Lo studio della
tematica relativa alla donazione di organi deve essere condotto ponendo
attenzione alla qualificazione in senso giuridico di quest'istituto.
Sono state prese in considerazione le varie possibilità prospettate dalla
dottrina in ordine alle configurazioni attribuibili al consenso di chi
dispone di un proprio diritto, rinunciando, di conseguenza, alla tutela che
la legge appresta ad esso; sono stati delineati, in particolare, i
caratteri della causa di giustificazione del consenso dell'avente diritto.
Alla luce della qualificazione giuridica di tale istituto si è affrontato
il tema relativo all'autoesposizione di un soggetto al rischio di subire la
lesione o la messa in pericolo di un proprio bene, in particolare la vita e
l'integrità fisica; è risultato che esistono delle situazioni, definite di
rischio socialmente consentito, l'esposizione alle quali non può
considerarsi illecita, in quanto costituiscono manifestazioni della
personalità dell'individuo, ovvero sono da considerare socialmente
accettate.
Meritano un'attenzione particolare l'attività medico-chirurgica e la
volontà del paziente di sottoporsi a trattamenti che possono provocare in
lui diminuzioni dell'integrità fisica o, addirittura, la morte.
Per fare ciò si è analizzata, innanzitutto, l'attività terapeutica,
cercando di valutare in base a quali principi se ne possono affermare la
liceità e il fondamento. La questione è molto rilevante, perché verte sulla
possibilità di farla rientrare tra i comportamenti previsti dalla legge
come scriminati, e di conseguenza leciti alla stregua dell'intero
ordinamento giuridico. La dottrina è divisa sull'argomento, cosicché si
sono illustrate le alternative prospettate più frequentemente in merito.
Si è, poi, preso in considerazione il tema del consenso informato nel
rapporto che s'instaura tra medico e paziente, che comporta la necessità
che l'ammalato conosca gli effettivi rischi cui si espone sottoponendosi a
un certo intervento o trattamento terapeutico o sottraendovisi.
Accanto all'attività terapeutica, inoltre, la trattazione si è spostata
sulla chirurgia sostitutiva, in particolare quella dei trapianti, trattata
alla luce delle considerazioni svolte sul consenso e le sue possibili
collocazioni giuridiche.
Sono stati presi in esame i trapianti da vivente e da cadavere: su questi
ultimi, in particolare, si è concentrata maggiormente l'attenzione, data
l'attualità dei problemi che essi pongono. I trapianti, soprattutto da
cadavere, sollevano non pochi interrogativi, legati al pensiero bioetico e
giuridico, nonché ai pregiudizi che storicamente hanno sempre caratterizzato
questo tema.
Per ciò che concerne il rapporto intercorrente tra bioetica e clinica, la
prima sta assumendo nell'ambito della seconda un'importanza crescente,
infatti si sta verificando uno spostamento dello studio delle tematiche
cliniche dal piano accademico, quindi teorico, a quello pratico, vale a
dire al caso clinico singolarmente considerato: per esplicitare il
concetto, si parla di riflessioni condotte "al capezzale del
paziente".
E', infatti, quello della decisione che il medico deve prendere nel caso
concreto, il momento in cui le problematiche spiccano maggiormente: l'etica
clinica è, appunto, un collegamento tra il piano teorico e quello pratico
dell'etica. Bioetica e clinica si integrano reciprocamente al letto del
paziente, nel senso che, accanto al caso della persona singola, le cui
esigenze devono essere tenute in considerazione, sono da valutare tutti i
problemi e le implicazioni che nascono in capo al medico sulla decisione da
prendere. Non si può, in altri termini, mai prescindere da riflessioni più
generali, che coinvolgono valori da prendere in considerazione nel compiere
scelte riguardanti la salute altrui.
E' importante, inoltre, sottolineare che "la decisione deve essere
comunque presa ed anche non decidere è una decisione eticamente rilevante
". Il medico che si trova coinvolto ha, quindi, una grossa
responsabilità, in ciò differenziandosi dall'eticista accademico, che non
ha un coinvolgimento diretto.
L'etica clinica ha un'importante valenza anche da un punto di vista
pubblicistico, in quanto il medico si trova a dover giustificare e
illustrare le proprie decisioni davanti non solo al paziente, diretto
interessato, ma anche ai suoi familiari, nonché nei confronti dei propri
colleghi; nel caso, poi, in cui sorgano dei problemi legali in ordine alle
scelte effettuate, il medico sarà chiamato a rispondere del proprio operato
davanti ai giudici. A causa del ruolo sempre più incisivo assunto oggi
dalla responsabilità del medico nelle scelte trattamentali, spesso si fa
ricorso a consulenti etici o a Comitati Etici, che coadiuvano il sanitario
indirizzandolo verso decisioni ponderate. Ciò non assolve, chiaramente, i
medici dalla responsabilità che la legge accolla loro, ma è comunque utile
che essi possano contare sull'aiuto di persone competenti in materia; la
bioetica ha modo di esprimersi, in tal caso, come materia
interdisciplinare.
Dal versante giuridico si può affermare che, fino a quando la legge n.
91/1999 non sarà efficace, vale a dire finché non sarà attuato il sistema
informativo di cui all'art. 7 della stessa, la donazione di organi e
tessuti sarà disciplinata dall'art. 23, che lascia sostanzialmente
invariato il sistema previsto dalla precedente legge n. 644 del 1975,
peraltro abrogata dalla nuova disciplina normativa.
Il prelievo di organi e tessuti, perciò, da persona la cui morte sia stata
accertata ai sensi della legge n. 578/1993 e del decreto del Ministro della
sanità n. 582/1994, è ammesso, a meno che il soggetto in vita non abbia
manifestato una volontà contraria.
L'opposizione dei familiari al prelievo deve essere presentata, in forma
scritta, entro la scadenza del termine previsto per l'osservazione
necessaria ai fini dell'accertamento della morte; il sistema è rimasto
sostanzialmente invariato, a parte la normativa di riferimento per
l'accertamento della morte e il fatto che tra i possibili oppositori
rientrano anche il convivente more uxorio e il rappresentante legale.
Inoltre, non è contemplata alcuna deroga per i cadaveri sottoposti a
riscontro diagnostico o ad autopsia per ordine dell'Autorità Giudiziaria.
C'è, però, una differenza tra la disciplina transitoria di cui all'art. 23
e quella abrogata, vale a dire il fatto che l'opposizione non può essere
presentata, qualora dai documenti del defunto o dalle dichiarazioni da lui
presentate all'Azienda Sanitaria Locale di appartenenza risulti una volontà
favorevole alla donazione, a meno che i familiari non presentino
un'ulteriore dichiarazione del congiunto stesso, in cui egli dichiarava di
non voler donare i propri organi.
Per quanto riguarda la disciplina dei prelievi ed innesti di cornea,
invece, fino a quando la legge n. 91 non sarà efficace è applicabile la
legge n. 301/1993 per intero, mentre dopo saranno applicabili solo gli
articoli successivi al primo, che sarà abrogato.
Il rischio insito nel fatto che il legislatore ha abrogato la vecchia
normativa, per poi mantenere temporaneamente invariata la disciplina
precedente è che la materia dei trapianti prenda come propria base proprio
quella, con tutti i limiti che essa prevede. In tal modo, perciò, si
mantiene in vita, per il momento, un sistema privatistico in via
transitoria, mentre quello che diventerà efficace è di impronta
pubblicistica.
Si consideri il potere di opposizione dei familiari: essi possono scendere
a valutazioni di merito vere e proprie, mentre la nuova disciplina prevede
che essi possano solamente limitarsi a presentare una dichiarazione del de
cuius, da cui risulti la sua contraria volontà, non quella di altre
persone, che non hanno spazio alcuno per prendere iniziative proprie.
Questa innovazione è di non poco rilievo, perché permette di evitare che,
in un momento delicato come quello della notizia del decesso di un
congiunto, i suoi parenti si trovino a dover prendere una decisione
oltremodo difficile; il potere di opposizione illimitato, infatti, è stato
di grande ostacolo alle donazioni post-mortem.
Un'altra critica che può essere rivolta alla formulazione normativa della
legge si basa sul fatto che essa è incentrata unicamente sul prelievo degli
organi e dei tessuti, senza considerare la fase compresa tra il prelievo
avvenuto e l'impianto sul ricevente.
La legge, in definitiva, è destinata ad avere un'applicazione limitata, in
quanto il requisito della morte cerebrale può essere valutato solo per persone
decedute in un reparto ospedaliero di rianimazione; inoltre, la rete
informativa da attuare è molto complessa.
Se da un lato si è dato più spazio al singolo, si conferisce dall'altra un
rilievo diverso alla persona-individuo, valorizzandosi, piuttosto, la sua
dimensione sociale: l'uomo ha, verso la collettività intera, anche degli
oneri in termini di solidarietà, perciò, se non risponde alla richiesta di
esprimere la propria volontà, né tantomeno alle sollecitazioni che gli
vengono rivolte, è considerato donatore.
L'informazione è al centro della nuova normativa, peraltro non ancora
efficace, in quanto non è ancora stato attivato il nuovo sistema
informativo, di cui all'art. 7 della legge stessa, che dovrà essere
illustrato da un decreto del Ministro della sanità, che avrebbe dovuto
essere emanato entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge.
L'importanza di rendere effettiva la conoscenza, da parte dei cittadini,
dei trapianti e delle possibilità in termini terapeutici che ne derivano è
alla base dell'intento del legislatore di favorire scelte ponderate e
aliene da condizionamenti. La consapevolezza dei cittadini si dovrà basare
su dati espliciti, iscrivibili all'interno di una vera e propria 'cultura
della solidarietà', che trova un fondamento nella Costituzione, che chiama
gli uomini ad adempiere ai "doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale" (art. 2).
Questa dimensione sociale che viene attribuita all'individuo, però,
potrebbe essere considerata un'idea troppo ambiziosa, in quanto comporta
che la collettività condizioni le scelte di solidarietà del singolo
dall'esterno; si pensi all'art. 1, 2° comma della legge, che afferma che
"le attività di trapianto di organi e di tessuti ed il coordinamento
delle stesse costituiscono obiettivi del Servizio sanitario
nazionale".
L'informazione dei cittadini, infatti, non è facile da attuare nei
confronti di tutti: è, questo, un aspetto problematico della nuova
disciplina, che presuppone un sistema informativo funzionante a livello nazionale.
Basti pensare alle persone che non rispondono alle sollecitazioni da parte
delle strutture pubbliche perché non informate in merito al sistema del
silenzio-assenso, che possono pensare che tali interventi abbiano una
finalità di tipo promozionale o commerciale: esse saranno considerate
nell'elenco dei donatori di organi e tessuti, nonostante non siano state
adeguatamente informate sulle innovazioni legislative in materia.
Un altro caso rilevante è quello dei cittadini italiani che risiedono
all'estero, che possono non essere al corrente delle innovazioni
legislative del nostro paese; infine, è possibile che, nonostante sia stata
loro notificata la richiesta di manifestare la propria volontà entro
novanta giorni decorrenti dalla notifica, alcune persone non abbiano, in
tale periodo, acquisito quella "effettiva conoscenza della
richiesta" che è prevista dall'art. 5.
Sono, queste, tutte ipotesi facilmente verificabili, che portano a temere
che, una volta che la legge sarà efficace, essa non tutelerà coloro che si
trovano svantaggiati per non essere stati adeguatamente informati.
Si può notare, alla luce di tali considerazioni, che il legislatore ha
mostrato di valorizzare i trapianti e le possibilità terapeutiche che con
essi si prospettano, mentre ha considerato in modo più marginale la
questione della tutela di chi, per il contesto personale e sociale in cui
si trova, è all'oscuro di informazioni estremamente importanti, che
coinvolgono la sua persona. In altre parole, si può affermare che il
legislatore ha previsto un sistema informativo dotato di un'efficienza
sproporzionata rispetto ai mezzi concreti che lo Stato ha a propria
disposizione per attuare una reale informazione dei cittadini.
Il problema dell'informazione non riguarda solamente le difficoltà connesse
alla raggiungibilità delle persone, ma è legato anche all'indifferenza che,
in Italia, la popolazione ha sempre mostrato su questo argomento. Lo Stato,
perciò, dovrebbe attuare una vera e propria campagna d'informazione e di
educazione sanitaria, affinché nella coscienza pubblica nasca una nuova
consapevolezza in merito alla volontà di donare i propri organi dopo la
morte. L'educazione dei cittadini dovrebbe iniziare già sui banchi di
scuola, quella dell'obbligo, perché le persone, crescendo, possano compiere
scelte consapevoli, non dettate da paure infondate o dall'orientamento più
diffuso nell'ambiente sociale di appartenenza.
L'educazione sanitaria dovrebbe partire dalla famiglia, per poi estendersi
ai contesti in cui gli individui hanno la possibilità di interagire e
confrontarsi gli uni con gli altri, come i gruppi giovanili e le
parrocchie: bisognerebbe, cioè, diffondere in tutta la società una
"cultura del mondo della vita".
Sarebbe davvero importante che i cittadini fossero informati non solo sulla
possibilità di acconsentire o meno a donare i propri organi, ma anche su
tutta la problematica relativa a eventuali rischi e, più in generale, su
tutti i dubbi che la popolazione si pone, dovuti spesso a una scarsa
documentazione sull'argomento.
L'informazione adeguata consentirà alle persone di passare da un'adesione
di tipo 'sentimentale' alla donazione all'espressione di una volontà
consapevole del significato che il proprio gesto assume per l'intera
collettività, in particolare per la tutela della vita umana.
La questione può essere spiegata efficacemente con queste parole:
"Il problema della donazione degli organi riguarda, comunque, la
sensibilità più che il consenso. Noi possiamo essere generosi e sensibili,
ma quando avviene l'evento è difficile superare l'impatto negativo. Allora
dobbiamo agire in modo che la sensibilità si coniughi con la norma".
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