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La professionalità del docente deve essere intesa ad ampio raggio. Riflessioni sulla professionalità docente
Nicoletta Calzolari (nota 1)

      Attualmente, in base alle ultime ricerche, la scuola non è più l'unico detentore di conoscenze culturalmente codificate e condivise: inoltre la sua specificità di possedere il ruolo esclusivo del binomio istruzione - educazione è stato "minato" in quanto le famiglie, nella maggioranza dei casi, vogliono partecipare e condividere le responsabilità educative e conoscitive del figlio anche alunno (nota 2).
      Un contributo di J.P. Pourtois mette in luce (nota 3) il cambiamento che è avvenuto nella società e che riguarda il tipo di valori, significati e richieste formulati dalla famiglia e dalla società stessa nell'epoca post-moderna e che, di conseguenza, pongono nuove problematiche e ricerca di nuove soluzioni da parte della scuola di ogni ordine e grado.
      Riassumo brevemente le quattro fasi che, secondo J.P.Pourtois, rappresentano l'evoluzione nella divisione del "lavoro" educativo tra famiglia e istituzione scolastica; teniamo presente che quanto esposto dipende anche dai grossi cambiamenti di tipo sociale, famigliare, imprenditoriale, dei valori e bisogni a loro connessi, che sono avvenuti dall'epoca delle società agricole ad oggi: società post- moderna
      Una breve premessa: per molto tempo la divisione tra scuola e genitori (o famiglia) è stata la regola fondamentale per cui alla prima era dato il compito di istruire, mentre la seconda doveva svolgere una funzione educativa. Nella scuola la prospettiva prioritaria era quella dell'istruzione e dell'acquisizione della cultura generale, poiché del resto la maggioranza delle famiglie era composta da persone analfabete, mentre la famiglia doveva provvedere al soddisfacimento dei bisogni fisici.
      Fase 1a: nasce l'obbligo scolastico, gli insegnanti detengono il monopolio dell'istruzione. Nel XX secolo la famiglia assume anche un ruolo affettivo - espressivo, per cui ci troviamo di fronte alla nascita di una nuova funzione del bambino: quella affettiva
      Negli anni '60 la scuola diviene cosciente dei fallimenti scolastici legati alla fascia degli individui provenienti da ambienti modesti; entriamo nella 2a fase, dove la scuola informa i genitori perché affianchino la sua opera educativa, ma è ancora l'istituzione scolastica che detiene il potere.
      L'adulto esprime delle aspettative nei confronti del bambino; emerge l'ideologia partecipativa e paritaria: è la fase 3a, con il genitore come partner, per cui gli insegnanti fanno cose con e non per i genitori. Fino agli anni '60-'70 il bambino veniva considerato un prodotto per la scuola, dagli anni '80 i figli fanno parte della vita del genitore e dello sviluppo della propria vita, per cui il genitore investe sempre più sui figli e vuole partecipare e modificare il ruolo tipico delle istituzioni scolastiche.
      Fase 4a: importanza del ruolo educativo della famiglia, ruolo che prima era stato demandato alla scuola; di conseguenza, si assiste ad una perdita di potere dell'istituzione scolastica e quindi del docente.
      Durante tutto questo processo la divulgazione delle informazioni, le conoscenze specialistiche sempre più diffuse, oltre all'esigenza, esplicitata sopra, di partecipare sempre più alla formazione educativa e all'istruzione dei giovani componenti della società, sempre più investiti di un maggior numero di ruoli, abbiamo la nascita e il proliferare di altri luoghi adibiti al conoscere e al sapere: circoli culturali, gruppi sportivi, centri gioco, biblioteche, ecc. Attualmente il rapporto delle istituzioni scolastiche con il territorio fa in modo che le agenzie educative possano integrare e collaborare con la scuola.
      Se è vero che oggi, nella società, si evidenzia una funzione di tipo pedagogico che ci porta a identificare e a discutere sui bisogni psicologici, sui doveri standardizzati, su ciò che emerge dalla persona, e che le conoscenze sono maggiormente diffuse, è bene tenere presente che formare significa rendere consapevoli gli individui delle proprie capacità, dell'importanza di rispondere ai bisogni (propri e altrui); aiutarli a comprendere che conflitto e aggressività sono aspetti presenti nella vita e che possono essere gestiti ed incanalati.

      Da più parti si parla della frustrazione del docente e della sua perdita di "potere" culturale e istituzionale: bisogna sottolineare che questo è il medesimo sentimento che "serpeggia" tra i docenti.
      In base anche all'esperienza personale, ritengo che al docente non possa più competere il ruolo di unico detentore delle conoscenze disciplinari, ma che debba sempre più assumere la funzione di "mediatore dei codici simbolico-culturali" (nota 4). Caratteristica specifica che lo distingue dallo studioso "accademico", o esperto della materia, deve essere la sua capacità di "tradurre" le conoscenze in modo che siano avvicinate agli alunni e dunque apprese; per cui ritengo che conoscenza ed esperienza didattica siano un altro aspetto specialistico indispensabile. Tutto ciò implica ulteriori conoscenze di tipo psicologico-pedagogico-antropologico che permettono all'insegnante di giungere ad una panoramica sufficientemente ampia delle questioni legate alla didattica, per poter rispondere alle diverse esigenze rilevate nei contesti scolastici, di ogni ordine e grado, in cui si trova ad operare.
      Ritengo che questo aspetto permetta al docente di possedere quel livello di competenza in più che lo distingue da uno studioso e conoscitore della disciplina, o del campo specifico, di interesse.
      Naturalmente il tutto deve essere accompagnato da un codice etico - morale, presente in ogni ambito professionale, che possiamo definire: consapevolezza e responsabilità del ruolo delicato che si assume e si occupa. Quindi la consapevolezza che oltre all'esigenza di studiare e approfondire le proprie conoscenze, bisogna affiancare queste alla costante attività di autovalutazione in modo da consentire di modellare e modulare il proprio ruolo in base alle esigenze esterne ed interne. Cosa intendo per interno ed esterno: la soddisfazione e il piacere di "fare", di "essere" (nota 5), preludio al sentirsi professionista in continua evoluzione e come tale responsabile del proprio agire in un contesto ben preciso: quello storico e culturale in cui ci troviamo. Ci deve distinguere il fatto di continuare a mettere in relazione la nostra competenza con lo spazio - tempo in cui viviamo per divenire attori e produttori di cultura e non rimanere relegati al ruolo di "detentori" del patrimonio culturale.
      Naturalmente non voglio allargarmi a tal punto di pretendere che il docente divenga "tuttologo": per questo motivo ritengo indispensabile il lavoro in team, il lavoro collegiale, che permette di accedere anche ad aspetti della conoscenza che non sono di nostra competenza specifica ,ma fondamentali in quanto parte del nostro vivere quotidiano.
      Quello che dirò ora sembra abbastanza scontato e condiviso: più "basso" è l'ordine e grado di scuola (più sono piccoli gli scolari e le scolare), maggiori sono le competenze psico-pedagogiche e didattiche richieste e minori le competenze disciplinari, mentre il modello diventa inversamente proporzionato quando si sale nell'ordine e grado di scuola. (nota 6)
      Come insegnante di scuola dell'infanzia ho scoperto che non posso astenermi dal conoscere alcune discipline in modo più approfondito (la formazione generalistica ha caratterizzato in passato la formazione degli insegnanti di questa fascia scolastica) e che quindi, se voglio operare nella scuola come professionista, non posso esimermi dal continuare a studiare e apprendere quelli che sono gli aspetti fondanti delle discipline sia centrali nell'educazione infantile, come la lingua uno, sia di mio interesse precipuo; per poi confrontarmi, non potendo approfondire tutto, con i colleghi, esperti in altre aree, per effettuare analisi più profonde sulle conoscenze che loro possiedono in modo più specifico e articolato.
      Come insegnante che entra in rapporto con il territorio in cui è inserita la propria istituzione scolastica, ho potuto constatare che difficilmente negli altri ordini e gradi di scuola si riconosce l'importanza del sapere didattico e psicologico, in quanto si vive, generalmente, l'idea di istruzione, come trasmissione delle conoscenze e si ritiene che il proprio lavoro sia svolto quando le verifiche confermano il successo scolastico basandosi esclusivamente sulla quantità delle conoscenze apprese.
      Ritengo non si debba dare importanza solo al "sapere" (inteso come approfondimento di una o più discipline), ma anche al piacere del conoscere. In base a tale assunto approfondisco ciò che è fonte del mio interesse e che può essere stato il presupposto per cui ho svolto un determinato ciclo di studi, ma la sfida personale dovrebbe essere quella di incuriosire e "affascinare" lo studente in modo che si avvicini al mondo del sapere con atteggiamento attivo e critico.
      A tal fine ritengo indispensabile che il docente incontri, utilizzando la comunicazione, il mondo, il patrimonio antropologico di cui fa parte lo studente di qualsiasi età. (nota 7)    Con questo non intendo parlare di docente come salvatore del mondo e risolutore di tutte le problematiche esistenziali che si presentano, ma docente conoscitore o "semplicemente" ascoltatore attivo della voce dello studente, soggetto del conoscere e dell'apprendere.

NOTE

1) Membro associazione APS, Insegnante di scuola dell'infanzia, membro del Nucleo di Supporto all'autonomia del Provveditorato di Bologna, attività di ricerca - azione con IRRE-ER e sui Curricoli verticali Prov. di Bologna " laboratorio di italiano", docente per 3 anni nei "corsi concorsi per il conseguimento dell'abilitazione per la scuola dell'infanzia", attualmente anche supervisore del tirocinio a Scienze della Formazione Primaria e iscritta al secondo anno di "Formatore in Educazione familiare".
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2)  Da J-P. Pourtois, Educare i genitori", Armando Editore e dalle dispense convegno 8-9 febbraio '03 ISRE - Venezia
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3)  J-P. Pourtois, "Evoluzione nella divisione del lavoro educativo tra le famiglie e la scuola", in "Educazione familiare": "Trasformazioni nelle relazioni tra scuola e famiglia", dispense del convegno 8-9 febbraio '03 ISRE - Venezia
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4)  come vengono definiti dagli Orientamenti '91 della scuola dell'infanzia.
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5) M. Manini, "La figura del docente: competenze, gli stili di lavoro", in Sperimentare Nuovi Orientamenti per la scuola dell'infanzia (I.R.R..S.A.E e Università 1994).
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6) Conferma questo mio pensiero il fatto che sia stata appena approvata la riforma scolastica del ministro Moratti la quale permetterà l'ingresso nella scuola dell'infanzia ai bambini di 2 anni e mezzo senza tenere conto della specificità della scuola stessa e delle diverse esigenze psicologiche e "gestionali" di bambini così piccoli.
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7) "Pedagogia dell'incontro", L. Guerra da "Incontri colorati." di Daniela Orsi, ed. Junior
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