ritorna all'indice di sezione Progetto scuola ritorna alla pagina iniziale

Castoro.jpg (3322 byte)


ASSOCIAZIONE PROGETTO SCUOLA
"PROFESSIONALITA’ DOCENTE" (2003)

a cura di Mario Pinotti e Ermanno Rosso


1) LA SCUOLA E IL CONTESTO SOCIALE

      I profondi rivolgimenti conosciuti dalla società globale da più di vent’anni stanno manifestando le loro dinamiche complesse anche a proposito della funzione scolastica. Essa ha subìto trasformazioni così profonde che chiedono di essere comprese adeguatamente ed implicano una ridefinizione della professionalità docente.
      Da un punto di vista fenomenologico si impongono alcuni temi alla nostra riflessione che spiegano il momento di particolare malessere che questa istituzione sta soffrendo: la scuola non ha più il monopolio dell’istruzione; la scuola fatica a trovare un rapporto col mondo del lavoro; la scuola spesso confligge con le famiglie nel perseguimento dei modelli formativi.
      Si tratta di problemi in sé non del tutto nuovi. La dinamicità dell’economia industriale ha sempre reso problematico il rapporto tra formazione professionale e esigenze del mercato sottraendosi a soluzioni “definitive”, permanentemente precisabili in forme codificate (quadri orari, curricoli ecc.); la diffusa capillarità del messaggio televisivo ha trasmesso cultura ed istruzione in senso stretto in competizione con la scuola; la molteplicità dei modelli valoriali a cui si ispirano le famiglie non hanno mai reso semplice l’incontro tra genitori e insegnanti.
      Tuttavia, negli ultimi due decenni, qualcosa di qualitativamente nuovo si è determinato: la crisi della funzione uniformatrice della scuola.
      In passato, alla scuola si è sempre chiesto di trasferire alla società, in forme unificanti, la cultura, il sapere. All’interno di indirizzi formativo-professionalizzanti diversi, le modalità della comunicazione sono state simili e la preoccupazione centrale è sempre stata quella di garantire a tutti, ma proprio a tutti, questo discorso.
      Oggi, questa funzione unificante ha probabilmente perso senso in presenza di un sistema di relazioni che va in un’altra direzione. Gli imprenditori chiedono una professionalità flessibile, trasferibile da mansione a mansione, da funzione a funzione; il sistema telematico offre un’offerta informativa così ampia da individualizzarne la fruizione, l’eclettismo valoriale (figlio delle planetarie contaminazioni culturali) moltiplica le diverse aspettative pedagogico-didattiche delle famiglie. La scuola ed il corpo docente sono di fronte ad un bivio decisivo: o raccogliere la sfida della trasformazione o marginalizzarsi nella prospettiva di divenire un’istituzione residuale. Da tutte le parti le si chiede di personalizzare il proprio intervento, di individualizzare i percorsi scolastici, di riconoscere quanto ciascun alunno riesce ad apprendere. Lo chiedono gli operatori economici, le famiglie, gli psicologi dell’età evolutiva, il mondo politico preoccupato di legittimare la spesa pubblica in termini di consenso sociale.
      Davanti a queste domande si aprono molti interrogativi. Qual è il destino del sapere disciplinare, di cui i docenti sono stati il soggetto della trasmissione? I tradizionali canoni delle varie materie insegnate potranno sopravvivere a questo incontro? E se essi sono destinati ad un inarrestabile tramonto, come si trasformerà l’identità professionale dell’insegnante? Quest’ultimo è destinato ad essere ancora un intellettuale o dovrà trasformarsi in un esperto di non meglio precisate mediazioni organizzative?
      E’ l’avvertimento di tutte queste inquietanti domande che scontano i docenti italiani; è la percezione della perdita d’importanza sociale delle loro competenze professionali a provocarne il malessere.
      L’Associazione Progetto per la Scuola ritiene che il problema non vada affatto posto in tali termini dicotomici: non c’è una tradizionale competenza divenuta inutile che si ritrae dinnanzi alle incalzanti richieste di nuove competenze. Le cose non stanno così: è invece necessario che le tradizionali competenze vengano riqualificate nel nuovo sistema di relazioni che la società sta conoscendo. La padronanza dei saperi rimane il fondamento della professionalità docente, ma ciò che distingue un docente da un ricercatore è la competenza didattica del primo rispetto al secondo.    La mediazione didattica non richiede solo qualificazione disciplinare, ma anche attenzione alle condizioni di apprendimento dell’alunno, destinatario del sapere.
      Da qui deriva la necessità che gli insegnanti riconoscano come loro professionalità conoscenze psico-pedagogiche e abilità didattiche. La semplificazione (nel senso della essenzializzazione) del sapere disciplinare impone la conoscenza dei processi psicologici degli alunni e delle mediazioni didattiche che si rendono necessarie di conseguenza.
      Questa scommessa, che ogni giorno si rinnova, non è limitata al singolo docente ed ai suoi alunni: si colloca in un contesto funzionale - la scuola - a sua volta correlata con altre istituzioni. L’organizzazione dello spazio e del tempo scuola, il reperimento delle opportunità culturali offerte dal territorio, lo scambio dialogico con famiglie e operatori economici e politico-istituzionali, la valorizzazione delle risorse scolastiche non possono essere abbandonate all’improvvisazione ed allo spontaneismo, ma chiedono una qualificazione professionale riconosciuta.
      Tutti questi campi si intrecciano in un’unica funzione che fa dell’insegnante una particolarissima figura professionale di cui la società ha assolutamente bisogno.


2) LA COMPETENZA DISCIPLINARE OVVERO DI COSA DEVE ESSERE SAPIENTE L’INSEGNANTE

      L’insegnante non è un ripetitore esecutivo di sapere: quando la sua funzione si riduce a questo ne vanifica il valore. E’ necessario liberare il sapere dal dogmatismo, di cui ha sofferto e soffre tuttora nella scuola. Troppo spesso ‘sapere’, ‘conoscere’, ha finito per significare tra i banchi, nelle aule, erudizione, assunzione ed applicazione inconsapevole di formule, regole, dati, fatti.
      C’è, poi, un’altra ragione, di cui ugualmente ha sofferto negli ultimi tempi la scuola italiana, che induce a ripensare radicalmente l’identità del sapere e la sua declinazione didattica. L’organizzazione sociale del sapere ha condotto sempre più verso una specializzazione, e di conseguenza una frammentazione, delle sue articolazioni disciplinari. Non è solo l’esito di un interno sviluppo del pensiero scientifico e delle sue applicazioni; questa frammentazione si è tradotta in corsi di laurea, scuole di specializzazione, materie di insegnamento, collane editoriali. La frammentazione non è rimasta solo un fenomeno concettuale, ma si è fatta corpo in interessi vivi, in poteri tesi a legittimare il proprio diritto all’eternità. Ma proprio l’inesorabile trasformazione dei tempi presenti condanna all’invecchiamento precoce ogni sua manifestazione, comprese le specializzazioni del sapere.
      Si impone, allora, la necessità di riesaminare l’identità epistemologica delle varie discipline per scoprirne l’evoluzione, per constatarne la crescente sovrapposizione, per riesaminarne gli ambiti ed i confini. Quanto sono distinguibili, ad es., la geografia antropica che ha assunto i tempi lunghi delle trasformazioni strutturali e i grandi spazi qualitativi sovrapposti dalla storia o dall’antropologia?
      Come distinguere, tra le materie d’insegnamento, una ricognizione sui valori di senso e sul significato dei valori espressi dalla poesia, dalla pittura, dall’indagine filosofica? La trascuratezza di tali questioni ha portato talvolta la scuola italiana a sovraccaricarsi di insegnamenti, a moltiplicare le cattedre, a riprodurre la frantumazione nelle sue forme più aride e fini a se stesse.
      Per restituire al sapere ed alle sue articolazioni plurali il suo significato essenziale e dimostrare che il suo dispiegamento comporta anche una profonda trasformazione della prassi didattica e della considerazione del ruolo degli studenti nella scuola italiana, bisogna che il docente mostri il carattere problematico del sapere e che ne sveli il valore in rapporto alla sua fecondità euristica.
      Questa identità del sapere e delle sue articolazioni particolari è resa efficacemente dalla seguente quadripartizione:

  • di una disciplina, in primo luogo, si può dire che è un canone di conoscenze (fattuali o formali), ma guai a pensare che questo canone sia determinabile in modo oggettivo.

  • In secondo luogo, un sapere è fondato su categorie logico-sintattiche CHE ORDINANO le conoscenze e a cui danno un significato. Tempo, spazio, nessi causali sono i fondamenti degli statuti scientifici dei saperi disciplinari, ma anch’essi non sono univoci, come dimostrano le trasformazioni che la fisica, la matematica, la linguistica, la storia, l’economia hanno conosciuto nel corso della loro storia.

  • Questa storicità rinvia al terzo aspetto dei saperi: l’intenzionalità. A promuovere la ricerca scientifica è l’intenzionalità che aspira a conoscere e ad interpretare secondo grammatiche e sintassi corrispondenti alle sue aspettative.

  • Ed infine, il sapere rinvia alla sua quarta caratteristica essenziale: il contesto sociale in cui intenzionalità e sintassi trovano una collocazione ed una dimensione storicamente determinata.

      Il docente deve possedere la chiave di questa complessa identità del sapere per non comprometterne la vitalità e la intrinseca creatività. E’ l’unica via per difendere la funzione docente da rischi di pura esecutività tecnicistica o meccanicità dogmatica.


3) LE COMPETENZE DIDATTICHE OVVERO COME RIVOLGERSI AGLI ALUNNI

      Come far apprendere questo sapere agli alunni? Come trasmetterne gli elementi costitutivi, irrinunciabili?
      Se il sapere è un’attività di ricerca, su quali operazioni cognitive e logico-operazionali si fonda? E come ci si deve avvicinare alla rappresentazione delle categorie ordinatrici di cui si serve?
      A queste domande occorre rispondere in modo preciso.
      L’Associazione Progetto per la Scuola sostiene con grande convinzione l’idea che in definitiva ogni sapere disciplinare rinvii la propria capacità euristica a poche competenze operazionali, in ultima istanza uguali per tutti. Indipendentemente dal contesto disciplinare a cui ci si riferisce, il processo di ricerca richiede queste competenze:

  • saper formulare ipotesi, problematizzare e selezionare di conseguenza il campo della propria indagine,

  • leggere, analizzare e interpretare le proprie fonti e dati,

  • generalizzare e astrarre,

  • strutturare e confrontare in ipotesi descrittivo-interpretative quanto raccolto dalla ricerca,

  • ed infine comunicare gli esiti della propria esplorazione.

      L’apprendimento e sviluppo progressivo di queste competenze deve essere la finalità principale della scuola italiana e a questa finalità deve qualificarsi la professionalità docente.
      La didattica per competenze così concepita è capace di sussumere dentro di sé sia la nozione più tradizionale di curricolo cognitivo (fondato sull’assunto che ogni qualvolta si trattano informazioni si attivino operazioni mentali, organizzate attorno a concetti fondanti quali spazio, tempo, qualità, quantità ecc., alle loro relazioni e alle relazioni fra essi e la realtà), sia quella di un curricolo funzionale, misurato cioè sui bisogni dell’apprendente (bisogni di crescita personale, sociali, di apprendimento, funzionali, di cui va reso consapevole). Questa didattica per competenze consente di individualizzare l’apprendimento e di certificare i successi conseguiti da ogni alunno nel proprio percorso scolastico.


4) LE COMPETENZE PSICO-PEDAGOGICHE OVVERO IL DESTINATARIO DELL’APPRENDIMENTO

      Sono in grado di apprendere questo genere di sapere gli alunni? Le loro caratteristiche psico-cognitive sono compatibili con questa ambizione didattica?
      Un insegnante non può eludere queste domande e pertanto deve possedere fondamentali cognizioni di psicologia dell’età evolutiva e di pedagogia. Anche l’attivismo, il più grande movimento pedagogico del Novecento che ha orientato tanti insegnanti di diversi convincimenti ideologico-culturali in scuole di vario ordine e grado, ha affermato l’esigenza che gli alunni siano costruttori del sapere appreso, siano i protagonisti dell’attività scolastica. Ma questa rischia di restare una formula, una dichiarazione di buone intenzioni se non si interviene in modo deciso sul nodo cruciale delle modalità di fare didattica in classe.
      A questa aspettativa pedagogica risponde allora la didattica laboratoriale. Per laboratorio non si deve intendere in senso stretto il luogo in cui vengono costruiti esperimenti scientifici: in questa accezione non si capirebbe il nesso con materie che non sono solite avvalersi di tali spazi dedicati. Il laboratorio è una metafora che rappresenta il luogo logico in cui vengono proposte tutte le operazioni fondamentali del sapere e insegnante agli studenti attraverso esperienze dirette, rispetto alle quali il docente svolge un ruolo di guida e regia. Si è perciò ‘in laboratorio’ tutte le volte che gli studenti analizzano e interpretano in prima persona, sia individualmente sia in gruppo, fonti, dati e informazioni, elaborano confronti e interpretazioni, strutturano ipotesi e così via, con un docente che li indirizza nel processo e limita i propri interventi frontali all’indispensabile come avvio, raccordo, conclusione. L’insegnante deve qualificarsi in questa modalità didattica, che oggi può contare solo su poche ed episodiche esperienze.
      Un secondo esempio. La psicologia dell’età evolutiva ha da tempo insegnato che le potenzialità cognitive degli alunni conoscono fasi qualitativamente distinte e dalla durata generalmente scandibili. Un bambino nell’età logico-intuitiva si rappresenta il mondo in modo radicalmente diverso da un adolescente, in cui comincia a delinearsi un pensiero logico-formale. Come costruire condizioni di apprendimento compatibili con simili visioni del mondo? Come dare unitarietà formativa ad un intervento didattico costretto a far fronte a tali discontinuità cognitive?
      Ancora. I più recenti studi psicologici richiamano l’attenzione sulle caratteristiche emotive dell’intelligenza umana e sulla pluralità delle intelligenze: come valorizzare queste potenzialità? La loro mortificazione e la loro dispersione oltre ad essere una grave perdita di risorse cognitive è stata causa di frustrazione e di sfiducia in sé di numerosissimi alunni ed alunne.


5) LA DIDATTICA PER COMPETENZE E L’ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA

      Questa didattica non è una didattica che si esaurisce all’interno delle scelte individuali o dei consigli di classe. Essa richiede un profondo rivolgimento dell’organizzazione scolastica come è previsto largamente dal regolamento attuativo della legge 144 sull’autonomia delle scuole.
      La nuova identità giuridica delle scuole deve diventare un’occasione di crescita di questa nuova didattica, strada maestra per rompere la marginalizzazione sociale di cui soffre attualmente l’istituzione scolastica.
      Il portfolio delle competenze degli studenti, progetto assunto in sede europea, può concretizzarsi solo entro una didattica di questo tipo, l’unica capace di garantire la certificazione dei successi individuali dello studente. Essa, infatti, è l’unica in grado di aprire un dialogo con le istituzioni sociali, soprattutto quelle del settore economico.
      Alcune normative non scolastiche, ma legate al mondo del lavoro (la legge 196/1997, la legge 112/1998, la legge 144/1999, che all’art. 68 ha dato avvio all’obbligo formativo) impongono sempre più una impostazione in termini del tutto nuovi di quella che è la certificazione delle competenze per chiunque si trovi a vivere nel contesto della formazione scolastica o anche extrascolastica . La lettura di questa normativa spinge verso la certificazione degli esiti raggiunti nel sistema scolastico. E’ una nuova filosofia della valutazione, ben diversa da quella tradizionalmente sperimentata in precedenza: non il riconoscimento dei titoli di studio dovranno rappresentarne il riferimento, ma la certificazione delle competenze raggiunte e possedute.


6) UNA RICERCA PERMANENTE

      Da tutte queste considerazioni si delinea la figura della professione docente per la scuola dei tempi presenti. La sua competenza disciplinare deve essere posta al servizio di un processo di apprendimento che tenga conto delle potenzialità cognitive e relazionali degli studenti e che sappia mostrare questi apprendimenti in termini di competenze certificabili e riconoscibili dagli altri soggetti sociali.
      Tutto questo profilo richiede di trasformare la professione docente in una professione di continua ricerca individuale e soprattutto collettiva. Il docente diventa un professionista che partecipa ad un processo sociale di fondamentale importanza: la valorizzazione ottimale della risorsa umana. La promozione di un’intelligenza duttile, bene supremo in una società in continua trasformazione ed in relazione col sistema mondo, rende il docente un professionista di qualità particolare.
      Accanto al riconoscimento di ciò che è generalizzabile nella multiforme varietà dell’esperienza umana ed alla acquisizione di linguaggi che sappiano comunicare non ambiguamente tale universalità, il docente deve anche promuovere tutte le facoltà “misteriose” e indeterminabili di cui l’uomo si serve per affrontare gli enigmi della vita quotidiana.
      Per questo genere di professionalità occorre una grande mobilitazione di tutti i soggetti della comunità nazionale ed il riconoscimento esplicito che in palio c’è la valorizzazione o meno della nostra dinamicità sociale.

      L’obiettivo di arrivare ad un portfolio delle competenze degli studenti in sede europea indica la direzione da percorrere. Come deve sapersi qualificare il docente davanti ad un simile compito?
      Deve essere chiamata in causa la funzione organizzativa, razionalizzatrice della professionalità docente. Egli deve pensare la sua attività come inserita nel Piano dell’Offerta Formativa della scuola. Su questo terreno l’incontro con le famiglie, col mondo del lavoro, con gli enti locali rappresenta un passaggio strategico. Questa opportunità, proprio per la sua complessità relazionale, però, è esposta al grosso rischio di trasformarsi in una procedura burocratica riducendo la progettazione formativa ad una vuota e stanca ritualità.
      Questa funzione organizzativa, razionalizzatrice è un campo di esperienza del tutto nuovo per il docente e la sua costruzione richiede un massimo di collaborazione, di scambio, di circolazione dentro e fuori la scuola di idee e pratiche difficili da generalizzare.
      APS ritiene questo terreno uno dei più problematici e difficili da affrontare e giudica estremamente inadeguati gli spazi normativo-contrattuali finora riconosciuti all’esercizio di tale funzione.


7) COME ESPLICITARE E RICONOSCERE QUESTA PROFESSIONALITA’ MEDIATRICE?

      La domanda è delicata, ma ormai ineludibile, in quanto ad essa si legano la riconoscibilità sociale e la valorizzazione della professione docente. Le difficoltà della risposta nascono sia dal carattere qualitativo dell'insegnamento, che chiede l'elaborazione di strumenti ad hoc per la sua esplicitazione, sia dai timori che essa suscita nella comunità degli insegnanti. Di questi timori fornisce ampia testimonianza la ben nota vicenda del "concorsone".
      E’ utile chiarire che le considerazioni che seguono non si riferiscono alla valutazione della professionalità nel senso di una sua misurazione quantitativa, ma solamente alla possibilità di esplicitarla, documentarla e renderla quindi visibile e riconoscibile dentro e fuori la scuola, quale strumento di aiuto alla riflessività docente e allo sviluppo professionale e quale premessa necessaria per un riconoscimento alto della funzione sociale dell’insegnante.

      L'obiezione maggiore che viene portata alla possibilità di esplicitazione della professionalità docente è che essa ha un carattere qualitativo, quindi non misurabile e nemmeno comparabile.
      L'affermazione del carattere qualitativo della professione è senz'altro condivisibile, infatti bisogna essere consapevoli che l'insegnamento è un ambito nel quale il tutto è maggiore della somma delle parti, per cui nessuna descrizione della prassi professionale si esaurisce nella somma degli elementi che la compongono. Nel processo di insegnamento-apprendimento centrale è l'elemento, eminentemente qualitativo, della relazione: entrare in contatto, in reale comunicazione, capire-capirsi è premessa per qualunque altra azione formativa. La modalità della relazione condiziona ogni altro aspetto e la relazione vissuta non è prefigurabile all'interno di protocolli stabiliti, ma si costruisce e definisce solo in contesto.
      Tuttavia questo unicum non è frutto del caso né esclusivamente attribuibile alla sensibilità personale, esso richiede preparazione professionale ed esperienza, elementi questi documentabili, così come documentabile attraverso i risultati ottenuti è la validità e l'efficacia della relazione stabilita. Siamo convinti che il carattere qualitativo dell’azione formativa non debba essere un alibi per negare la riconoscibilità della professionalità docente e neppure per affermarla genericamente, ma poi lasciare alla “sensibilità del singolo” l’individuazione dei suoi elementi e la loro cura. Un simile atteggiamento è alla base sia delle difficoltà della scuola ad adeguare la propria didattica alle esigenze formative di una società in veloce trasformazione sia della perdita di ruolo sociale del docente. Se affermiamo che la professionalità del docente non è esplicitabile, allora qualunque pratica di insegnamento vale l'altra, qualunque idea di crescita professionale rimane una velleitaria dichiarazione di principio senza alcuna possibilità di declinarsi in processi di formazione/aggiornamento significativi ed efficaci. Se noi insegnanti per primi riteniamo che una professionalità docente non sia esplicitabile, come possiamo pretendere che essa sia riconosciuta a livello sociale ed economico?
      Affermare il carattere qualitativo della professione non significa quindi negarne ogni statuto: se è vero che qualunque descrizione non ne esaurisce la complessità è altrettanto vero che essa mostra risultati riconoscibili, altrimenti perderebbe senso la stessa possibilità di valutazione degli studenti da parte dell'insegnante. E proprio a partire dalla documentazione degli esiti dell'azione formativa emerge, secondo noi, la professionalità docente la quale, si esplicita in un processo formativo di medio-lungo periodo del quale possono senz’altro esibirsi i prerequisitivi (formazione iniziale e in servizio del docente), lo sviluppo (ricerca-azione, pubblicazioni a carattere didattico, esperienze di tutoraggio e di corsi di formazione in qualità di docente), e soprattutto gli esiti formativi, testimoniati dai risultati raggiunti dagli studenti e dal processo attraverso cui il docente si rende responsabile di quegli esiti. Riteniamo necessario accompagnare agli esiti i processi perché ci sembra evidente che l’esito in sé è il frutto non solo dell’azione formativa del docente, ma anche dei prerequisiti e del contesto culturale entro cui opera lo studente e quindi solo il processo educativo nella sua completezza è in grado di testimoniare l’efficacia dell’azione formativa propria del docente.


8) UN PORTFOLIO PER DOCUMENTARE LA PROFESSIONALITÀ DOCENTE?

      Per quanto debba essere ulteriormente articolata, l’ipotesi avanzata dal progetto della Direzione scolastica regionale dell’Emilia Romagna "Documentare il curriculum del docente" di costruire un portfolio del docente, quale strumento per documentare la professionalità, può senz’altro essere considerata positivamente. Si tratta di uno strumento “debole” in quanto largamente discrezionale nel suo uso e nella sua valutazione, tuttavia è un passo importante nella direzione di una professionalità che esce allo scoperto, si apre alla società e accetta di documentare il proprio agire, i suoi presupposti e i suoi esiti e si dispone al confronto e al giudizio dei colleghi senza ritenere insindacabile il proprio operato, ma anzi sollecitandone la valutazione quale strumento indispensabile per poter migliorare la propria azione formativa.
      Ma quali elementi debbono comporre questa documentazione? Per definizione un portfolio contiene tutto quello che il suo autore ritiene utile documentare e quindi si presenta come uno strumento libero e aperto. Senz’altro conterrà anche gli strumenti che certificano la propria formazione, tuttavia noi crediamo che siano gli esiti formativi negli studenti a rappresentare la più efficace documentazione della professionalità docente, e quindi il portfolio, per essere adeguata testimonianza di essa ed efficace strumento per il suo riconoscimento, dovrebbe essere particolarmente ricco di tre elementi:

  • della documentazione del processo formativo e dei suoi esiti, quindi devono trovare ampio spazio i compiti degli studenti (non solo le tracce!); questi però sono significativi solo se presentati come esito di un percorso e quindi accompagnati dal test d’ingresso (sulle medesime competenze che poi saranno mostrate negli esiti finali) e dalla programmazione. Il puro esito formativo decontestualizzato non può essere testimonianza efficace dell’azione formativa del docente. Privo della documentazione del contesto in cui si è prodotto l’esito esso testimonia senz’altro le competenze dello studente, ma non quanto il docente sia responsabile di esse. Ovviamente uno studente di alto livello dotato di ottimo background e motivato allo studio ottiene risultati brillanti e uno studente con difficoltà pregresse ottiene modesti risultati finali. Il docente deve mostrare quindi il percorso fatto e i progressi conseguiti più che gli esiti finali

  • dei prodotti dei ragazzi (artefatti culturali), in grado di mostrare le competenze raggiunte e la capacità di utilizzare la proprie conoscenze per produrre altro sapere e non solo come sterile nozionismo. I prodotti dei ragazzi (dal poster all'ipertesto, dal giornale storico al prototipo tecnologico, dalla ricerca d'archivio o di laboratorio all'allestimento di una mostra) sono la testimonianza di una scuola che produce (o almeno riproduce creativamente) sapere e non si limita a memorizzare una tradizione. Ovviamente deve essere documentato nel portfolio non solo il prodotto finale, ma soprattutto il processo di problematizzazione, ricerca, elaborazione, produzione, presentazione dello stesso: sono questi elementi che mostrano in contesto le competenze dello studente e quindi la professionalità stessa del docente che ha saputo svilupparle

  • sia pur da considerare con attenzione, anche questionari di analisi/valutazione di bilancio finale compilati dagli studenti possono essere un'utile documentazione da inserire nel portfolio, particolarmente per testimoniare gli elementi qualitativi dell'azione formativa, come la relazione, nonché il raggiungimento degli obiettivi metacognitivi del processo di apprendimento

      Queste considerazioni ci sembrano coerenti con la nuova prospettiva complessiva del sistema formativo che, come rilevato sopra, mira allo sviluppo e alla certificazione delle competenze raggiunte dall'allievo, quindi degli esiti dell'azione formativa, ma siamo consapevoli che essa comporta un particolare quadro di riferimento culturale e metodologico-disciplinare rispetto al quale la scuola italiana e i suoi operatori non sono ancora attrezzati. Innanzitutto documentare gli esiti comporta una chiara definizione degli obiettivi formativi stessi, delle competenze da raggiungere e degli standard con cui valutarle: una chiarificazione complessa e problematica che la scuola italiana non ha ancora affrontato con sufficiente coraggio e coerenza.

      Ovviamente gli esiti formativi non possono da soli esaurire la testimonianza della ricca articolazione delle competenze professionali: è evidente, ad esempio, che rispetto a quelle organizzative gli esiti saranno documentati dai risultati conseguiti nel miglioramento dell'organizzazione scolastica o nella progettazione del piano dell'offerta formativa; e questo vale per le altre competenze.
In ogni caso, la filosofia di fondo di ogni seria esplicitazione della professionalità docente resta l’idea che sia la conseguenza prodotta dalla propria azione, e non la sua mera certificazione, a documentare la professionalità e consentirne il riconoscimento da parte sia della comunità dei pari (i colleghi) sia della società.
 

ritorna ad inizio pagina