GLI
OLIVETANI
DAL TINO A RIA
La
nascita delle Grazie
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Il
cristianesimo approda nel Golfo
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Il
cristianesimo giunse nel nostro Golfo dal mare e si diffuse, in
un mondo agricolo e pagano, per opera di alcuni monaci ed
eremiti di provenienza orientale.
Soprattutto nelle isole essi condussero una vita di preghiera e
di solitudine, fondando poi piccole comunità e cenobi.
La loro presenza per gli abitanti ebbe una notevole importanza
sia per l'aspetto spirituale, in quanto esercitò un ruolo
fondamentale nella vittoria cristiana sulle vecchie credenze
pagane, sia per l'aspetto economico, in quanto le abbazie, nel
Medioevo, con i loro estesi possedimenti
entrarono in gioco nella lotta per il potere locale,
scontrandosi spesso con l'autorità dei vescovi o dei vari
signori.
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Il
monachesimo non arrivò
soltanto dal mare: dopo l'invasione dei Longobardi, progressivamente si
erano intensificati gli scambi fra Emilia e
Liguria ( attraverso la via di monte Bardone
denominata, al tempo dei
Franchi , Francigena) e ciò aveva favorito anche l'arrivo di monaci
provenienti dalle zone d'oltreappennino.
Nacquero così dei centri monastici anche nell'entroterra:
noi abbiamo visitato quello di Brugnato, fondato, secondo la tradizione
, da San Colombano e di cui si hanno notizie storiche a partire
dall'epoca della dominazione longobarda (VI - VII sec.).
Nell'isola del Tinetto,già dai primi secoli cristiani, c'era un
romitorio; a Porto Venere sul promontorio dell'Arpaia, nel VI sec.,
c'era un monastero intitolato a San Pietro, sorto su un cenobio
preesistente di osservanza orientale, probabilmente paconiana (ciò è
testimoniato dal culto di
San Pacomio ,venerato a Porto Venere da età antichissima ,
fino agli inizi dell’Ottocento.
S. Pacomio visse in
Egitto nel IV sec; i
suoi resti si conservano nella Chiesa
di San Lorenzo di Porto Venere).
Qui
i monaci vivevano in povertà, pregando e lavorando insieme: la
loro umile presenza attrasse Venerio, un giovane di nobile
famiglia, nato nel 560 alla Palmaria.
Egli venne accolto fra i monaci di Porto Venere e nel 594
divenne abate del piccolo monastero.
La Chiesa negli anni della dominazione longobarda stava
attraversando una grave crisi spirituale per la decadenza dei
costumi, per la disorganizzazione nel clero
e per l'eresia ariana.
Anche nel piccolo convento
di Porto Venere
alcuni monaci preferivano dedicarsi ai piaceri terreni; ciò
provocò l'intervento dello stesso papa Gregorio
Magno , che depose
l'abate Giovino.
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A
Venerio toccò il
difficile compito di
riportare la comunità sulla retta via: egli vi introdusse la regola di
S. Benedetto e con la sua vita virtuosa divenne esempio per tutti.
La gente dei dintorni e i pellegrini venuti da lontano accorrevano a
Porto Venere, richiamati dalla santità e dai prodigi di Venerio.
Forse spinto dal desiderio di condurre una vita di preghiera e di
meditazioni, Venerio si ritirò al Tino, dove non si isolò dalla
comunità, continuando a
tenere stretti legami spirituali.
Morì nel 630 . Secondo
la tradizione popolare, che gli attribuisce molti miracoli, salì al
cielo in mezzo ad
una schiera di
angeli mentre dalla terra sgorgava un'acqua miracolosa e si
diffondevano nell'aria soavi profumi. Dalle scarse notizie
storiche sappiamo che
inizialmente il corpo fu sepolto nell'isola del Tino e che in seguito
venne trasferito, per decisione del vescovo di Luni Lucio, sulla
terraferma, forse nella chiesa "in Antoniano"(sito
indicato oggi dalla pieve di S. Venerio, vicino a Migliarina).Nel IX
secolo i resti furono portati a Reggio Emilia , per metterli al riparo
dalle incursioni dei Saraceni.
In quel secolo, infatti, contro le coste del Mar Ligure si
intensificarono le scorrerie dei Normanni e soprattutto dei saraceni: si
spense la vita commerciale e marinara e le navi dovettero limitarsi al
traffico litoraneo.
I Franchi tentarono qualche
incursione contro i pirati e forse a queste spedizioni parteciparono
navi di Luni e di PortoVenere .
La
minaccia dei pirati aumentò nel X secolo : i saraceni
facevano strage
di uomini,
saccheggiavano case e
chiese e con le
navi cariche di bottino riprendevano il mare. La
Chiesa ormai era passiva: ci si ritraeva dal litorale
verso luoghi più sicuri e le coste e le valli si riempivano di
torri e di castelli.
La
vita civile riprese lentamente agli inizi del secolo XI, per la
ritrovata, seppure
temporanea, tranquillità del mare.
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In
questo periodo verso la metà
dell'anno 1000, nel 1054
circa, il prete Pietro,
nell'isola del Tino, fondò un monastero, secondo la regola benedettina,
in onore di Dio, della Beata
Vergine Maria e di S.
Venerio.
Si recò quindi a Roma dal Papa e ne ottenne l'approvazione.
Papa Leone IX concesse ai
monaci di eleggere l'abate e
stabilì che il monastero
non fosse sottoposto all'autorità di nessuno, eccetto a quella diretta
del Papa: esso perciò non dipendeva dal Vescovo di Luni.
Pietro presso la piccola chiesa, secondo
la tradizione eretta sulla primitiva tomba di Venerio,
ravvivò il culto del Santo che
mai si era spento nella desolazione dei secoli bui dell’Alto
Medioevo.
Egli restaurò e ingrandì l'antico edificio ed ottenne le prime
donazioni dagli Obertenghi, signori della Lunigiana. Sotto di lui e
sotto il secondo abate il monastero
acquistò un notevole patrimonio terriero nel lato occidentale del Golfo
e nelle tre isole.
Le largizioni degli
Obertenghi ( i quali si erano disgregati in diversi rami per interessi
politici e territoriali) diminuirono nell'ultimo quarantennio
del sec. XI ; i
nuovi benefattori del Tino furono i signori di Vezzano e di Trebiano ed
alcuni proprietari minori.
Nel 1080 i monaci del Tino ricevettero in Corsica una prima donazione
dagli Obertenghi, seguita da altre dei signori locali, sicché anche in
quell'isola il chiostro benedettino ebbe un notevole patrimonio
territoriale e varie rendite.
Sull'avvenire dell'Abbazia del
Tino certamente influì l'occupazione, da parte dei Genovesi, di Porto
Venere, che apparteneva ai signori di Vezzano.
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Nel
1113, come si legge sulla porta
d'ingresso, Porto Venere divenne "Colonia Januensis":
per sanare la situazione che si era determinata a seguito
dell'occupazione militare, Genova acquistò Porto Venere dai
signori di Vezzano.
Era inevitabile che i Genovesi cercassero di assicurarsi
l'appoggio, se non il dominio, del monastero del Tino, con le
sue isole e i suoi possedimenti nel Golfo e nella Corsica.
Nel 1133 il monastero del Tino, insieme con quello di Brugnato,
venne assoggettato all'arcivescovo di Genova, pur rimanendo
proprietà della Santa Sede: papa Innocenzo II, con questo
gesto, voleva ricompensare
i Genovesi, per averlo sostenuto, quando alla sua
elezione era stata contrapposta quella di un antipapa.
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