunque così facile distinguere fra ‘dati’ e loro interpretazione, fra logos (‘ragione’) e mito, o tra mito inteso (da Cicerone a esempio) come fabula (né vera né verisimile), argumentum (come narrazione verisimile) ed historia come verità. Perché molti sono stati i miti passati alla storia come ‘fatti’: quello ariano, per esempio. E’ un’opposizione falsa: definiamo ‘mito’ quello in cui credono gli altri, ma non noi. Dobbiamo misurarci pertanto sulla categoria di interpretazione e sulle scelte degli ambiti di ricerca, nella storia e letteratura non meno che nelle scienze, che non ne sono esenti.

LA PROPOSTA DI FERDINANDO ARZARELLO
(matematica, università di Torino; U.M.I.)

    Si dichiara perplesso sulla storicità come categoria essenziale per la matematica: Platone sosteneva l’importanza del mito come l’unico modo di parlare di fisica senza la matematica; ma come è possibile difendere la storicità della matematica senza "ipostatizzare gli accidenti"? Tre sono le ipotesi che ci si prospettano:

  1. si potrebbe pensare come Machiavelli allo studioso che si compenetra nel mondo di ieri attraverso una ricostruzione contestuale, immedesimandosi nel tempo studiato e distanziandosi dal presente: ma questo sarebbe tradurre il sapere scientifico in cultura scientifica (anche se in effetti la presentazione dei concetti della matematica non riporta mai le difficoltà del loro studio);
  2. esiste un’altra immagine, quella dello studioso che si rivolge al passato in modo problematico, ben saldo nell’oggi e con questo filtro;
  3. ma la connotazione della ricerca matematica è profondamente legata all’oggi e si rivolge al passato solo se serve. La logica interna della disciplina rompe continuamente con l’immersione nel tempo, e di conseguenza la ricerca matematica appare a-sistematica in rapporto al suo sviluppo, a-storica, de-temporalizzata e de-contestualizzata, o addirittura parzialmente ri-temporalizzata e ri-contestualizzata nel presente.

    Sono molteplici gli esempi di questo modo di procedere; per dirne alcuni: i problemi non risolubili con riga e compasso; il quinto postulato di Euclide; l’ultimo teorema di Fermat. In tutti i casi come questi il problema è stato sempre riformulato in un linguaggio e in un contesto diversi da quello in cui era nato ed incomprensibili in esso. E’ importante allora non il problema stesso, ma la rete di collegamento di metodi e di idee nuove: ne risulta un contesto virtuale e atemporale abitato solo da idee.
    Le tre concezioni ricordate presentano elementi contraddittori fra loro: nella loro coesistenza hanno prodotto infatti relativismo (fondato su Kuhn, Feyerabend, Wittgenstein), sociologismo (cfr. Merton e Bloor), fondazionalismo. Questi approcci cercano di fornire discorsi con fondamenti estranei rispetto a quelli fatti da chi fa matematica, ma nati dalla necessità di capire cosa esiste oltre queste cose; si traduce allora il linguaggio scientifico in termini storico-epistemologici o storico-sociali, introducendo quello che G. Lolli chiama il "discorso obliquo" e che va invece evitato, perché è una via opposta alla via della scienza.
    Certo, esiste la tesi dell’inferiorità del discorso scientifico diretto, perché lontano dal senso comune di "un mondo che recalcitra sempre" perché in continuo cambiamento. Questa lontananza infatti può condurre al soggettivismo. E’ quindi meglio seguire una via più naturalistica, più vicina al contesto in cui si elabora la matematica, immedesimandosi nel linguaggio della scienza senza pretendere di tradurre in altri linguaggi il linguaggio "opaco" della matematica.
    Rifacendosi ad esempi come la scoperta degli irrazionali e la teoria assiomatica degli insiemi, si può osservare come una dimostrazione fondata su principi astratti possa essere sostituita da un’altra dimostrazione che fa a meno di tali principi (lemma di assolutezza). E questo risultato dice molto di più di tanti miti che oggi si stanno inventando.
    Per tutte queste considerazioni, una efficace proposta di tener conto della storicità nella pratica didattica della matematica sembra essere quella della lettura diretta delle fonti originali, almeno per campioni.

LA PROPOSTA DI LUIGI CERRUTI
(chimica, storia della scienza, università di Torino; SCI-DD)

    Una riflessione sul sapere scientifico non può eludere il nesso tra dimensione logica e dimensione sociale che entrambe concorrono a determinare. La dimensione sociale rinvia alla storicità della scienza ed al ruolo che l’ethos svolge nel suo sviluppo.
    E’ possibile indicare almeno quattro livelli di appartenenza comunitaria nel mondo scientifico (quella degli specialisti disciplinari, quella dell’élite ricercatrice in senso stretto, e così via). L’ethos di ciascuna comunità concorre a formare l’ideologia della scienza, vale a dire la rappresentazione che la scienza dà di se stessa: quanto più la comunità è ristretta tanto più forte è lo specifico senso di appartenenza e la specificità della propria rappresentazione.
    Di conseguenza sotto il cielo delle scienze le difficoltà di comunicazione sono tante, in quanto ogni comunità declina all’interno del proprio orizzonte identitario il linguaggio scientifico. Le comunità e il loro linguaggio sono, pertanto, delle formazioni storiche, determinate dalle circostanze sociali da cui sono prodotte. Le lingue stesse costituiscono un’organizzazione strutturale che domina i soggetti parlanti, ma, essendo molti i livelli strutturali del linguaggio, pur esistendo una continuità tra di essi, la scienza deve far i conti con il carattere settoriale, specialistico, a volte gergale, del proprio discorso.
    La lacerazione tra aspirazione del linguaggio scientifico ad una incondizionata assolutezza formale e al riconoscimento della propria storicità produce quell’ambiguità di cui soffrono anche i discorsi dei saperi quali la fisica, la chimica, per non parlare della biologia.
    Per esempio, un articolo divulgativo attorno ad un momento sperimentale è una narrazione stereotipa, quasi una favola. La "parola" scientifica appare imprigionata tra la necessità di comunicare le proprie intuizioni del mondo al di fuori della comunità che le ha pensate e, contemporaneamente, sfuggire ai rischi di un discorso mitologico, di un discorso obliquo a cui è esposta anche per la specificità frammentata degli ethos che si dedicano alla scienza.
    Le procedure conoscitive della scienza sono dunque molto complesse, poiché nascono dall’ethos delle discipline ed inoltre esistono delle gerarchie tra discipline diverse ed anche all’interno delle stesse.
    Ma questa storicità, che accompagna la vita della scienza, non è immediatamente necessaria alla vita della scienza stessa o, meglio, a quella degli appartenenti alle comunità scientifiche. Per produrre scienza non occorre alcuna padronanza della storicità della disciplina che si pratica: solo per condurre una ricerca scientifica serve una certa consapevolezza storica intorno all’identità della propria disciplina. La vera importanza della conoscenza storica sta nella comprensione della scienza. Da un punto di vista didattico, pertanto, se si vuole assicurare un apprendimento scientifico effettivamente critico, non sarà possibile ignorare il farsi del discorso scientifico nel tempo e tra comunità, vaste o piccole che siano.

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12 marzo 2002
G.Lolli –A.R.Guerriero – A.Gandolfi
"La sistematicità come categoria essenziale dei saperi"
(condotto da R.D’Alfonso)

Bologna, Emeroteca del Mulino

    Dopo il dibattito sui fondamenti delle discipline linguistiche, letterarie e storiche svoltosi lo scorso anno, che ha constatato la crisi della categoria tradizionale di storicità, nei due seminari che hanno preceduto l’incontro odierno ci si è posti il problema di ripensare il significato e il valore di questa categoria dal punto di vista dei saperi sia umanistici che scientifici.
    Se nell’ottica della ricerca scientifica (specie matematica) la storicità sembra essere di secondaria importanza, essa ha invece grande rilevanza per la comprensione della cultura tutta e dunque anche della scienza e delle direzioni di ricerca intraprese: a patto, secondo l’opinione concorde dei relatori e conduttori degli incontri precedenti, di sottrarre alla ‘storicità’ le implicazioni ormai obsolete dello storicismo ed assegnarle il senso della contestualizzazione dei fenomeni, di cui ricostruire i paradigmi spaziali, temporali ed interpretativi di riferimento.
    Con il seminario odierno il discorso viene ampliato alla categoria della sistematicità, per discutere se e come essa strutturi i diversi campi del sapere e quali relazioni intrattenga con la storicità..

LA PROPOSTA DI ANTONIO GANDOLFI
(docente di fisica, Parma, Ass. Insegnanti di Fisica)

    Per insegnare proficuamente le materie scientifiche è importante far dialogare la storicità con la sistematicità. Purtroppo, ancor oggi la scienza è vista come prototipo della sistematicità. Persiste, quasi inossidabile, la visione dualistica del sapere: tutta la ricerca dello scienziato è volta a organizzare le conoscenze acquisite in una struttura ultima; al contrario, nelle discipline umanistiche viene sottolineata la dimensione storica, l’irriducibilità delle conoscenze ad una sistemazione cristallizzata. Raramente, dunque, all’interno delle discipline scientifiche la conoscenza storica viene riconosciuta come una necessità.
    La natura e la struttura della scienza sembrano esaurirsi nelle acquisizioni che hanno valore nel presente e pare avere poca importanza sapere quali fossero le convinzioni del passato. Da una simile prospettiva scaturisce una visione acritica del sapere scientifico di origine e di stampo positivisti. Proprio la fisica, nel campo delle scienze naturali, si è candidata per lungo tempo a fornire un modello assiomatico che, imitato dalla matematica, è ritenuto il modello per eccellenza della sistematicità.
    Bisogna rinunciare a questo approccio. La dimensione storica non va vista come un accessorio nello studio della scienza ma come un carattere irrinunciabile per la sua comprensione profonda.
    E’ un’esigenza che si impone a chi aspira ad un sapere vivo e dinamico e che è richiesto a causa delle difficoltà che incontra l’apprendimento delle materie scientifiche nella scuola italiana. Sono proprio pochi gli studenti che sanno contestualizzare le scoperte e gli studi scientifici; e poiché il 98% degli studenti non prosegue nella carriera scientifica, è lecito chiedersi che cosa sopravviverà di quelle cognizioni apprese in modo sistematico.
    Si tratta di un apprendimento dogmatico, acritico, che assolutizza i risultati del sapere scientifico, ma non il processo con cui essi sono stati acquisiti ed il contesto sociale da cui sono stati prodotti.
    La preoccupazione per la diffusione di un sapere scientifico non problematico è stata condivisa da vari scienziati, come Planck, Heisenberg, Mach. In particolare, nella sua infaticabile attività divulgativa della fisica contemporanea, Mach sosteneva, ad un tempo, l’importanza della razionalità interna della scienza e della sua dimensione storica.
    Non basta ridurre il sapere scientifico alla sua coerenza logica, alla predittività, all’applicazione. Quando l’insegnamento si affida prevalentemente a quella forma particolare di retorica che è la persuasione attraverso la dimostrazione, esso mortifica lo spessore culturale della disciplina, non educa al dubbio, fornisce tecniche di calcolo invece di invitare alla problematicità, e rischia di diventare dogmatismo. La conseguenza è lo scarso interesse per le discipline scientifiche in quanto noiose, mnemoniche e slegate dalla vita quotidiana. In questo modo idee innate e preconcette convivono con quelle insegnate senza che lo studente si renda conto che sono contraddittorie.

LA PROPOSTA DI ANNA ROSA GUERRIERO
(docente di italiano, Napoli, GISCEL – Educazione Linguistica)

    La lingua è, alla lettera, un campo di tensione fra elementi storici (la variabilità) ed elementi sistematici (la struttura): poiché la lingua è un prodotto storico, questi ultimi sono comunque inclusi in una dimensione storica. Lo stesso discorso vale per la letteratura, ma la lunga tradizione storicistica dell’insegnamento letterario è decisamente in crisi e bisogna interrogarsi su quale prospettiva possa aprirsi al suo posto.
    Cominciando con una valutazione critica della categoria di sistematicità, ci si può domandare ad esempio quale possa essere la rilevanza di uno scrittore antico su uno successivo o attuale dal punto di vista dell’utilizzazione dei ‘repertori’ paradigmatici del codice letterario (forme metriche, temi, topoi ecc.), così come per uno scienziato la storia della scienza. Ma questo non è certo il punto di partenza di uno studente che deve ancora ricevere una sorta di alfabetizzazione della disciplina.
Bisogna infatti distinguere due diversi aspetti della sistematicità:

  1. dal punto di vista dell’oggetto (lingua, letteratura), una sistematicità come garanzia della coesione interna del sapere, come esplicitazione delle categorie che ne strutturano il codice;
  2. dal punto di vista del soggetto, una sistematicità come riorganizzazione delle conoscenze da parte di chi apprende.

    Questi due aspetti sono paralleli ma non possono e non devono coincidere: l’insegnamento non può infatti tradursi in un trasferimento lineare, successivo, con il rischio della segmentazione, dei diversi livelli del sistema lingua o letteratura (p. es. prima la morfologia, poi la sintassi, poi il lessico, poi la retorica e così via), che naturalmente il docente deve avere come quadri di riferimento. Per contro, l’insistenza sull’uso e su pratiche semiotiche ricche, ponendo in secondo piano il momento della sistematizzazione, comporta viceversa il rischio della dispersione, se il codice e i suoi paradigmi non sono posseduti con sicurezza da chi insegna e fatti riconoscere a chi impara.
    Occorre perciò da parte dell’insegnante muoversi in modo estremamente dinamico fra questi poli, avere e dare chiarezza di analisi disciplinare, offrire molte occasioni di elaborare conoscenza, in un approccio più descrittivo che prescrittivo, in cui la sistematizzazione sia il punto di arrivo. Occorre una connessione tra le diverse discipline e deve essere organizzato un contesto di lavoro che favorisca la sistematicità, e dunque la modellizzazione (competenza generale fondamentale) come un punto di arrivo. Questo vale nell’insegnamento della lingua come in quello della letteratura, che appartengono entrambe, come la scienza e la storia, alla storia della cultura, la quale, come l’educazione linguistica, dovrebbe essere una dimensione trasversale di ogni insegnamento.

LA PROPOSTA DI GABRIELE LOLLI
(docente di matematica, Torino, U.M.I)

    In ambito matematico la sistematicità è essenziale, cioè costitutiva della disciplina: il modello che essa offre è quello ipotetico-deduttivo, secondo il quale da un sistema di pochi assiomi o principii primi si ricavano le conseguenze necessarie logicamente. In questo la matematica ha fornito come modello di sistematicità anche per altre discipline
    E’ curioso allora che nella storia della matematica i grandi trattati sistematici siano pochissimi: gli Elementi di Euclide (IV a.C.) e gli Eléments di Bourbaki (1939) sono separati da duemila anni di vuoto (è vero che nel ‘700 vi furono i trattati di calcolo infinitesimale di Cauchy, ma sono sistematici solo in parte). E già negli Elementi di Euclide qualcosa sfugge, perché l’algebra non viene trattata in modo sistematico.
    Nel corso dei secoli si sono però fatte strada concezioni molto diverse della sistematicità.. In Euclide, infatti, gli assiomi erano veri ed evidenti perché legati a concetti noti a tutti (tranne che per il quinto postulato); tutte le altre proposizioni, anche se non evidenti, risultavano ancora vere perché dedotte. Per i numeri invece non esisteva qualcosa di analogo poiché non era facile dire cosa erano, né si potevano ridurre alla geometria (si veda l’incommensurabilità tra il lato e la diagonale del quadrato che ha portato alla nascita dei numeri irrazionali).
    Con il calcolo infinitesimale c’è qualche novità, nel senso che si ha lo sviluppo di discipline nuove che devono essere organizzate; ma non si hanno più come punto di partenza (come era stato per la geometria) assiomi altrettanto evidenti (ancorché veri).
    Nell’ ‘800, con le geometrie non euclidee, si hanno nozioni controintuitive: gli assiomi non sono più veri ed evidenti, bensì oscuri o non veri. Si ha una vera e propria rivoluzione. Il metodo assiomatico moderno è solo apparentemente simile a quello euclideo: la matematica non è più una disciplina descrittiva della realtà.
    La sistematicità attuale è dunque arbitraria, cioè convenzionale, perché gli assiomi non sono più verità ma stipulazioni con una valenza storica (in quanto teorie derivanti da materiale accumulato in duemila anni).
    Sorgono allora problemi circa la funzione di modello che la matematica ha costituito per altre discipline, poiché le scienze fisiche, che non partono più neppure esse da assiomi semplici ed evidenti, ambiscono viceversa a descrivere la realtà formulando leggi ultime e vere.
    Attualmente la realtà della matematica risulta piuttosto stabilizzata; e se l’organizzazione sistematica porta a queste teorie organizzate in pochi principi e deduzioni, l’idea che ne deriva è quella di fare una sistematizzazione di 2° livello per unire poi le varie teorie attraverso, per esempio, la filosofia della matematica. In campo non matematico l’ unificazione ha un suo esempio nella teoria del riduzionismo nelle scienze; in filosofia della scienza si discute il problema di sintesi o di riduzione poichè l’ambizione della ricerca è quella di arrivare alle leggi ultime. Ma il punto di maggior contrasto è che nella sistematizzazione continui a prevalere l’idea che gli assiomi pur non essendo semplici sono veri, mentre in matematica non sono più né veri né evidenti.

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4 aprile 2002
M. Ciardi – V. Fano – C. Morra
"Oltre l’antitesi tra sistematicità e storicità"
(condotto da M. Pinotti)

Bologna, Emeroteca del Mulino

    I relatori finora intervenuti in questo ciclo di seminari hanno sottolineato la crisi dei saperi tradizionali, fondati sulla categoria di necessità. Sia la "necessità" dei saperi scientifico-matematici sia la "necessità" dei saperi storico-letterari stanno mostrando i limiti profondi della loro fondatezza. Si pensi alla perdita dei caratteri di verità e di evidenza, propri della matematica fino alla metà del XIX secolo, su cui si è a lungo giustificato il carattere necessario della certezza scientifica. Si pensi alla necessità deterministica o teleologica su cui si è a lungo fondata la pretesa di verità del sapere storiografico e di tutti quei saperi che hanno sussulto a loro fondamento la storicità.
    E’ a partire da questa consapevolezza che i tre relatori del seminario sono intervenuti.

LA PROPOSTA DI MARCO CIARDI
(docente di storia del pensiero scientifico, Bologna)

    Dagli interventi precedenti emerge la crisi dello storicismo, non della storicità. Lo storico della scienza, figura nata abbastanza recentemente in Italia, si è sempre posto il problema della sintesi tra sistematicità e storicità. La dimensione storica rappresenta infatti nello studio della scienza una caratteristica irrinunciabile per la sua comprensione profonda ( si veda la proposta di A.Gandolfi nel seminario precedente).
    Oggi è sicuramente superata la visione della storia della scienza come un passatempo per eruditi. La storicità della scienza implica un orizzonte di questioni ben più rilevante della semplice curiosità. Fontammery, per esempio, sottolinea la diversità esistente tra la storia della scienza e il suo progresso; ne deriva che la storia della scienza non può essere prerogativa dello scienziato, ma anzi sembra più indagabile con categorie interpretative più frequentate dagli ambienti umanistici.
    Lo studio della storia della scienza può contribuire a ridare alla scienza un suo valore culturale, che è andato disperdendosi ultimamente. Il problema della scarsa vocazione dei giovani per gli studi scientifici, come attestano le iscrizioni ai corsi universitari, deve anche essere affrontato in termini di rivalutazione della dignità culturale della scienza.
    In definitiva, studiare le questioni dell’universo scientifico costituisce un progetto coinvolgente e di fondamentale importanza per diverse discipline e per questa via si può contribuire a superare le distinzioni tra saperi umanistici e saperi scientifici.
    Uno dei luoghi privilegiati per conseguire questo obiettivo, tenute in attenta considerazione le opportune mediazioni didattiche, può essere la scuola media superiore, in cui è già consolidata l’alfabetizzazione scientifica (che richiede un approccio sistematico) ed è avvertita l’esigenza di dare al sapere tecnico-scientifico una giustificazione non puramente applicativa e funzionale.

LA PROPOSTA DI CRISTINA MORRA
(docente di geografia, Arezzo)

    Sicuramente l’apporto della nuova geografia è in grado di superare l’antitesi tra storicità e sistematicità. Infatti la geografia ha il proprio fulcro nella spazialità e, per questo, si fonda su categorie al tempo stesso sistematiche e storiche. La geografia fa da ponte tra il mondo fisico e quello umano.
    Distinguendo tra l’approccio alla materia stessa e la sua impostazione didattica, è facile riscontrare che l’apporto didattico parte da analisi concrete per arrivare a questioni come l’analisi sociopolitica del territorio.
    La geografia costituisce un ponte tra discipline diverse (come scienze fisico–matematiche, scienze storico sociali, scienze della terra, economia del territorio), ricomponendo un sistema di interrelazioni che si era rotto col formarsi delle specializzazioni.
    Il mondo contemporaneo sta ponendo domande molto urgenti che scaturiscono dalle problematiche politiche internazionali, dai flussi migratori, dai processi di globalizzazione, dalla massificazione, dalle trasformazioni della realtà locale. Questi complessi fenomeni diversi possono essere interpretati dalla geografia nella dimensione spaziale.
    Questa esperienza, se effettuata in classe, acquista notevole valore formativo nel campo dell’educazione dei giovani. La valenza formativa della geografia si può incontrare ad ogni livello scolare,ma si manifesta in particolare nella scuola secondaria.

LA PROPOSTA DI VINCENZO FANO
(docente di filosofia della scienza, Urbino)

    Con la scoperta della storicità viene riconquistata la dimensione sostanzialmente umanistica della scienza. Ma come è possibile un incontro tra carattere storico e carattere sistematico del sapere scientifico? E, viceversa, come possono convivere carattere sistematico e carattere storico del sapere umanistico-letterario? Le due categorie a prima vista appaiono rispettivamente irriducibili:

  • un sapere storico non è riconducibile a leggi universali, mentre un sapere scientifico è fatto di leggi generali;
  • il tempo della storia è passato – presente – futuro, non è assoluto, ma è molto diverso dal quello relativo al prima o dopo della fisica;
  • lo spazio in fisica conta come un parametro e quindi è relativo, in storia è quasi sempre lo spazio geografico;
  • la connessione tra eventi in fisica è di tipo causale, in accordo con una regola, in storia è di tipo teleonomico.

    Emerge quindi l’aspetto del sapere fisico-matematico come esempio di sistematicità, mentre tra le caratteristiche della storicità si evidenzia la soggettività, contrapposta all’oggettività scientifica.
    Ci può essere qualcosa di più lontano tra questi due paradigmi?
    Nella teoria darwiniana, nell’evoluzionismo, è tuttavia rintracciabile un paradigma che può far superare questa rigida contrapposizione tra diversi ambiti del sapere.
    Nello statuto epistemico dell’evoluzionismo, infatti, l’evento singolo risulta importante solo se ricondotto ad una spiegazione generale. Ogni spiegazione prende origine dal presente che, nella sua oggettività, non condiziona il passato. Lo spazio è di tipo geografico, oggettivo, pur non essendo uno spazio fisico. Si ha una percezione della connessione tra eventi come carattere teleologico, ma anche causale, perché riconducibili ad uno schema sistematico. In altri termini, l’evoluzione può essere intesa come categoria storica ma, contemporaneamente, può essere riferibile anche alla sistematicità.
    Interpretando la storia secondo questo paradigma, l’evento singolo assume importanza anche come universale; il passato non va letto solo a partire dal presente ma nella sua oggettiva complessità; i luoghi acquistano un valore rilevante sugli eventi senza però determinarli. La storia non ha alcun progetto, ma, concependo la successione degli eventi in modo darwiniano, il presente diventa un risultato del passato, senza essere stato predeterminato da esso.
    Contemporaneamente, con questa nuova idea di storia, l’interpretazione della fisica avviene attraverso teorie costruite da uomini inseriti in un contesto storico, e quindi condizionate storicamente; il tempo è sempre relativo al prima e al dopo, ma lo scienziato vive e si muove nel presente; lo spazio è di tipo geografico e come tale determina differenze nei modi di fare scienza . La storia della scienza parla di studi che non sono pervenuti necessariamente a risultati: una conferma in più del suo carattere "darwiniano" e non teleologico. Nel campo della ricerca storiografica e nel campo degli studi sulla storia della scienza è stato accolto questo paradigma?
    E’ la storiografia delle "Annales" che ha fatto proprio questo paradigma traducendolo in un programma di ricerca dalle diverse realizzazioni; è l’epistemologia di Thomas Kuhn che l’ha accolto a proposito delle scienze come l’astronomia e la fisica.

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