IL CASTORO PER LA SCUOLA |
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Ermanno Rosso "La proposta di APS per la professionalità docente" |
In questa relazione vorrei innanzitutto affrontare alcuni problemi che qui da noi, in Italia, hanno reso difficile il dibattito sulla professionalità docente e successivamente delineare alcuni elementi che in questi mesi hanno contraddistinto Aps all'interno di questo dibattito. Prima però di entrare nel cuore del discorso vorrei dirimere una piccola incongruenza. Professionisti o artigiani? Una divagazione introduttiva
Parlare di professione docente e di professionalità in un convegno
dedicato all'insegnante-fabbro, ovvero all'insegnante-artigiano, può
sembrare una contraddizione. Infatti, anche se condividono la
personalizzazione del lavoro, la non serialità della prestazione, la
necessità di una formazione pratica (chiamata apprendistato nel caso
dell'artigiano e tirocinio o praticantato nel caso del professionista),
professionisti e artigiani hanno tuttavia fisionomie distinte. Il
professionista fa precedere la pratica da un saldo corpus teorico e la
pratica è per lui applicazione oltre che esperienza; per l'artigiano,
invece, il sapere fondamentale per l'esercizio del "mestiere" è nettamente
esperienziale e tecnico: facendo X accade Y, senza che sia necessariamente
noto il principio sottostante. L'idraulico non è un fisico. Quella
dell'insegnante-artigiano, con il suo alone preindustriale e romantico, è
un'immagine che suscita simpatia e consenso, eppure se presa alla lettera
essa può spingere verso un'idea puramente tecnica della professione,
ridotta ad un corpus di pratiche (regole e trucchi) tramandato
informalmente tra corridoi e sale docenti. Delineato così, in modo personale, ma spero non arbitrario, il rapporto tra fabbri e professori, vengo al tema della relazione. 1. Perché è diventata centrale la riflessione sull'identità professionale?
Rispondere a questa domanda è importante per due ragioni: significa
collocare questa riflessione in un momento storico di trasformazione che
ne spiega la portata non certo marginale, e significa rendere vivo un tema
rispetto al quale larga parte della categoria continua a restare estranea,
quando non diffidente. Eppure si tratta di chiederci chi siamo e dove
vogliamo andare. Noi e la scuola. Niente di meno. a) La spinta esterna è legata alle trasformazioni del lavoro e delle forme dell'organizzazione nella società postindustriale. Per questa ragione il dibattito sulla professionalità è stato al centro dell'attenzione negli ultimi anni e certo non solo nel mondo della scuola. Vi hanno concorso:
Queste trasformazioni portano sempre più verso una professionalizzazione anche del lavoro dipendente, chiamato ad articolare le proprie funzioni, rendendole meno esecutive e più flessibili, e a dotarsi di molteplici competenze, di precisi profili professionali, di finalità sociali esplicitate e non generiche. b) La spinta interna è legata al disagio professionale. Credo sia
purtroppo nota la crisi "professionale e umana" della categoria - di cui
le indagini sul burnout (nota 1) dei docenti rendono ampia testimonianza - il
disagio causato dalla perdita del prestigio sociale, dalla frustrazione
per l'inadeguato riconoscimento della funzione svolta, dall'esasperazione
di vedere come questo si accompagni - contraddittoriamente - ad una sempre
più massiccia delega alla scuola di funzioni ad essa sostanzialmente
estranee. Aggiungiamo a questo la consapevolezza di vivere una
trasformazione che ridefinisce lo statuto dei saperi, gli obiettivi della
formazione e le sue modalità (trasformazione alla quale non sempre siamo
sicuri di saper rispondere positivamente) e abbiamo delineato il quadro di
disagio con cui quotidianamente gli insegnanti fanno i conti. 2. Le difficoltà del dibattito sulla professionalità docente Le trasformazioni del lavoro nella società postindustriale e la paura della precarizzazione della professione Il primo ostacolo è determinato dallo scetticismo e timore, quando non dall'opposizione pregiudiziale, da cui è circondato il dibattito sulla professionalità docente. Perché questa diffidenza? Innanzitutto i termini del dibattito non sono sempre chiari e si tende a confondere, e in qualche caso a identificare, aspetti molto diversi. Spesso si vede la definizione della professionalità come un primo passo o un cavallo di Troia per andare molto oltre. Si collega, ad esempio, ricerca della identità professionale e spinte politiche alla privatizzazione della scuola e del rapporto di lavoro, si collega professionalità e carriera docente, professionalità e tecnicizzazione dell'insegnamento, si legge addirittura il discorso sulla professionalità come un attacco alla libertà docente, ribaltando completamente la definizione stessa di professionista. Io credo che alcuni di questi timori siano pienamente giustificati, ma credo anche che le associazioni professionali, le quali non sono enti astratti, ma dotati di una storia, di una tradizione, di un rapporto di fiducia con settori specifici della categoria, possano essere un importante veicolo di chiarezza riguardo a queste questioni e soprattutto un "organo civile" di vigilanza contro certe derive. Accanto a questi timori legittimi, però, le resistenze nascono anche da fattori meno condivisibili, ad esempio:
Senza facili ottimismi e senza negare i rischi connessi al "processo di professionalizzazione" io credo che la posizione di Aps su questo punto sia chiara: è necessario vincere una resistenza che rischia di essere puro immobilismo e di apparire non solo inadeguata di fronte ai nuovi bisogni formativi, come Mario Pinotti credo abbia ampiamente mostrato (link), ma anche incomprensibile da parte di un'opinione pubblica di cui lamentiamo la perdita di considerazione. Per recuperare il prestigio sociale bisogna accettare la sfida della professionalità, che significa anche riconoscibilità del proprio lavoro, trasparenza, responsabilità. La nostra risposta quindi non è il rifiuto, bensì l'insegnante di qualità, un professionista che non teme di mostrarsi e di assumersi le proprie responsabilità. L'idea vocazionale vs. l'idea professionale Anche se la categoria è titubante, tutte le associazioni ormai riconoscono la necessità di affrontare il discorso della professionalità. Vi è tuttavia un elemento di netta differenziazione tra di esse e riguarda la natura dell'insegnamento stesso: esso è veramente una professione, e come tale dotata di uno statuto riconoscibile e di un processo di formazione che rende la capacità di insegnare acquisibile e sviluppabile, oppure permane comunque nella professione un quid ineffabile di cui sono dotati i "veri" insegnanti e che nessuno studio, nessuna esperienza, nessuna riflessione può fornire? Parlo, è chiaro, dell'idea vocazionale della professione, idea, per la mia esperienza, non molto presente nella categoria, ma ancora largamente presente nello stereotipo dell'insegnante, idea sostenuta da alcune associazioni professionali, anche laiche, e persino dal ministro Moratti. Senza negare la specificità e la passione legate alla nostra professione, anche su questo punto bisogna fare chiarezza.
Un'idea vocazionale della professione significa renderne inafferrabile la
fisionomia, portarla in una regione sottratta ad ogni seria formazione e
soprattutto valutare la professionalità non in base a degli esiti
documentabili, bensì ad un aspetto "spirituale", intimo di cui si è i soli
testimoni. Rispondere del proprio operato alla propria coscienza è un
atteggiamento morale doveroso, però pretendere di doverne rispondere solo
alla propria coscienza significa rendersi irresponsabili verso la società.
Si tratta di una posizione fortemente autoreferenziale, che risponde ad
un’etica delle intenzioni, noi invece preferiamo legare l'etica
professionale ad un’etica delle responsabilità ovvero un'etica delle
conseguenze, un'etica sociale nella quale si rende conto degli esiti e si
è riconosciuti nei meriti. Del resto, perché da un primario, così come da
un avvocato, ci aspettiamo che sia innanzitutto un bravo professionista,
mentre all'insegnante diamo una natura vocazionale, una propensione
genetica all'accudire, all'educare? Con questo vorrei evitare ogni confusione tra vocazione e passione. Io credo che ben pochi di noi rifletterebbero di professionalità o competenze, si aggiornerebbero, parteciperebbero a convegni e si iscriverebbero ad associazioni professionali o disciplinari, se non coltivassero una autentica passione per la propria professione, ma io credo altresì che sia molto meglio per la scuola formare una classe di professionisti che fanno con passione e con piacere il proprio lavoro, piuttosto che contare su un corpo paramilitare di missionari. Questo excursus credo abbia reso ormai evidente la nostra posizione a riguardo: affermare un'idea laica della professione. Se Brecht diceva "Felice il paese che non ha bisogno di eroi" noi, parafrasandolo, diciamo "beati i sistemi scolastici che non hanno bisogno di missionari, né di volontariato, ma di buoni professionisti". Magari senza condividere in ogni punto l'analisi da cui scaturisce, io credo che questa sia la posizione che finora ha sempre contraddistinto Aps e che ci distingue da altre associazioni portatrici di un'idea vocazionale. Sempre al fine di evitare equivoci, vorrei però fare un'ulteriore precisazione: la professione docente non è vocazionale, ma tuttavia ha una forte etica professionale: caratteristica questa che l’insegnante condivide con qualunque altro professionista, ma a cui egli aggiunge non pochi “doveri” in più, data l'alta incidenza della sua azione. Tuttavia non saremmo una associazione laica se non distinguessimo con forza tra eticità professionale e compiti di formazione etica delle generazioni, dissociandoci da quanti ritengono che il ruolo dell'insegnante sia quello di "formatore di valori", al punto di fare dei valori-obiettivo l'elemento discriminante tra modelli formativi. Di valori l’insegnante senz'altro si occupa, ma socraticamente lo fa per aiutare lo studente a problematizzarli, a chiarirli per chiarirsi, non certo per indottrinarlo (nota 2). Lo iato tra riconoscimento formale e convinzione intima dei docenti sulla natura della professionalità docente
Un'ulteriore difficoltà nel riconoscimento del docente come professionista
è rappresentata dallo iato tra riconoscimento formale della molteplicità
degli elementi della professionalità (disciplinari, pedagogici, didattici,
relazionali, etc.) e intima convinzione di un larga parte della categoria,
che ritiene che importante sia solo conoscere bene la materia, dopodiché
pare che la materia riveli taumaturgicamente allo studente il proprio
valore formativo.
Eppure se spostiamo la prospettiva e affrontiamo il problema ponendoci
dall'altra parte della barricata e quindi non come professionisti, ma come
fruitori di una professionalità, ci accorgiamo subito che il sapere da
solo non basta a qualificare un professionista. Pensiamo, ad esempio, alla
professione medica, che una lunghissima tradizione collega a quella
dell'educatore, perché entrambe si occupano di persone, entrambe devono
prodigarsi per trasformare uno stato peggiore (la malattia/l'ignoranza) in
uno stato migliore (la sanità/la sapienza). Pensiamoci quindi come
pazienti che si rivolgono ad uno specialista. Non credo sia necessario esplicitare oltre il parallelismo e mostrare come la polimorfia dell'identità professionale dell'insegnante sia altrettanto accentuata. Il profilo professionale emerso dal Comitato scientifico del Progetto dell'Ufficio Scolastico Regionale Documentare il curriculum professionale dei docenti (nota 3) , per quanto sintetico, credo mostri adeguatamente come la molteplicità degli ambiti entro cui si esercita il sapere e la pratica professionale dell'insegnante non sia meno vasta di quella del medico. 3. Alcune linee guida di Aps nella definizione professionalità docente Credo che le coordinate di fondo che, pur tra le difficoltà sopra riportate, in questi mesi hanno guidato la nostra elaborazione sulla professionalità docente siano ormai abbastanza chiare. Le condenserò in cinque punti. Laicità. Una professione normale Innanzitutto la laicità della professione. L'insegnante è una figura sociale e, appunto, professionale: e si tratta di una professione normale, in cui normale non significa affatto “piatta”, ma significa non missionaria, non vocazionale, non ineffabile. Queste cose appartengono agli individui, eventualmente, e sono un optional, forse un vantaggio, ma non sono parte della definizione professionale della figura insegnante in sé. Nella scuola di massa l’idea di avere 700mila missionari è ridicola. Quindi, primo: una visione laica della professionalità. Dinamicità dell'identità professionale Un secondo aspetto discende dalla natura stessa della professione. Insegnare non è un'attività astratta, ma contestualizzata: si insegna qualcosa a qualcuno, in un contesto e per determinate finalità. Ora, tutti questi elementi sono in perenne trasformazione e non sto parlando semplicemente del fatto che ogni studente è diverso dall'altro, ma delle trasformazioni sociali ben più radicali delle quali ci ha parlato Mario Pinotti (link) e in base alle quali si stanno trasformando i saperi e il loro statuto epistemologico, i bisogni formativi e forse le strutture stesse dell'apprendimento (nota 4). Ma se il cosa, il perché, il come e a chi insegnare si trasforma, non si può pensare che l'identità professionale sia invece immobile: l'idea fondante di Aps, costruire un progetto per una scuola che cambia e si porti all'altezza delle sfide del nostro tempo, non può che sfociare in un'idea aperta e dinamica della professionalità docente, consapevoli che la figura dell'insegnante non è definibile una volta per tutte, ma si modifica con il modificarsi dei contesti, dei bisogni formativi, degli statuti disciplinari. Il docente professionista della società fordista non è quello della società postindustriale e noi non possiamo pensare di delineare la professionalità avendo come modello l’insegnante gentiliano, appena addolcito da una pratica meno autoritaria nella gestione della classe. E' impensabile che la mediazione didattica entro la quale si colloca la figura dell’insegnante, essendo parte di una triade (saperi-docente-studente), rimanga immobile al mutare degli altri elementi. Una identità non astratta, da definire empiricamente Se la figura professionale del docente non può essere ontologicamente determinata, altrettanto non può essere una figura astratta, costruita deduttivamente a partire da principi, ma può definirsi solo in un certo contesto socio-culturale e induttivamente. Induttivamente non perché ci accontentiamo di registrare l’esistente, ma perché è a partire dal successo formativo documentabile, e quindi dall'agire pratico, che inizia a delinearsi la figura professionale. Si tratta di un'idea che in altri sistemi formativi si è già fatta strada: una delle più importanti ricerche sull'identità professionale docente è stata fatta dal governo Blair nel 2000, mediante una indagine nelle scuole a partire dall'efficacia formativa dell'insegnamento (nota 5). Ma non esiste il successo tout-court, ogni successo è tale in riferimento a degli obiettivi raggiunti, quindi il successo formativo rimanda ad una finalità della formazione esplicita e condivisa. Nella proposta che contraddistingue la nostra associazione l'obiettivo centrale dell'azione formativa è esplicito ed è l'acquisizione di competenze. Una professionalità per la pratica didattica (successo formativo e portfolio degli studenti) e documentabile (portfolio degli insegnanti)
Quella dell'insegnante è una professione altamente etica, perché
caratterizzata da responsabilità fortissime, verso gli allievi e verso la
società stessa. Se il professionista che abbiamo in mente si delinea a
partire dal successo formativo, è perché per la sua professione risponde
non solo ai principi, ma soprattutto agli esiti e questo significa che si
regge su un’etica della responsabilità e non delle “buone” intenzioni. A
Max Weber risale la distinzione tra un'etica delle responsabilità, che
misura l'eticità dell'agire in base ai risultati ottenuti ed è tipica di
chi svolge un servizio sociale, ed un'etica delle intenzioni, che risponde
invece esclusivamente alla propria coscienza, ovvero alla "buona volontà".
Ma se la buona volontà può essere il metro morale di un comportamento
privato, non è così per il professionista, che in quanto "fornitore di un
servizio pubblico", deve esser valutato a partire dalle conseguenze delle
sue azioni. Per un insegnante queste conseguenze sono rappresentate
proprio dall'esito formativo (nota 6). Per questo guardiamo positivamente al portfolio
delle competenze, pur con tutti i dubbi evidenziati da Marinella Sarti
nella sua relazione. Un insegnante di qualità
Oggi la scuola spesso ha paura a mostrarsi, a esibire i propri risultati
(e ad essere "valutata"), ma questa paura cesserà se gli insegnanti
sapranno essere all'altezza della professionalità che vogliono sia loro
riconosciuta. Qui entra in gioco uno degli obiettivi principali (se non il
principale) che in questi dieci anni ha contraddistinto la nostra proposta
professionale: l'insegnante di qualità. Una trasformazione della
professione docente richiede una trasformazione degli insegnanti che ne
coinvolga ogni aspetto: la formazione iniziale, il reclutamento, le forme
dello sviluppo professionale. Trasformare positivamente tutti questi
elementi sembra impossibile, e certo i segnali non sono incoraggianti, ma
in una concezione non vocazionale della professione, l'insegnante di
qualità non deve essere una speranza, bensì un obiettivo formativo
dell'intero sistema scolastico.
Bisogna riqualificare la formazione iniziale e considerare il tirocinio
parte integrante della formazione dell'insegnante, come lo è per un
avvocato o un medico. Questa è sempre stata la posizione di Aps. Da questo
punto di vista l'esperienza delle SISS ha avuto in linea di principio una
valutazione positiva da parte della nostra associazione, anche se poi solo
in alcuni casi la pratica è stata all'altezza delle potenzialità.
Bisogna considerare la pratica didattica il focus dell'esperienza
professionale. Su di essa deve investire il docente e la scuola deve
valorizzarla in quanto elemento non accessorio, ma basilare della
professionalità. Da questi elementi nasce l'insegnante di qualità, rispetto al quale la definizione di professionalità si configura come un modello di riferimento, l’obiettivo di un percorso. Del resto non possiamo permetterci nulla di meno, non possiamo dare al docente caratteristiche più basse di quelle che propone il profilo in uscita dello studente: se lo auspichiamo flessibile, autonomo, che ha imparato ad imparare, come possiamo pensare che il docente invece sia sclerotizzato in un insegnamento che riproduce eternamente se stesso e per il quale l'aggiornamento professionale significa solo qualche nuovo contenuto, ma mai profondo rinnovamento delle pratiche? 5. Un'ipotesi di identità professionale
Nella relazione più volte abbiamo fatto riferimento all'ipotesi di profilo
professionale espressa nell'ambito del progetto Documentare il curriculum
professionale del docente, perché, è evidente, quella ipotesi rappresenta
per noi un buon punto di partenza per la definizione dell'identità
professionale, in grado di soddisfare molti dei principi su cui strada
facendo, abbiamo voluto caratterizzare la posizione della nostra
associazione. Si tratta di un'identità professionalità costruita sui punti
comuni delle varie associazioni professionali che hanno partecipato al
lavoro dell'USR (nota 8). Nonostante questa sintesi porti, com’è naturale, il
segno di una mediazione anche con posizioni che non sono propriamente
patrimonio della nostra associazione, noi ci riconosciamo in tale
proposta, soprattutto perché si tratta di un'identità basata sulle
competenze professionali piuttosto che su un codice deontologico o
sull'adesione ad uno statuto, e per un'associazione che fa delle
competenze l'obiettivo formativo primario credo questo sia particolarmente
importante. Essa rivela, inoltre, pienamente quel carattere complesso,
polimorfo della professione a cui ci siamo sopra riferiti. Certo, questo
può senz'altro spaventare una categoria che tende spesso a far coincidere
la professionalità con la sola padronanza dei contenuti disciplinari. NOTE 1 A riguardo, una ricerca pilota è quella curata da Vittorio Lodolo d'Oria scaricabile in www.casadellacultura.it di cui da conto Agnese Bertello in Gli insegnanti che non ce la fanno, in "il Mulino", LII (2003), n. 405, pp. 123-127. Nonostante l'infelicissimo e criptico titolo, una relazione su questa ricerca è contenuta anche nel saggio di Vittorio Lodolo D'Oria, Renato Pocaterra, Stefania Pozzi, La comunicazione sinergica sociale e di prodotto applicata, in Vittorio Lodolo D'oria (a cura di) Pubblicità, sponsorizzazioni e cause related marketing, Edizioni Il Sole 24 ore, 2003, pp. 201-255. (torna al testo) 2 Un discorso a parte andrebbe fatto per l'educazione ai valori di cittadinanza, che di una prospettiva laica come la nostra sono il basamento. (torna al testo) 3 Mi riferisco in particolare agli Indicatori di lettura della professionalità docente riportati in AIMC, APS, CIDI, DIESSE, FNISM, MCE, UCIIM (a cura di) Il portfolio degli insegnanti. Per documentare il curriculum professionale dei docenti, Irre E.R., Bologna, 2004, pp. 35-42. (torna al testo) 4 Queste trasformazioni sono da anni oggetto dell'attenzione di Aps che su questi temi ha curato una serie di seminari in collaborazione con la Biblioteca de il Mulino. I materiali sono consultabili sul nostro sito http://www.aps.it . (torna al testo) 5 Si tratta della ricerca dell'agenzia Hay McBer svolta per conto del Ministero dell'Istruzione e del Lavoro inglese. Una sintesi della ricerca è riportata in A. Cenerini, R. Drago, Insegnanti professionisti, Erickson, 2001. (torna al testo) 6 Sia chiaro però che il successo formativo non si misura su livelli astratti e decontestualizzati, bensì in modo relativo comparando situazioni di partenza e di arrivo e tenendo conto del contesto didattico, organizzativo, socioculturale, etc. entro cui si deve operare. (torna al testo) 7 D. A. Schon, Il Professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Dedalo, 1993. (torna al testo) 8 Il percorso teorico e metodologico che ha portato alal definizione di quella proposta può essere letto in E. Rosso, La ricerca dell'identità professionale, in AIMC, APS, CIDI, DIESSE, FNISM, MCE, UCIIM (a cura di) Il portfolio degli insegnanti. Per documentare il curriculum professionale dei docenti, Irre E.R., Bologna, 2004, pp. 24-34. (torna al testo)
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