IL CASTORO PER LA SCUOLA |
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Atti
del Convegno del 16 aprile 2004 |
sintesi a cura di Mario Pinotti
(APS, insegnante di storia e filosofia
del liceo Copernico di Bologna)
Il gruppo di lavoro dedicato alla riflessione sulle competenze è stato
particolarmente composito per esperienza didattica (scuola elementare,
licei, formazione professionale) e qualificazione disciplinare (educazione
fisica, filosofia, scienze, italiano).
Questa ricchezza di esperienze culturali e professionali ha permesso di svelare la complessità della definizione del concetto di competenza, di individuare alcune condizioni da cui tale concetto non può prescindere, di indicare nuclei problematici che sarà compito della nostra associazione approfondire. LA COMPLESSITÀ DEL CONCETTO DI COMPETENZA In questi ultimi dieci anni, attorno alle prospettive della riforma scolastica, si è affermato il concetto di “competenza” come uno dei concetti guida della didattica. Nei piani di studio introdotti dalla riforma Moratti nella scuola primaria competenza significa sostanzialmente la possibilità dell’alunno di trasformare conoscenze (i vecchi contenuti) ed abilità (l’aspetto operazionale del sapere) in una padronanza interiorizzata, capace di esprimersi con successo nei diversi contesti di applicazione, così come era risultato dal dibattito che la precedeva. In questo modo la competenza è indicata come il paradigma del processo di apprendimento dell’alunno, il valore aggiunto della scuola alla formazione complessiva di una persona. C’è in questa sottolineatura del significato di competenza un’attenzione, talvolta fin troppo enfatica, tanto da apparire ideologica, al valore dell’individuo, della sua autonomia, della sua libertà, e c’è anche la rivendicazione di un ruolo “morbido” della scuola, rispettosa della funzione educativa delle altre istituzioni sociali a cominciare dalla famiglia. Non è questa la sede per chiarire le palesi contraddizioni, all’interno di questo testo, tra le sue indicazioni pedagogiche e certi elenchi di conoscenze ed abilità assolutamente avulsi da qualsiasi buon senso psicodidattico. Qui è delle prime che si vuole parlare. Queste indicazioni pedagogiche sono molto avvertite e condivise soprattutto in certe realtà scolastiche e formative dove il processo di apprendimento è più problematico o per ragioni di età o per ragioni di sofferenza sociale e/o disagio psicologico. Giovanni Vasumini, operatore pedagogico in un centro di formazione professionale di Forlì, ha insistito nel dichiarare il suo malessere di fronte ad un’accezione burocratica delle “competenze” così come sono state accreditate, negli scorsi anni, dalle unità formative capitalizzabili (UFC). Le UFC hanno avuto il torto di dimenticare i ragazzi e le ragazze e i contesti applicativi di tali competenze per privilegiare la ricerca di un sistema di valutazione oggettivo, capace di ridurre tutto a misura. Anche dalla scuola elementare è venuto un forte richiamo a non dimenticare le bambine e i bambini sull’altare di una formalizzazione delle competenze che finiscono coll’accentuare troppo il momento della certificazione e trascurare quello della formazione in divenire. Mariangela Messina, maestra elementare a Laives (Bolzano) ha ricordato come l’accoglimento del concetto di competenza nel suo circolo didattico sia stato tanto accolto quanto però disgiunto dall’accezione formalistico-burocratica (cfr. POF della scuola elementare di Laives). La competenza come risultato dell’apprendimento “creativo”, “attivo”
dell’alunno, così come troviamo nei piani di studio personalizzati, è
ancora, però, una definizione insufficiente; si pensa di più alla
proclamazione di un dover essere a cui bisogna richiamare con forza il
compito civile dell’istituzione scolastica che a un chiarimento del suo
significato. In altre parole, è una priorità di indirizzo per gli
insegnanti, ma non un’indicazione utile a spiegare che cosa si deve
insegnare e perché. La commissione ha dapprima percorso la strada dell’elaborazione di competenze per ogni disciplina, ma ha dovuto constatare poi che le varie competenze disciplinari erano incomparabili, ed allora, nel tentativo di trovare un minimo comun denominatore, ha ripiegato sui profili comportamentali (cognitivi, relazionali, affettivi) degli studenti. In questo modo, però, il portfolio finirebbe con l’assumere un carattere di un puro quanto scarsamente utile registratore di descrizioni poco interessanti. Come si possono leggere ed interpretare certi comportamenti scolastici senza un criterio che sappia illuminarli? La ricerca delle competenze disciplinari, dunque, non è cosa semplice, e proprio per questo deve esser compiuta. APS ha dedicato diversi anni allo studio di questo nodo concettuale pervenendo per ora ad alcune convinzioni: carattere composito dei saperi; individuazione dei loro elementi sintattici, intenzionali, contestuali; insignificanza delle conoscenze avulse da tutto il resto. Insomma, come ha ricordato Bruna Fergnani, insegnante di fisica al liceo Copernico di Bologna, l’esperienza di formazione realizzata presso l’Istituto comprensivo di S. Pietro in Casale (Bologna) nell’anno scolastico 2002-2003 ha mostrato sul campo che è necessario riconoscere i fondamenti epistemologici della disciplina insegnata per distinguerne gli elementi costitutivi e fondativi da quelli secondari o addirittura accidentali. Solo così è possibile programmare un intervento didattico che sappia gerarchizzare abilità e conoscenze di una disciplina. È sulla stessa lunghezza d’onda la constatazione preoccupata della professoressa di scienze, Daniela Bulgarelli (liceo Copernico di Bologna), che denuncia le gravi incompetenze descrittive dei suoi studenti e la concomitante conoscenza di concetti astratti, inutilizzati ed inutilizzabili in situazioni di apprendimento laboratoriale. A cosa serve insegnare la struttura dell’atomo prima delle superiori? L’osservazione è un’operazione fondamentale della conoscenza scientifica e, pertanto, deve essere preparata con grande cura attraverso un’opportuna gradualità. Prima di essere osservazione in senso stretto (cioè capacità di guardare solo gli elementi peculiari dei fenomeni fisici, astronomici, biologici), bisogna insegnare a guardare con tutti i sensi e a descrivere ciò che mostra questo sguardo. Perché molti insegnanti di scienze della scuola media non comprendono questa priorità? Probabilmente manca una chiara consapevolezza dei nuclei fondanti della disciplina che si insegna a causa di una diffusa ignoranza dello statuto epistemico della disciplina stessa. Questa ignoranza vanifica i benefici della verticalità scolastica, anzi li trasforma nel loro contrario: è molto più difficile demolire una conoscenza o una abilità sbagliate che farne apprendere di nuove. Non si può fare prima ciò che logicamente e psicologicamente viene dopo. L’indicazione delle competenze disciplinari, tuttavia, non è di per sé sufficiente, poiché il compito della scuola è di tradurre quelle competenze in effettive capacità conoscitive ed operazionali degli alunni, cosa che obbliga a misurarsi con tante variabili, nessuna trascurabile. Come uscire da un simile groviglio? IL CIRCOLO VIRTUOSO Da questo punto di vista è molto interessante l’itinerario didattico
compiuto dalla professoressa Cristina Monelli, insegnante di storia e
filosofia al liceo “Gioia” di Piacenza. Anche le considerazioni di Patrizia Barotti e Andrea Grillini si sono
incentrate sullo stretto nesso tra logica dei saperi e dimensione
formativa del percorso individuale. Fin qui si sono spinte le riflessioni del gruppo di lavoro dedicato alle
competenze: ora si tratta di continuarla attraverso momenti seminariali di
approfondimento che la nostra associazione dovrà organizzare entro una
scadenza ravvicinata. |