Aspetto Geo-Politico

 

 

 

La "svolta" razziale del fascismo italiano rappresenta nella comune opinione degli storici uno dei momenti più bui ma anche più controversi del «ventennio». Infatti, il fascismo approda al razzismo non solo nella seconda parte della sua storia ma lo fa anche in modo relativamente improvviso, dopo anni e anni di polemiche più o meno aperte con il razzismo "biologico" dei futuri alleati nazisti e nonostante l’alto numero di adesioni al PNF che si registrano fin dagli anni Venti nella piccola comunità ebraica italiana. Nel 1938 le leggi razziali giunsero quindi come un sorpresa per molti anche se alcuni studiosi hanno cercato di seguire non senza fatica le tracce di un antisemitismo diffuso e sotterraneo in tutta la storia del movimento di Mussolini. Il massimo storico del Fascismo, Renzo De Felice, si è mostrato convinto del contrario: il "razzismo" fascista non nasce antisemita ma lo diventa successivamente. La politica di discriminazione razziale viene adottata dal Regime in conseguenza dei nuovi problemi posti, dalla conquista dell’Impero in Africa Orientale. A questo si sarebbe poi aggiunta una svolta politica interna quando Mussolini decide di imprimere un nuovo corso alla "Rivoluzione Fascista": tra le varie direttrici c’è anche l’attacco agli ebrei. Dopo il crollo dell’8 settembre e la conseguente invasione tedesca dell’Italia la situazione precipita tragicamente.

 

Mussolini (1883-1945) è uno dei protagonisti del Novecento che più ha incuriosito gli storici e più diviso le masse. Amato e odiato, Mussolini è la stessa incarnazione del fascismo anche se molti studiosi mettono in guardia dalle facili identificazioni.

Mussolini e fascismo furono due realtà a lungo sovrapposte ma non furono certo la stessa cosa, così in questa sezione vengono presi in esame tutti gli aspetti pubblici e privati di un uomo che secondo alcuni osservatori incarnò molte delle caratteristiche degli italiani, sfruttandone sogni, aspirazioni e paure. Fece assaporare ad una nazione divenuta Stato da pochi decenni l’ebrezza della grande potenza per poi accompagnarla subito dopo lungo la strada della più cocente sconfitta della sua storia.

 

Pochi delitti e molta fame, più sogni che soldi per realizzarli. Insieme all'immagine di un Paese che si rinnova e modernizza, nelle città e nei trasporti, si affianca, dal 1935 in poi, la realtà di un popolo che dopo 17 anni di pace, viene chiamato nuovamente a fare i conti con la guerra, gli italiani tributano al Fascismo il massimo del consenso, sull'onda dei successi mietuti dall'Italia un po' in tutti i settori; l'euforia sarà breve.

 

Il Fascismo mantenne costantemente due volti: quello vitale, violento, rivoluzionario delle camice nere e quello più politico, riformatore, statalista, del Regime. Il Partito Nazionale Fascista, nato come movimento nel 1919 e svanito nel nulla nel luglio '43, visse al proprio interno tutte le contraddizioni di un azione politica che cercava di mantenere le proprie radici rivoluzionarie pur cercando di sostituirsi il più possibile allo Stato. Sotto la guida di Achille Starace, il PNF si ridusse a mera «fabbrica del consenso», destinata a chiudere ingloriosamente i battenti alla caduta del Regime.

 

La "brutale alleanza", tra Italia fascista e Germania nazista ebbe un inizio difficile e una vita travagliata: per Hitler Mussolini era il "maestro" ma ci mise molti anni a farsi ricevere. Per Mussolini la Germania era un affascinante e pericoloso vicino da trattare con cautela e da usare come "arma" di scambio e pressione nelle trattative diplomatiche con le altre nazioni europee. Ma ci saranno frizioni e divergenze anche dopo, fino alla fine di tutto. In realtà i due movimenti, presentavano però anche grandi differenze pratiche e ideologiche a proposito di razzismo e politica estera, strategia militare e interessi economici.

 

Fu il primo esempio di fanta-storia italiano: nel 1950 Marco Ramperti giocando con la fantasia e con i "se" pubblicò un libro ormai dimenticato: «Benito I° imperatore». Una storia d’Italia che inizia quando, il 25 aprile 1945, «avendo l’Asse vinto la guerra per impiego tempestivo della bomba atomica», Mussolini rientra a Roma, su un cavallo bianco, circondato da molti protagonisti del ventennio, compresi alcuni "traditori" del 25 luglio. Una gustosa parodia che merita di essere riletta.

 

 

 

 

Planisfero dei tre Continenenti che hanno partecipato alla II Guerra Mondiale

 

 

  1. Portogallo
  2. Spagna
  3. Francia
  4. Svizzera
  5. Italia
  6. Slovenia
  7. Croazia
  8. Bosnia-Erzegovina
  9. Yugoslavia
  10. FYRO Macedonia
  11. Albania
  12. Grecia
  13. Bulgaria
  14. Romania
  15. Moldavia
  16. Ungheria
  17. Austria
  18. Repubblica
    Ceca

 

  1. Germania
  2. Belgio
  3. Paesi Bassi
  4. Gran
    Bretagna
  5. Irlanda
  6. Islanda
  7. Norvegia
  8. Danimarca
  9. Svezia
  10. Finlandia
  11. Estonia
  12. Lettonia
  13. Lituania
  14. Polonia
  15. Bielorussia
  16. Ucraina
  17. Russia
  18. Slovacchia

 

1.      Libano                          

2.      Israele

3.      Giordania

4.      Siria

5.      Kuwait

6.      Iraq

7.      Arabia Saudita

8.      Yemen

9.      Oman

10.  Emirati Arabi Uniti

11.  Iran

12.  Azerbaigian

13.  Armenia

14.  Turchia

15.  Georgia

16.  Russia

17.  Kazakistan

18.  Turkmenistan

19.  Uzbekistan

20.  Kirghizistan

21.  Tagikistan

22.  Afghanistan                                                    

 

23.  Pakistan    

24.  India

25.  Sri Lanka

26.  Nepal

27.  Bhutan

28.  Bangladesh

29.  Myanmar

30.  Thailandia

31.  Cambogia

32.  Vietnam

33.  Laos

34.  Cina

35.  Mongolia

36.  Corea del Nord

37.  Corea del Sud

38.  Giappone

39.  Filippine

40.  Indonesia

41.  Malaysia

42.  Indonesia

43.  Brunei

44.  Singapore

 

1.      Groenlandia

2.      Canada

3.      Stati Uniti

4.      Messico

5.      Guatemala

6.      Belize

7.      Honduras

8.      El Salvador

9.      Nicaragua

10.  Costa Rica

11.  Panamà

12.  Cuba

13.  Giamaica

14.  Haiti

15.  Repubblica Domenicana

16.  Bahama

 

 

 

 

 

 

PORTOGALLO

 

 

Nel 1930 Salazar fondò la União Nacional (Unione nazionale), un'organizzazione politica filofascista. Assumendo la carica di primo ministro nel 1932, influì sulla promulgazione della nuova Costituzione del 1933, che instaurò nel Portogallo una dittatura centralista e corporativa, chiamata Estado novo ("Stato nuovo").

Nel 1936, all'inizio della guerra civile spagnola, Salazar e Carmona si schierarono con i falangisti guidati dal generale Francisco Franco. Nel 1939 il Portogallo firmò con la Spagna un patto di amicizia e di non aggressione al quale, il 29 luglio 1940, si aggiunse un protocollo che garantiva la neutralità di entrambi i paesi durante la seconda guerra mondiale. Nell'ottobre 1943 tuttavia, quando le potenze dell'Asse si stavano ormai indebolendo, il Portogallo consentì agli Alleati di disporre di basi militari nelle Azzorre.

Durante gli anni del conflitto fu quasi impossibile attuare il programma di economia pianificata: l'industria della pesca declinò, le esportazioni diminuirono e i profughi affollarono il paese; inoltre l'avanzata dei giapponesi nelle Indie Orientali costituì una minaccia per i territori portoghesi d'oltremare in Asia. Alla fine della guerra il paese era afflitto dalla disoccupazione e dalla povertà, che crearono un diffuso malcontento; l'opposizione politica a Salazar venne soffocata e i candidati dell'Unione nazionale monopolizzarono le elezioni del novembre 1945. Nel maggio del 1947, dopo aver represso un tentativo di rivolta, il governo deportò molti leader sindacali e ufficiali dell'esercito nelle isole di Capo Verde. Il maresciallo Carmona, rieletto alla presidenza senza opposizione nel 1949, morì nel febbraio del 1951 e gli succedette il generale Cravero Lopes.

Nel 1958 Salazar permise a Umberto Delgado, rappresentante dell'opposizione, di candidarsi alla presidenza; tuttavia le elezioni vennero vinte dal candidato governativo Américo Deus Tomás, che fu in seguito rieletto nel 1965 e nel 1971.

 

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Antonio de Oliveira Salazar

 

 

 

Salazar, Antonio de Oliveira (Santa Comba Dão 1889 - Lisbona 1970), economista e uomo politico portoghese, fu dittatore del Portogallo dal 1932 al 1968. Insegnava economia presso l'Università di Coimbra quando una giunta militare guidata dal generale António de Fragoso Carmona, con un colpo di stato assunse il controllo della nazione (1926) e gli offrì il ministero delle Finanze, che però Salazar rifiutò, poiché non gli vennero concessi i poteri straordinari che aveva chiesto. Accettò l'incarico due anni dopo e divenne ministro. Nel giro di un anno riordinò il bilancio nazionale e poco dopo liquidò il debito con l'estero. Nel 1932 fu nominato primo ministro e instaurò un regime di dittatura che sarebbe durato trentasei anni. Nel 1933 fondò lo Stato Nuovo: promulgò una nuova Costituzione e trasformò il paese in uno stato corporativo con un governo a partito unico. Oltre a conservare il portafoglio delle Finanze fino al 1940, fu ministro della Guerra (1936-1944), degli Affari Esteri (1936-1947) e della Difesa (1961-1962).

Sotto il suo governo, l'economia nazionale si avvantaggiò di una condizione di stabilità: per questo Salazar poté contare sul sostegno dei maggiori proprietari terrieri, dei banchieri, degli industriali e della Chiesa. Con l'appoggio dell'esercito, si liberò delle possibili opposizioni interne sopprimendo i sindacati, controllando la stampa e sciogliendo i partiti politici. Oltre a respingere qualsiasi cambiamento sociale e politico all'interno del paese, inviò contingenti militari nei possedimenti portoghesi in Africa per bloccare sul nascere qualsiasi movimento nazionalista. Appoggiò il generale Francisco Franco, in seguito dittatore della Spagna, nella guerra civile spagnola e dopo la guerra i due si incontrarono spesso per discutere di questioni politiche. Durante la seconda guerra mondiale mantenne il Portogallo neutrale. Nel 1940 firmò un concordato con il Vaticano con il quale si impegnò a restituire alla Chiesa le proprietà confiscatatele da un governo precedente. Nel 1968, colpito da un colpo apoplettico, fu destituito dalla carica di primo ministro.

 

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SPAGNA

 

 

Preso il potere, Franco non operò alcun tentativo di riconciliazione nazionale, considerando indistintamente repubblicani moderati e militanti comunisti, socialisti e anarchici come "nemici della Spagna". All'indomani della guerra, decine di migliaia di antifascisti furono uccisi e circa 300.000 andarono in esilio. La legislazione repubblicana a favore di lavoratori e contadini fu revocata. Le uniche istituzioni riconosciute come legittime e dotate di poteri effettivi furono l'esercito, la Chiesa cattolica e la Falange.

La Spagna franchista rimase neutrale durante la seconda guerra mondiale. Nel 1947 Franco ristabilì la monarchia, dichiarandosi reggente a vita. Nel corso degli anni Cinquanta, in piena Guerra Fredda, gli Stati Uniti considerarono il dittatore un importante alleato contro il comunismo; nel settembre del 1953 concessero a Franco cospicui aiuti economici e militari in cambio del diritto di impiantare basi navali e aeree in territorio spagnolo. Nel 1955 la Spagna fu ammessa nell'Organizzazione delle Nazioni Unite. A partire dal 1961, l'economia migliorò grazie a una rapida crescita industriale e a forti investimenti stranieri. La carenza di manodopera favorì l'aumento dei salari, mentre l'agricoltura fu meccanizzata per abbattere i costi di produzione. Si verificò una migrazione di massa dalle aree rurali a quelle urbane, dove venne dato impulso all'istruzione secondaria e universitaria. Tali trasformazioni non mutarono però l'essenza del regime.

Nel 1962 Franco istituì la legge marziale, in risposta a un'eccezionale ondata di scioperi operai nelle Asturie. La Guinea Spagnola ottenne l'indipendenza nel 1968; sette anni più tardi il governo lasciò il Sahara Spagnolo al Marocco e alla Mauritania. Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta anche la Spagna, come gli altri paesi occidentali, fu percorsa da una stagione di lotte operaie e riprese con forza l'attività dell'ETA; nel 1973 il primo ministro Luis Carrero Blanco rimase vittima di un attentato dei separatisti baschi. Il nuovo capo dell'esecutivo Carlos Arias Navarro tentò una timida apertura politica, che fu però respinta dai settori più intransigenti del regime, che lo costrinsero all'inasprimento della politica repressiva.

L'estrema destra tentò ancora in seguito di opporsi all'apertura politica, ma ormai la sorte del regime fascista spagnolo, simbolizzata dalla lunga agonia del dittatore, era segnata; alla morte di Franco nel novembre 1975, la Spagna si avviò verso la democrazia.

 

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Francisco Franco

 

Volontario in Marocco, dove comandò la Legione spagnola e contribuì alla vittoria sulle forze di Abd el-Krim, Francisco Franco compì in seguito una brillante carriera, ottenendo il grado di generale a soli trentaquattro anni. A capo delle truppe che nel 1934 repressero nel sangue la rivolta delle Asturie, dopo la vittoria del Fronte popolare fu allontanato dalla Spagna e inviato alle Canarie. Nel 1936, sostenuto dalla Germania nazista e dall'Italia fascista, promosse la rivolta militare contro il governo repubblicano e guidò le forze nazionaliste durante la guerra civile. Sconfitte e sterminate le forze repubblicane, instaurò un regime filofascista e clericale che sopravvisse alla caduta del nazifascismo grazie alla neutralità conservata durante la seconda guerra mondiale e uscì dall'isolamento internazionale alleandosi con gli Stati Uniti nel 1953. Agli inizi degli anni Settanta, nel tentativo di assicurare una continuità autoritaria allo stato spagnolo, designò Juan Carlos al trono e si fece sostituire alla guida del governo da Luis Carrero Blanco; l'anacronistico regime franchista non sopravvisse tuttavia alla morte del suo creatore.

 

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FRANCIA

 

 

Il 10 maggio 1940 le forze tedesche invasero l'Olanda, il Belgio e la Francia, dirigendosi verso la costa della Manica. Il 9 giugno sferrarono un'offensiva attraverso il fiume Somme spingendosi a sud e il 14 giugno entrarono a Parigi; il 17 giugno il nuovo governo, formato dall'anziano maresciallo Pétain, trattò l'armistizio con la Germania, in base al quale circa i due terzi del territorio francese subivano l'occupazione militare tedesca. Alla Francia veniva concesso di istituire un governo nella zona non occupata. Il 10 luglio 1940, il Senato e la Camera dei deputati si riunirono a Vichy e approvarono la concessione di pieni poteri a Pétain per governare il paese e redigere una nuova Costituzione. Il governo di Vichy rappresentava quelle forze conservatrici che nei decenni precedenti si erano opposte alla repubblica e che ora sostenevano una politica di collaborazionismo con la Germania.

Le forze che resistevano all'invasione tedesca si riunirono invece intorno al generale Charles De Gaulle che, riparato a Londra dove fondò il Comitato francese di liberazione nazionale, fece appello a tutte le truppe francesi affinché proseguissero la guerra a fianco della Gran Bretagna e riuscì a costituire una propria forza armata e un governo ombra in Inghilterra. I movimenti della Resistenza in Francia, con i quali prese contatto, lo accettarono come leader di un movimento unitario di opposizione a Vichy e ai nazisti. Nel 1943 egli trasferì il suo quartier generale ad Algeri.

Quando gli Alleati sbarcarono in Normandia nel giugno del 1944, i contatti furono gestiti da ufficiali dell'organizzazione di De Gaulle ad Algeri e da capi locali della Resistenza. Il 25 agosto gli americani liberavano Parigi e De Gaulle entrava nella città dove costituì un governo provvisorio sotto il suo stretto controllo. Egli presiedette il governo per i mesi seguenti, ma si dimise nel gennaio del 1946, in seguito ai contrasti con l'Assemblea costituente appena eletta, dovuti alla sua concezione di un esecutivo forte.

 

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Henri Philippe Pétain

Henri Philippe Pétain,maresciallo e uomo politico francese,fu il capo del governo filotedesco di Vichy, costituito nel 1940, dopo la disfatta della Francia di fronte all'avanzata tedesca, nella seconda guerra mondiale. Generale durante la prima guerra mondiale, si mise in luce per l'efficace difesa di Verdun contro le truppe tedesche nel 1916. L'anno successivo ottenne il comando dell'esercito e riuscì ad arginare la grave ondata di ammutinamenti verificatisi nei mesi precedenti; nel 1918 fu nominato maresciallo di Francia e al termine del conflitto prestò servizio nel Marocco francese. Nel 1934 divenne ministro della Guerra; in seguito fu ambasciatore in Spagna (1939-1940), ma dopo l'invasione tedesca della Francia (1940) venne richiamato e nominato vicepresidente del Consiglio. Nel giugno dello stesso anno sostituì Paul Reynaud come capo del governo e il 22 del mese firmò l'armistizio con la Germania. Ottenuti i pieni poteri dall'Assemblea nazionale riunita a Vichy, divenne capo del nuovo governo collaborazionista della Francia non ancora occupata. Insieme al primo ministro Pierre Laval, impose un regime di stampo fascista, strettamente dipendente dalla Germania di Hitler. Quando gli Alleati sbarcarono in Francia, nel 1944, Pétain si rifugiò in Germania e poi, dopo la caduta del Terzo Reich, in Svizzera. Al termine della guerra tornò volontariamente in Francia, dove si costituì e venne processato per alto tradimento. Nell'agosto del 1945 fu condannato a morte; in seguito la pena venne commutata nell'ergastolo.

 

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Carles De Grulle

 

De Gaulle, Charles (Lilla 1890 - Colombey-les-Deux-Eglises 1970), generale e uomo politico francese, fondatore della Quinta repubblica, della quale divenne presidente (1959-1969).

Allievo dell'accademia militare di Saint-Cyr, prestò servizio nella prima guerra mondiale distinguendosi nella battaglia di Verdun. Al termine del conflitto fu aiutante di campo del maresciallo Henri Pétain. Agli inizi della seconda guerra mondiale venne promosso generale, ma dopo la caduta della Francia fuggì a Londra, da dove annunciò la costituzione di un Comitato francese di liberazione nazionale, lanciando dalla radio il primo appello alla Resistenza francese. Nel 1942 il Comitato venne ufficialmente riconosciuto dai governi Alleati e dai leader della resistenza nella Francia occupata dai tedeschi.
Assunto il comando dell'esercito francese di liberazione, che comprendeva le forze armate di stanza nelle colonie e una parte considerevole della flotta francese, De Gaulle sferrò senza successo un attacco su Dakar nel settembre del 1940; in seguito si unì all'esercito inglese nella conquista della Siria (1941) e del Madagascar (1942). Nel giugno del 1943 raggiunse il Comitato francese di liberazione nazionale ad Algeri e ne divenne presidente, inizialmente con il generale Henri Giraud e quindi, a partire dal 1943, da solo. Nel maggio del 1944 il quartier generale del Comitato fu trasferito a Londra e, nell'agosto dello stesso anno, in seguito alla liberazione della Francia da parte degli Alleati, a Parigi. Un mese dopo gli Stati Uniti, con il consenso dell'Unione Sovietica, lo riconobbero come legittimo governo della Francia.
Nel novembre del 1945, De Gaulle fu nominato capo del governo provvisorio e presidente del paese, ma due mesi più tardi, quando la sua proposta di aumentare i poteri presidenziali incontrò l'opposizione delle sinistre nell'Assemblea legislativa francese, rassegnò le dimissioni. Nel 1947 organizzò un nuovo movimento politico, il Rassemblement du Peuple Français, o RPF, che si batté per un forte governo centrale, in grado di pareggiare il bilancio nazionale, promuovere l'imprenditoria privata ed eliminare il controllo statale dalla vita economica del paese. Già nel 1953, tuttavia, il movimento aveva perso vigore, al punto tale che De Gaulle lo sconfessò e si ritirò dalla scena politica.

 

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ITALIA

 

Il passaggio dallo stato parlamentare al regime totalitario avvenne nei quattro anni successivi. Diverse furono le tappe in questa direzione: nel 1922 la formazione del Gran Consiglio del fascismo, un organismo che raccoglieva i capi del partito e che doveva rappresentare il legame tra questo e il governo; nel 1923 le leggi che limitavano la libertà di stampa, per mettere a tacere le opposizioni e utilizzare i giornali come strumenti di propaganda; nello stesso anno fu presentata la modifica del sistema elettorale (legge Acerbo) per garantire alla lista governativa la maggioranza dei deputati.

L'ultima prova di forza si compì con l'assassinio di Giacomo Matteotti, deputato socialista che aveva osato denunciare in un discorso al Parlamento le violenze e i brogli commessi dai fascisti nelle elezioni politiche del 1924. Pochi giorni dopo Matteotti veniva rapito e ucciso dai fascisti (giugno 1924). Nel paese si levò la richiesta delle dimissioni di Mussolini, mentre la maggioranza dei deputati antifascisti abbandonò per protesta i lavori del Parlamento (la "secessione dell'Aventino"). Mussolini salì alla tribuna della Camera (3 gennaio 1925) e si assunse la piena responsabilità delle illegalità fasciste, dimostrando così di non temere la sfida dell'antifascismo. Contemporaneamente esautorò il Parlamento e proclamò la transizione dallo stato liberale a quello totalitario.

I passi successivi comportarono l'allontanamento dal governo prima dei cattolici, poi dei liberali. Con la legislazione antiliberale del 1925-26 fu realizzato lo stato totalitario: furono sciolte le opposizioni, espulsi dalla Camera i deputati antifascisti, vietato lo sciopero, messi al bando i sindacati; fu approvata una nuova legge elettorale che prevedeva una lista unica, governativa; fu introdotta la pena di morte e istituito il Tribunale speciale per la difesa dello stato, incaricato di reprimere ogni forma di dissenso.

Un importante successo fu conseguito dal fascismo nel 1929 con la firma dei Patti lateranensi, che chiudevano il conflitto tra stato italiano e Chiesa cattolica, insorto nel 1870: lo stato italiano riconosceva il Vaticano come stato indipendente e la Chiesa otteneva che il cattolicesimo fosse dichiarato religione ufficiale.

La crisi economica, successiva al 1929, indusse il governo a contrapporre misure di difesa della produzione nazionale, all'insegna dell'autarchia. Fu varato un piano di opere pubbliche e di risanamento dell'agricoltura (bonifica delle paludi pontine, fondazione di città rurali, prosecuzione della campagna per aumentare la produzione del grano inaugurata nel 1926). Nel settore industriale si sperimentarono nuove forme di intervento statale con la fondazione dell'IRI (Istituto per la ricostruzione industriale), un ente finanziato dallo stato allo scopo di salvare le banche e le industrie che erano sull'orlo del fallimento. Le relazioni sindacali e industriali furono regolate dalle Corporazioni, create nel 1933, alle quali erano obbligatoriamente associate le diverse figure della produzione. La politica sociale del fascismo ebbe in quegli anni sviluppi importanti, con le pensioni per gli operai, la settimana di quaranta ore, il sabato festivo, le ferie obbligatorie, il dopolavoro per i dipendenti, l'assistenza alla maternità e all'infanzia.

La politica culturale tentò di orientare gli italiani secondo i valori ritenuti consoni alle tradizioni nazionali e fasciste. I giovani venivano addestrati alla disciplina, all'esercizio della forza fisica e al senso dell'obbedienza, attraverso manifestazioni sportive e sfilate simili alle parate militari. Stampa, cinema e radio furono soggetti non solo alla censura passiva, con cui si vietava la circolazione di notizie che potessero danneggiare l'immagine del fascismo, ma anche a un'azione attiva condotta da un apposito organismo burocratico, il Ministero della cultura popolare (Minculpop). Con strumenti polizieschi furono messi a tacere gli oppositori: molti antifascisti emigrarono all'estero, in particolare a Parigi, dove si organizzarono in associazioni come Giustizia e Libertà, centro della cultura liberale e socialista che ebbe in Carlo Rosselli il suo principale animatore, prima che venisse assassinato nel 1937 insieme con il fratello per ordine dei capi fascisti. Migliaia di oppositori – in maggioranza socialisti e comunisti –, intellettuali, artisti, subirono pesanti condanne al carcere e al confino per reati di opinione o per attività antigovernativa.

In politica estera per oltre un decennio Mussolini rispettò gli accordi di pace firmati nel 1919. Nel 1935 si verificò la svolta, con la guerra d'Etiopia, che si concluse nel maggio del 1936, e in seguito alla quale Mussolini proclamò la nascita dell'impero dell'Africa orientale italiana (AOI), la cui corona fu assunta da Vittorio Emanuele III. Dopo l'impresa africana il regime fascista si trovò avversato, seppure in forme blande, dalla Società delle Nazioni e contemporaneamente fu attratto nell'orbita tedesca: con Adolf Hitler Mussolini firmò un'intesa (l'asse Roma-Berlino) che portò il governo fascista a intervenire nella guerra civile spagnola a fianco dei tedeschi.

L'avvicinamento alla Germania nazista divenne totale nel 1938, anno in cui furono emanate le leggi "per la difesa della razza" (1° settembre e 10 novembre): gli ebrei italiani (circa 70.000 persone) si videro messi al bando dalla pubblica amministrazione, dalla scuola, dall'esercito. Nello stesso anno fu avviata una campagna di militarizzazione, che portò all'invasione dell'Albania (1939).

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Mussolini proclamò inizialmente lo stato di non belligeranza, ma di fronte ai successi di
Hitler decise l'intervento a fianco della Germania (10 giugno 1940) nella speranza di conseguirne vantaggi internazionali. Le prime operazioni militari si svolsero in aree marginali del conflitto (Sudest della Francia, Grecia), ma l'esercito apparve del tutto impreparato a sostenere uno scontro nel quale ovunque contavano i grandi mezzi aeronavali e le dimensioni strategiche intercontinentali. Diverse sconfitte, sia sui fronti balcanico e africano sia in mare, e la disastrosa partecipazione alla campagna di Russia portarono al tracollo militare.

Nel luglio del 1943, gli angloamericani sbarcarono in Sicilia: il 25 luglio 1943 il re esautorò Mussolini, messo in minoranza nell'ultima seduta del Gran Consiglio del fascismo, e lo fece arrestare. L'evento segnò il crollo del regime fascista, i cui esponenti più oltranzisti costituirono la Repubblica sociale italiana (conosciuta anche come Repubblica di Salò). Gli Alleati, intanto, risalivano la penisola scontrandosi in duri combattimenti con le forze tedesche; al nord, gli uomini della Resistenza si battevano contro i fascisti "repubblichini" e i tedeschi. La morte di Mussolini, giustiziato il 28 aprile 1945 dai partigiani, segnò la definitiva scomparsa del fascismo come regime di governo.

 

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MUSSOLINI

 

 



Mussolini socialista

      

Figlio di un fabbro, si avvicinò da giovanissimo al socialismo, anche per influenza del padre. Conseguito il diploma di maestro nel 1901, l'anno successivo fuggì in Svizzera per sottrarsi al servizio militare; vi rimase fino al 1904, segnalandosi come agitatore politico e attivista anticlericale. Rientrò in Italia, dove esercitò l'insegnamento fino a quando, nel 1909, si trasferì a Trento avviandosi all'attività giornalistica (fu direttore del settimanale “L'avvenire del lavoratore”). Tornato a Forlì, vi diresse la federazione socialista provinciale e il settimanale “La lotta di classe”. Nel 1911 fu tra i capi delle violente proteste popolari condotte in Romagna contro la guerra di Libia, e venne condannato a cinque mesi di carcere.

Al congresso del Partito socialista italiano di Reggio Emilia (luglio 1912) Mussolini si impose come uno dei leader dell'ala rivoluzionaria, e nel dicembre fu nominato direttore del quotidiano socialista “Avanti!”. Alla vigilia della prima guerra mondiale si schierò apertamente dalla parte degli interventisti, scelta che provocò la sua espulsione dal partito e lo privò della direzione dell'“Avanti!”. Fondò un nuovo quotidiano, “Il Popolo d'Italia”, dalle cui pagine condusse una vivace battaglia a favore dell'intervento. Arruolatosi come volontario nel settembre del 1915, partecipò al conflitto sino al febbraio

del 1917, quando venne ferito.

Mussolini fascista


Nel marzo del 1919 fondò a Milano i Fasci di combattimento, che derivavano il nome da un antico simbolo romano, il fascio littorio. Il movimento (che era nazionalista e antiliberale, ma avanzava anche rivendicazioni tipiche dei gruppi socialisti, come la giornata lavorativa di otto ore) ottenne l'appoggio, anche finanziario, dei grandi agrari e in seguito di  importanti gruppi industriali.

Nel 1921, con la costituzione del Partito nazionale fascista, Mussolini abbandonò le aperture sociali del programma del 1919 e pose l'accento sulla difesa dello stato e sull'antiparlamentarismo, trovando seguaci in particolare tra i reduci di guerra, i gruppi giovanili e i ceti medi. Presentatosi invano alle elezioni del 1919, fu eletto deputato nel 1921. Dopo la marcia su Roma (28 ottobre 1922) ebbe da Vittorio Emanuele III l'incarico di formare il nuovo governo. Il passaggio al vero e proprio regime fascista avvenne dopo che Mussolini rivendicò alla Camera la responsabilità politica dell'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (discorso del 3 gennaio 1925), cui fece seguito una serie di provvedimenti che annullarono il precedente sistema liberaldemocratico.

Mussolini dittatore


Sotto l'autorità del duce (titolo con cui fu sempre più spesso chiamato dopo la marcia su Roma), il ruolo e la presenza dell'unico partito autorizzato, il Partito nazionale fascista, divennero preponderanti nella società e nelle istituzioni. Strumento nelle mani di Mussolini e di una cerchia ristretta di gerarchi, il partito si impossessò di molteplici associazioni giovanili, studentesche, ricreative, culturali e di enti parastatali.

Preoccupato di rafforzare il suo potere, Mussolini stipulò con la Santa Sede i Patti lateranensi (1929), che sancirono la conciliazione tra lo Stato italiano e la Chiesa, dopo mezzo secolo di contrasti. Salutato come “uomo della Provvidenza” anche da esponenti della Chiesa, il “duce” intraprese una politica estera volta a soddisfare le sue ambizioni espansionistiche e colonialistiche (conquista dell'Etiopia, 1935-36) e a stabilire, con la costituzione dell'Asse Roma-Berlino (1936) e con la firma del patto Anticomintern (1937), più forti legami con la Germania nazista, insieme alla quale appoggiò il generale Francisco Franco nella guerra civile spagnola (1936-1939).

Sebbene isolato dalle potenze occidentali (che in seguito alla conquista dell'Etiopia avevano sottoposto l'Italia a sanzioni economiche), Mussolini ebbe un ruolo di mediatore nella questione dei Sudeti, che contrapponeva la Germania alla Cecoslovacchia. I positivi, se pur contraddittori, esiti del patto di Monaco – che autorizzava la Germania, in un estremo tentativo di evitare lo scoppio di un conflitto europeo di vaste proporzioni, ad annettersi, dopo l'Austria, i Sudeti – non rilanciarono però il ruolo internazionale di Mussolini, né riavvicinarono l'Italia alle potenze democratiche occidentali.

Convinto che l'alleanza con la Germania avrebbe garantito all'Italia grandi opportunità di espansione economica e territoriale, Mussolini strinse relazioni sempre più strette con Adolf Hitler, che venne accolto trionfalmente nella visita compiuta in Italia nel maggio del 1938. In ossequio al dittatore nazista, nel settembre di quello stesso anno Mussolini promulgò le leggi “per la difesa della razza”, con le quali i circa 70.000 ebrei italiani venivano banditi dalla pubblica amministrazione, dalla scuola, dall'esercito, dalla vita civile. Nel contempo, Mussolini accelerò il programma di militarizzazione, nella prospettiva di un conflitto che gli eventi internazionali annunciavano come imminente. Come mossa correlata alla politica espansionistica tedesca decise l'invasione dell'Albania (aprile 1939), a cui seguì nel maggio la stipula del cosiddetto patto d'acciaio, che legava militarmente e politicamente l'Italia alla Germania.

L'ingresso dell'Italia nel conflitto mondiale fu voluto da Mussolini allo scopo sia di controbilanciare la supremazia tedesca, esaltata dai risultati conseguiti con l'occupazione della Polonia e della Francia, sia di emulare Hitler su fronti meno impegnativi, nei quali sperava di ottenere facili vittorie che gli consentissero di trattare alla pari con la Germania in merito alla nuova sistemazione dell'Europa. Alla base di tale ipotesi agiva in lui la convinzione che la guerra si sarebbe conclusa rapidamente, non appena la Gran Bretagna, isolata e sottoposta a un duro attacco tedesco, avesse intavolato trattative di pace.

Il messaggio lanciato da Mussolini agli italiani il giorno della dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna (10 giugno 1940) era la sintesi di quei contenuti ideologici su cui il fascismo aveva costruito le sue fortune. Facendo ricorso alla trita retorica di cui il paese, impreparato militarmente alla guerra, era ormai pervaso, Mussolini giustificò l'intervento presentandolo come un'occasione di lotta dei popoli poveri e laboriosi contro gli stati detentori delle ricchezze e della finanza mondiali, rivisitando il mito della “nazione proletaria”. In questo modo rilanciava le campagne di stampa impostate sotto il suo controllo alla fine degli anni Trenta, che irridevano alla borghesia dei paesi democratici rappresentata come un organismo corrotto e decadente, ed esaltavano le presunte virtù morali e le attitudini guerriere del popolo italiano temprato dal fascismo.

La caduta di Mussolini

            
Ma la guerra segnò sia la fine del sogno imperiale fascista, svanito dopo le numerose sconfitte militari – che costarono enormi sacrifici umani al popolo italiano – in Grecia, in Africa, nel Mediterraneo, sia quella dello stesso Mussolini. Messo in minoranza dal Gran consiglio del fascismo con il cosiddetto “ordine del giorno Grandi” il 25 luglio 1943, il duce fu destituito e fatto arrestare dal re, che nominò capo del governo il maresciallo Badoglio. Liberato dai tedeschi, Mussolini divenne un semplice strumento nelle mani di Hitler, che lo pose formalmente alla guida della Repubblica sociale italiana, il regime collaborazionista instaurato nell'Italia settentrionale controllata dai tedeschi.

Il 27 aprile del 1945, travestito da soldato tedesco, Mussolini tentò di fuggire in Svizzera con la sua amante Claretta Petacci. Riconosciuto dai partigiani a Dongo, fu catturato e giustiziato il 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como; il suo cadavere venne esposto accanto a quelli di Claretta Petacci e di altri gerarchi fascisti in piazzale Loreto a Milano, nello stesso luogo dove nell'agosto del 1944 i nazifascisti avevano esposto, come monito alla Resistenza italiana, i corpi trucidati di quindici partigiani. Il 30 di aprile il comando del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia giustificava così la decisione di giustiziare Mussolini: “Il CLNAI dichiara che la fucilazione di Mussolini e complici da esso ordinata è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il nostro paese ancora coperto di macerie materiali e morali…”.

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YUGOSLAVIA

 

 

Il regno di Alessandro I, salito al trono alla morte del padre, Pietro I, nell'agosto del 1920, fu caratterizzato da feroci lotte politiche, dovute in particolare all'egemonia in Parlamento dei serbi sulle altre etnie e alla negazione dell'autonomia richiesta da croati, sloveni e da altre minoranze. Sotto la guida di Stjepan Radic, i croati e i loro alleati condussero una strenua opposizione al governo centralista. La prima fase degli scontri si concluse nel giugno 1928, quando un deputato del Parlamento nazionale del Montenegro sparò allo stesso Radic, colpendo a morte anche altri due parlamentari. La guerra civile sembrava imminente, ma nel gennaio del 1929 Alessandro I sospese la Costituzione e, sciolto il Parlamento, instaurò un regime dittatoriale. Il re inoltre, nel tentativo di salvaguardare l'unità nazionale e di rafforzarla, abolì le divisioni amministrative e mutò il nome allo stato stesso, da Regno di Serbi, Croati e Sloveni a Regno di Iugoslavia ("Terra degli Slavi del Sud").

 

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GRECIA

 

 

Nel 1939 l'Italia di Mussolini aggredì l'Albania e nel 1940 la Grecia. Inaspettatamente i greci resistettero con successo e nel dicembre iniziarono il contrattacco. La disfatta italiana fu evitata solo dalle truppe tedesche, che in breve schiacciarono le forze greche. Un armistizio venne firmato il 23 aprile 1941 e quattro giorni dopo i nazisti entravano ad Atene, istituendo un governo collaborazionista. Giorgio II fuggì prima a Creta, poi al Cairo e a Londra.
A partire dalla fine del 1943 cominciò a organizzarsi in Grecia un'intensa attività di resistenza armata. Tra le principali formazioni la più radicata tra la popolazione era l'EAM, il Fronte di liberazione nazionale, che univa diverse organizzazioni politiche, sindacali e sociali progressiste e che aveva il proprio braccio armato nell'ELAS (Esercito popolare di liberazione nazionale); l'EDES (il Fronte democratico di liberazione nazionale) era espressione di ambienti più moderati e conservatori. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, avvicinandosi la prospettiva della liberazione dall'occupazione nazista, le forze dell'EAM e dell'EDES cominciarono a lottare tra loro per assicurarsi il controllo del paese; nel maggio 1944, tuttavia, le parti trovarono un accordo per costituire un governo congiunto.

 

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BULGARIA

 

 

Durante il regno di Boris III il governo fu presieduto da Aleksandr Stambolijsky (1919), che cercò di mantenere relazioni amichevoli con i paesi dell'area dei Balcani e di condurre una politica di riforma agraria che risollevasse le sorti della classe contadina. Inimicatosi l'esercito e la borghesia cittadina, il regime dittatoriale fu rovesciato e Stambolijsky stesso venne ucciso in seguito al colpo di stato del 1923. La sua morte non placò i dissensi interni, che proseguirono anche durante la guerra contro la Grecia, dalle cui armate la Bulgaria venne invasa nel 1925; per porre fine al conflitto si rese necessario l'intervento del Consiglio della Società delle Nazioni, che adottò una politica sfavorevole alla Grecia. Il perdurare dei disordini nel paese e il tentativo di un colpo di stato, nel 1934, indussero Boris III a instaurare un regime dittatoriale. Caduta nella sfera di influenza tedesca e italiana, nel settembre del 1940 la Bulgaria, per volontà della Germania, ottenne dalla Romania la Dobrugia meridionale e, nel marzo 1941, sempre dietro pressione tedesca, si unì alle potenze dell'Asse dichiarando guerra a Grecia e Iugoslavia nell'aprile successivo. Occupata la Macedonia, la Tracia e i distretti greci di Florina e Kastoria, la Bulgaria sottoscrisse il patto Anticomintern in novembre, dichiarando guerra pochi mesi dopo a Stati Uniti e Gran Bretagna. Nonostante fossero alleati con la Germania nazista, Boris III e il suo governo opposero sempre un netto rifiuto alle persecuzioni razziali, permettendo così a molti ebrei bulgari di sfuggire alla Shoah.
Nel 1943, quando le sorti della guerra iniziarono a volgere a sfavore della Germania, Hitler cercò di costringere la Bulgaria a dichiarare guerra all'URSS, ottenendo il netto rifiuto da parte di Boris III. Morto quest'ultimo nell'agosto del 1943, il potere venne assunto da Dobri Bozhilov – reggente per Simeone II – il cui regime, marcatamente filonazista, fu rovesciato dal movimento antitedesco dei comunisti e dei contadini nel maggio del 1944. Il 5 settembre dello stesso anno l'URSS dichiarò formalmente guerra alla Bulgaria che chiese immediatamente l'armistizio e che, il 7 settembre, dichiarò a sua volta guerra alla Germania con cui in precedenza aveva già tentato di rompere l'alleanza. In seguito all'armistizio firmato con URSS, Stati Uniti e Gran Bretagna nell'ottobre del 1944, la Bulgaria venne posta sotto il controllo diretto delle truppe di occupazione sovietica e si vide costretta ad abbandonare i territori sottratti alla Grecia e la Macedonia.
All'occupazione militare sovietica seguirono le elezioni del 18 novembre 1945, in cui si imposero i comunisti del Fronte della patria, che raccolsero l'85% dei voti.

 

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ROMANIA

 

 

Anche se la Romania dichiarò inizialmente la propria neutralità durante la seconda guerra mondiale, la sua collocazione politica era chiaramente al fianco delle potenze dell'Asse e ciò condusse a una politica amichevole nei confronti della Germania. Nel giugno del 1940, l'Unione Sovietica occupò la Bessarabia e la Bucovina settentrionale, senza che la Germania si opponesse, sulla base dell'accordo di non-aggressione siglato nell'agosto del 1939. Il 20 agosto, su richiesta di Germania e Italia, la Romania cedette una parte della Transilvania all'Ungheria e poco tempo dopo la Dobrugia meridionale alla Bulgaria. L'esercito tedesco occupò la Romania, le cui risorse petrolifere erano essenziali per i rifornimenti del Terzo Reich. Nel disordine che seguì, Carlo II nominò Ion Antonescu, un simpatizzante della Guardia di Ferro, conducator (DUCE) del paese, ma fu comunque costretto ad abdicare il 6 settembre del 1940. Michele, suo successore, divenne re solo nominalmente, dato che il potere veniva esercitato dal maresciallo Antonescu.
La Romania prese parte al secondo conflitto mondiale dal giugno del 1941, attaccando l'Unione Sovietica insieme con le forze tedesche. Le truppe rumene rioccuparono la Bessarabia e la Bucovina e, intorno alla fine del 1941, erano penetrate fino a Odessa. Nel mese di dicembre la Romania dichiarò guerra agli Stati Uniti d'America. La rapida avanzata sovietica nella primavera del 1944 riportò l'Armata Rossa nella Bessarabia e nella Bucovina, fino a insediarsi in pieno territorio rumeno. Re Michele e alcuni lealisti, favoriti dall'imminente arrivo dei sovietici, inscenarono un colpo di stato nella notte del 23 agosto, arrestarono Antonescu e annunciarono la resa del paese. Nel settembre fu firmato l'armistizio con l'URSS: la Romania entrava così nella sfera di influenza sovietica.
Si formò un Fronte nazionale democratico, appoggiato dall'Unione Sovietica, formato da una coalizione dei partiti comunista, socialdemocratico, liberale e contadino. Nel marzo del 1945 venne istituito un governo di coalizione guidato da Petru Groza, leader di una fazione del Partito nazionale contadino. Nel dicembre del 1947 re Michele abdicò e il governo proclamò la Repubblica popolare di Romania; il 13 aprile del 1948 venne adottata una nuova costituzione del tutto simile a quella sovietica.
In base al trattato di pace siglato a Parigi il 10 febbraio del 1947 con gli Alleati, la Romania riottenne la Transilvania settentrionale e furono convalidati i trasferimenti territoriali del 1940.

 

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UNGHERIA

 

 

Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale il governo ungherese proclamò la propria neutralità, ma di fatto condivise da subito i progetti dell'Asse. Nel 1940 Italia e Germania riconobbero i diritti dell'Ungheria sulla Transilvania e, nell'aprile dell'anno successivo, il regime ungherese approfittò dell'attacco tedesco alla Iugoslavia per riappropriarsi dei territori ceduti con il trattato del Trianon. Dopo le dichiarazioni di guerra a Unione Sovietica e Stati Uniti, il paese abbandonò la sua posizione neutrale e subì pesanti perdite sul fronte sovietico. Nel marzo 1944 il paese fu invaso dalle truppe naziste con il consenso di Horthy, che venne in seguito costretto alle dimissioni e sostituito con un governo fantoccio guidato dal capo delle milizie filonaziste "croci frecciate", Ferenc Szálasi, che avviò una campagna di terrore contro gli oppositori e collaborò con le forze naziste nella deportazione degli ebrei. Nell'aprile del 1945 l'Ungheria fu liberata dai sovietici; dopo la firma dell'armistizio con le forze alleate, fu istituito un governo provvisorio sottoposto al controllo delle autorità militari sovietiche. Alle elezioni per la costituzione di una nuova Assemblea nazionale la maggioranza relativa venne conquistata dal Partito indipendente dei piccoli proprietari (PIPP) di Zoltán Tildy, che fu eletto presidente. Fu formato quindi un gabinetto di coalizione guidato da Ferenc Nagy e dal segretario generale del Partito comunista Mátyás Rákosi.

 

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AUSTRIA

 

 

Una successione di governi guidati dal Partito conservatore cristiano sociale affrontò con fatica gli effetti della Grande Depressione, mentre l'ascesa anche in Austria del movimento nazionalsocialista rappresentò un ulteriore fattore destabilizzante. Preso in mezzo da due opposizioni che progressivamente radicalizzavano le proprie posizioni, il cancelliere Engelbert Dollfuss nel 1933 sciolse il Parlamento e iniziò a governare per decreti. Sostenuto dall'esercito e dalla Heimwehr (Lega di difesa interna, un'organizzazione paramilitare fascista), il suo regime schiacciò inizialmente l'opposizione socialista, per poi mettere fuorilegge tutti i partiti politici (1934); una nuova Costituzione, che cancellava le istituzioni parlamentari, era stata appena introdotta quando Dollfuss fu assassinato nel corso di un fallito tentativo nazista di Putsch inteso ad aprire le porte all'Anschluss ("annessione") con la Germania. Nel 1938 il nuovo cancelliere Kurt von Schuschnigg indisse un plebiscito popolare per riaffermare l'indipendenza dell'Austria; Hitler chiese e ottenne le sue dimissioni, quindi invase il paese, promuovendo la formazione di un governo collaborazionista guidato da Arthur Seyss-Inquart. L'Austria fu rinominata Ostmark (Marca Orientale) e posta sotto la diretta autorità del Terzo Reich tedesco.
Nell'ottobre 1944, con la conferenza di Mosca, i capi di stato di Gran Bretagna e Unione Sovietica indicarono nella reinstaurazione dell'indipendenza dell'Austria uno degli obiettivi della guerra alleata. Nell'aprile del 1945 le truppe sovietiche liberarono la parte orientale del paese inclusa Vienna. Le elezioni nazionali pluripartitiche si tennero in novembre e portarono il Partito del popolo austriaco (erede del partito cristiano-sociale prebellico) ad assicurarsi l'85% dei seggi dell'Assemblea nazionale.

 

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Engelbert Dollfuss

 

 

Dollfuss, Engelbert (Texing 1892 - Vienna 1934), uomo politico austriaco, cancelliere (1932-1934). Esponente del Partito cristiano-sociale, nominato cancelliere si alleò con gli Heimwehren, corpi paramilitari di matrice fascista sostenuti da Benito Mussolini. Secondo la sua strategia, l'alleanza con l'Italia avrebbe scongiurato la realizzazione dell'Anschluss, cioè l'annessione dell'Austria alla Germania voluta dai nazisti. Nel marzo 1933, subito dopo la presa del potere da parte di Adolf Hitler in Germania, con un'azione di forza sciolse il Parlamento, abolì la libertà di parola, stampa e assemblea, dichiarò fuorilegge il Partito comunista e lo Schutzbund (la milizia armata del Partito socialdemocratico). In giugno bandì anche il Partito nazista austriaco, che chiedeva di unirsi alla Germania di Hitler. Nel febbraio del 1934, gli operai, sotto la guida dei socialisti, organizzarono a Vienna uno sciopero generale per protestare contro le incursioni degli Heimwehren; la protesta degenerò e Dollfuss la represse nel sangue, sciogliendo inoltre tutti i partiti politici tranne il Vaterländische Front o Fronte patriottico, a cui egli stesso apparteneva, e formando poi un nuovo Parlamento. Venne assassinato nel luglio successivo durante un fallito colpo di stato organizzato dai nazisti austriaci.

 

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SLOVACCHIA - REPUBBLICA CECA

 

 

Nel periodo tra il 1945 e il 1948 il potere dei comunisti, sostenuti dai sovietici, crebbe rapidamente: nelle elezioni del maggio 1946 essi ottennero più di un terzo dei seggi parlamentari. Benes venne nuovamente nominato presidente, ma la carica di primo ministro fu conferita al leader comunista Klement Gottwald e al suo partito i ministeri dell'Istruzione, degli Interni e delle Comunicazioni. La Rutenia subcarpatica venne ceduta all'Unione Sovietica, mentre la popolazione tedesca dei Sudeti veniva espulsa dal paese; furono nazionalizzate le industrie di base e i partiti conservatori presenti prima della guerra furono dichiarati fuorilegge, compreso il potente Partito agrario: molti anticomunisti vennero arrestati, giustiziati o costretti all'esilio. Ancora nel 1947, tuttavia, il potere del Partito comunista era tutt'altro che indiscusso nel paese. Nel febbraio del 1948 dodici ministri non comunisti diedero le dimissioni dal governo denunciando i propositi egemonici della formazione guidata da Gottwald; il presidente Benes, malato e preoccupato della possibilità di una guerra civile o dell'intervento sovietico, nominò un nuovo governo formato dai comunisti e dai loro alleati. Alla sua morte, Gottwald assunse la presidenza, facendo in breve della Cecoslovacchia uno stato satellite dell'URSS. Industria, commercio e trasporti vennero nazionalizzati, l'agricoltura collettivizzata, la Chiesa fortemente ostacolata, l'istruzione e la cultura riorganizzate secondo linee marxiste. Gli oppositori politici, così come alcuni militanti comunisti considerati sovversivi, furono incarcerati o confinati nei campi di lavoro. In seguito però, favorito dal clima di disgelo seguito alla morte di Josif Stalin (1953) e sollecitato dalle crescenti critiche interne al regime, Gottwald avviò un moderato processo di riforma del sistema economico, resosi sempre più necessario, nel corso degli anni Sessanta, anche agli occhi degli elementi più conservatori del Partito comunista.

 

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GERMANIA

 

 

Uno dei capisaldi nelle rivendicazioni della propaganda hitleriana fu la revisione dei confini stabiliti dopo il primo conflitto mondiale. Obiettivo di Hitler era la riunificazione di tutti i tedeschi in un nuovo impero, un Lebensraum (spazio vitale) capace di garantire loro prosperità e potenza. La tattica inizialmente seguita dal dittatore fu quella di porre la comunità internazionale di fronte a una serie di fatti compiuti, intesi a rispondere a pretese poste però isolatamente, così da far apparire sproporzionata l'eventualità del ricorso a un conflitto generale: la Germania nazista uscì dalla Società delle Nazioni (1933); iniziò a riarmarsi senza incontrare alcuna reale opposizione (1935); rioccupò quindi militarmente la Renania (1936), firmando nel contempo un patto anticomunista con il Giappone e un'alleanza con l'Italia fascista (Asse Roma-Berlino-Tokyo). Nel 1938 venne dichiarato l'Anschluss (unione) con l'Austria; poco dopo, in una conferenza tenuta a Monaco, Inghilterra, Francia e Italia acconsentirono all'ennesima richiesta di Hitler (prospettata come l'ultima) di annettersi la regione cecoslovacca dei Sudeti .Nel marzo del 1939 le truppe tedesche occupavano anche il resto della Cecoslovacchia; in agosto il patto di non-aggressione stretto con l'URSS, comprendente clausole segrete per la spartizione della Polonia, costituì la premessa allo scoppio delle ostilità, inevitabile dopo che il 1° settembre furono violate le frontiere polacche. Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania, dando inizio alla seconda guerra mondiale.
L'occupazione in rapida successione (Blitzkrieg) di Polonia, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi, Francia e Belgio, operata entro l'estate del 1940, portò a compimento la prima fase dei piani di guerra hitleriani. A questa seguì il fallito tentativo di piegare la resistenza inglese, e nel 1941 l'invio di forze in Nord Africa, Grecia e Iugoslavia a supporto dell'alleato italiano impegnato su quei fronti con scarsi risultati.

La seconda fase venne inaugurata dall'invasione dell'URSS nell'estate dello stesso anno. Per oltre un anno le truppe tedesche sembrarono non incontrare ostacoli, ma dal 1943 le operazioni condotte dagli Alleati e la Resistenza sviluppatasi in molti paesi iniziarono a prendere il sopravvento. Prima in URSS, poi in Nord Africa i tedeschi furono costretti a indietreggiare, mentre l'Italia veniva invasa dagli Alleati e la stessa Germania veniva fatta oggetto di bombardamenti sistematici sempre più violenti. Nonostante lo sbarco alleato in Normandia nel 1944 e l'inizio dell'invasione del territorio tedesco da due fronti non lasciassero dubbi circa l'inevitabilità della sconfitta, Hitler rifiutò di arrendersi: si suicidò nell'aprile del 1945, mentre i primi carri armati sovietici raggiungevano Berlino.

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Adolf Hitler

 

 

 

L'ascesa politica

 Figlio di un modesto funzionario delle dogane austriaco, fu uno studente mediocre e non portò mai a termine le scuole secondarie. Dopo aver tentato invano di essere ammesso all'Accademia di belle arti di Vienna, lavorò in questa città come decoratore e pittore, leggendo con voracità opere destinate ad alimentare le sue convinzioni antisemite e antidemocratiche, così come la sua ammirazione per l'individualismo e il disprezzo per le masse. Trasferitosi a Monaco, fu qui sorpreso dallo scoppio della prima guerra mondiale (1914) e si arruolò come volontario nell'esercito bavarese.

La fondazione del Partito nazista


Dopo la guerra tornò a Monaco e rimase nell'esercito fino al 1920; iscrittosi al Deutsche Arbeiterpartei (Partito tedesco dei lavoratori), di impronta nazionalista, ne divenne in breve il capo e, associandovi altri gruppi nazionalisti, lo rifondò con la denominazione di Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, abbreviato in Partito nazista), del quale fu eletto presidente con poteri dittatoriali; mentre diffondeva la sua ideologia incentrata sull'odio di razza e sul disprezzo per la democrazia, si legò ai gruppi squadristi paramilitari fondati dal maggiore Röhm, le SA (Sturmabteilungen, squadre d'assalto), avallandone le azioni di violenza contro uomini e sedi della sinistra socialdemocratica e comunista.

Il Putsch di Monaco e il
Mein Kampf


Hitler incentrò la sua azione politica nell'attacco alla Repubblica di Weimar, accusata di tradimento e di cedimento agli stranieri, raccogliendo l'adesione di personaggi quali Rudolf Hess, Hermann Göring e Alfred Rosenberg. Nel novembre del 1923, in un momento di confusione e debolezza del governo del paese, fece la sua prima apparizione sulla scena politica tedesca guidando un tentativo di colpo di stato in Baviera, il Putsch di Monaco. L'esercito però non fu compatto nel sostenere l'operazione e il putsch fallì. Riconosciuto responsabile del complotto, Hitler venne condannato a cinque anni di reclusione, ridotti a otto mesi per un'amnistia generale. Durante la detenzione, dettò la sua autobiografia, Mein Kampf (La mia battaglia), nella quale espose i principi dell'ideologia nazista e della superiorità della razza ariana. Tornato in libertà (1924), ricostruì nel 1925 il partito senza che il governo, che pure aveva cercato di rovesciare, facesse nulla per impedirlo.

La conquista del potere


Scoppiata nel 1929 la Grande Depressione, che portò al tracollo del marco e alla crescita della disoccupazione, Hitler seppe sfruttare il malcontento popolare guadagnando consensi al Partito nazista e assicurandosi l'appoggio dei settori di destra dell'alta finanza, della grande industria e dell'esercito; con la promessa di creare una Germania forte, ricca e potente attirò milioni di elettori. La sua capacità oratoria infiammava le masse: nelle elezioni del 1930 i seggi dei nazisti al Reichstag (Parlamento) passarono dai dodici del 1928 a centosette; contemporaneamente rafforzò le strutture paramilitari del partito utilizzando le SA di Röhm e le SS, create da Himmler.

Durante i due anni seguenti il partito continuò a crescere, traendo vantaggio dalla forte disoccupazione, dalla paura del comunismo, dalla risolutezza di Hitler e dalla debolezza dei suoi rivali politici. Hitler riuscì ad accreditarsi come l'uomo forte, capace di far uscire il governo dall'immobilismo e dalle secche dei contrasti tra Parlamento e presidenza della Repubblica. Con il sostegno dei vertici militari ottenne dal presidente Paul von Hindenburg l'incarico di cancelliere (30 gennaio 1933). Alla morte di Hindenburg (1934) riunì nella sua persona anche la carica di presidente, facendo ratificare questo atto con un plebiscito che gli attribuì il 90% dei consensi. A quel punto il suo progetto totalitario poté dispiegarsi senza ostacoli.

Il regime nazista


Giunto al potere, Hitler si trasformò rapidamente in dittatore. Un Parlamento sottomesso gli concesse pieni poteri, così che egli fu in grado di asservire la burocrazia statale e il potere giudiziario alle esigenze del partito. I sindacati furono eliminati, migliaia di oppositori rinchiusi nei campi di concentramento e ogni minimo dissenso messo violentemente a tacere. L'organizzazione della polizia politica venne affidata a Himmler, il capo delle SS. Il 30 giugno 1934, nella "notte dei lunghi coltelli", Hitler si liberò degli elementi più critici e radicali presenti nel suo stesso partito e nelle SA. In breve tempo l'economia, i mezzi di comunicazione e tutte le attività culturali passarono sotto l'autorità nazista attraverso il controllo della lealtà politica di ogni cittadino esercitato dalla Gestapo, la famigerata polizia segreta.

Il riarmo tedesco e la politica
di espansione territoriale


Hitler si riservò come settore di sua esclusiva competenza la politica estera. Nel 1935 denunciò il trattato di Versailles del 1919, proclamando la sua ferma intenzione di riportare la Germania al rango di grande potenza militare e navale, e per cominciare, attraverso un plebiscito, riprese la regione della Saar, alla frontiera occidentale. Nel 1936 ritenne che i tempi fossero maturi per dare inizio alla sua politica d'espansione: inviò truppe nella Renania smilitarizzata, firmò con l'Italia fascista di Mussolini un'alleanza che prese il nome di Asse Roma-Berlino e sottoscrisse con il Giappone il patto Anticomintern in funzione anticomunista e antisovietica. Nel 1938 decise di invadere e di annettere l'Austria ,senza trovare alcuna resistenza militare. All'incontro di Monaco ottenne che fosse ratificato lo smembramento di una parte della Cecoslovacchia,premessa della sua dissoluzione, avvenuta nel marzo 1939. Da questi eventi scaturì la seconda guerra mondiale.

La guerra e il
genocidio degli ebrei


La guerra scoppiò nel settembre del 1939 con l'invasione della Polonia, che aveva stretto un'alleanza con l'Inghilterra. Nel 1940 l'esercito tedesco occupò Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio e Francia; nel giugno del 1941 ebbe inizio l'attacco all'Unione Sovietica. Nel luglio successivo, Hitler incaricò il capo delle SS Heydrich di elaborare e pianificare la "soluzione finale della questione ebraica" che avrebbe portato al genocidio di sei milioni di ebrei.
A dicembre l'andamento della guerra cambiò direzione: la controffensiva russa respinse l'esercito tedesco, infliggendo gravissime perdite alla Germania; Hitler rifiutò di autorizzare la ritirata. In quegli stessi giorni gli Stati Uniti entrarono in guerra. Davanti all'avanzata degli eserciti nemici sia sui fronti europei che su quelli africani, Hitler, sopravvissuto a vari complotti orditi da ufficiali tedeschi che volevano porre fine ai combattimenti e all'annientamento della Germania e convinto fino all'ultimo che la disfatta fosse colpa degli ebrei e dello stato maggiore tedesco, si suicidò il 30 aprile 1945. Con lui, nel bunker di Berlino, si tolse la vita Eva Braun, che il Führer aveva sposato il giorno precedente.

 

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Gran Bretagna

 

 

Dopo il primo conflitto mondiale, si svolsero conferenze per il disarmo a Washington (1921-22) e a Londra (1930). Il Regno Unito adottò una politica di tolleranza nei confronti della Germania di Adolf Hitler e, nel tentativo di evitare un nuovo conflitto, il primo ministro Neville Chamberlain accettò il patto di Monaco del 1938, che assegnava alla Germania la regione cecoslovacca dei Sudeti. Solo in seguito all'annessione tedesca di Praga (marzo 1939) il Regno Unito si impegnò a sostenere militarmente la Polonia e la Romania.

Quando Hitler invase la Polonia nel settembre del 1939, il Regno Unito e la Francia dichiararono guerra alla Germania: ebbe inizio così la seconda guerra mondiale. Nella primavera del 1940 la Germania invase la Danimarca, la Norvegia, l'Olanda, il Belgio e la Francia. Winston Churchill prese il posto di Chamberlain a capo di un consiglio di gabinetto bellico (1940-1945) formato dai rappresentanti dei tre maggiori partiti politici. Dopo la resa della Francia nel giugno 1940, il Regno Unito intraprese una massiccia mobilitazione e subì pesanti bombardamenti che causarono circa 60.000 vittime fra la popolazione civile.

Dopo l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica, nel giugno 1941, e l'attacco giapponese a Pearl Harbor, Churchill stipulò la "Grande alleanza" con il leader sovietico Stalin e il presidente americano Franklin D. Roosevelt contro le potenze dell'Asse. Il corso della guerra, fino a quel momento sfavorevole, cominciò a cambiare verso la fine del 1942. Fra i più determinanti contributi britannici all'andamento del conflitto si ricordano la battaglia dell'Atlantico contro la minaccia sottomarina tedesca e la campagna nordafricana del generale Bernard Montgomery. Notevole fu la partecipazione delle forze britanniche alla liberazione dell'Italia (1943) e della Francia (1944) e alla definitiva sconfitta delle potenze dell'Asse (1945).

 

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Winston Churchill


Il piccolo Winston, figlio di Randolph Henry Spencer Churchill, terzogenito del duca di Malborough, e dell'americana Jessie Jerome, figlia del proprietario del New York Times, venne alla luce il 30 novembre 1874 nel palazzo avito di Blenheim, presso Woodstock. Trascorse un'infanzia come molti pargoli della nobiltà dell'epoca, affidato alle cure di una affettuosa governante che doveva fare del suo meglio per compensare l'indifferenza dei genitori nei suoi confronti. Del resto il padre era troppo impegnato nella sua attività politica, che di lì a poco l'avrebbe condotto alla carica di ministro per l'India nel governo conservatore di Salisbury. Dal canto suo la madre era donna troppo attraente, libera e spregiudicata per consumarsi nelle spire di un tranquillo ménage familiare: balli, ricevimenti e un copioso numero di amanti (compreso il futuro re Edoardo VII) rappresentavano i suoi maggiori interessi. Winston crebbe con questo senso di trascuratezza. Prima della scuola qualcuno lo ritenne addirittura ritardato, a causa della sua irrequietezza e di uno scarsissimo senso della disciplina. Difetti forse largamente accettabili oggi, ma che erano ritenuti imperdonabili in un giovane un suddito di sua maestà. A 7 anni, con l'iscrizione alla St. George School di Ascot, ha inizio il suo calvario tra i banchi di scuola, che durerà fino all'ingresso all'accademia militare di Sandhurst nel 1893. Insolente e arrogante con compagni e professori, si dimostrò una frana in tutte quelle materie che più avrebbero dovuto nobilitare l'animo di giovane esponente della gentry (l'aristocrazia). Latino, greco, francese e matematica saranno sempre le sue bestie nere. Nonostante i pessimi voti, a quattordici anni venne ammesso al collegio di Harrow (il senato accademico non volle assumersi la responsabilità di rifiutare il figlio di un ex-ministro!), ma la situazione non migliorò. "Winston - scrisse un insegnante alla madre - è peggiorato col passare del trimestre. Costantemente in ritardo a scuola, perde libri, quaderni e varie altre cose che non ho bisogno di specificare. È così regolare nella sua irregolarità che non so proprio cosa fare; e a volte penso di non poterci fare niente". Per colmare le lacune fu più volte inserito in classi di recupero. Dal canto suo la madre cercava di spronarlo con lettere di rimprovero. "La tua pagella […] è molto brutta. Lavori in maniera così sconnessa e saltuaria che finirai per riuscire ultimo. […] Winston carissimo, tu mi rendi molto infelice… Il tuo modo di lavorare è un insulto all'intelligenza". Eppure di intelligenza e soprattutto di memoria ne aveva da vendere. Ad Harrow diede prova di due tra le sue qualità che più lo avrebbero caratterizzato negli anni a venire: una formidabile memoria (si racconta ripetesse a memoria intere scene delle opere di Shakespeare e migliaia di versi di Macaulay) e una felice inclinazione per la scrittura giornalistica (qui iniziò la sua carriera scrivendo per il giornale scolastico, l'Harrowian). Verso la carriere militare lo orientò il padre. Incuriosito dalla sua smodata passione per i soldatini di piombo gli chiese se gli sarebbe piaciuta la vita militare. "Pensai - raccontò anni dopo lo stesso Winston - che sarebbe stato splendido comandare un esercito, e dissi subito sì: e immediatamente fui preso in parola. Per anni ho pensato che mio padre con la sua esperienza e il suo intuito avesse identificato in me le qualità del genio militare. Ma più tardi mi dissero che era semplicemente arrivato alla conclusione che non ero abbastanza intelligente per entrare nell'avvocatura". I rapporti tra i due non furono mai facili. Nel 1893 Randolph disse del figlio, all'apice dei suoi fallimenti scolastici, che aveva "una scarsa disposizione all'intelligenza, alla cultura o a ogni capacità di studio organizzato. Il suo grande talento è nell'esagerazione e nell'imbroglio". Dal canto suo Winston - nonostante nel 1906 abbia reso omaggio alla memoria del padre con un'imponente biografia elogiativa - confidò anni dopo in privato: "Non mi ascoltava, non prendeva nella minima considerazione qualunque cosa dicessi. Non era possibile avere con lui alcun rapporto di amicizia [...] Era così egocentrico che non esisteva nessun altro per lui". Neanche l'ingresso al Royal Military College di Sandhurst fu facile. La nota scuola per ufficiali subalterni per l'esercito e la cavalleria lo respinse agli esami di ammissione per ben due volte. Solo dopo aver preso abbondanti ripetizioni private riuscì, nel 1893, a superare lo scoglio. Nei due anni di college si mise in mostra per l'abitudine a voler discutere gli ordini dei superiori, per le abissali lacune in latino e francese, e per la stesura di qualche articolo per il Pall Mall Magazine. Ma il vero ingresso nell'età adulta avvenne nel 1895, quando la madre, grazie a conoscenze altolocate, riuscì a farlo assegnare a uno dei più prestigiosi reggimenti dell'esercito vittoriano, il Quarto Ussari. Prima della partenza per l'India, dov'era di stanza il reggimento, ai giovani subalterni furono concessi quasi tre mesi di licenza. Winston, bramoso di esperienze e di guerre, non trovò di meglio che trascorrere la vacanza a Cuba, scrivendo reportage per il Daily Grapich al seguito dell'esercito spagnolo, allora impegnato nella repressione di una insurrezione guerrigliera. Esaltato da questa avventura, che lo vide esporsi al fuoco in prima linea in più di una occasione, fece poi fatica ad adattarsi ai placidi ritmi della vita in India. Giunto nel 1896 a Bangalore, per ammazzare il tempo si dedicò alla collezione di farfalle, al polo, alle corse con i cavalli, alla lettura (Platone, Aristotele, Gibbon, Schopenhauer) e alla scrittura di un romanzo. Finchè la quiete fu rotta da un'altra licenza e dalla contemporanea sollevazione delle tribù Pathan nelle aspre regioni montuose dell'India nordoccidentale. Winston, che era da poco rientrato in Inghilterra dagli ozi di Bangalore, non ci pensò due volte: fece le valige e raggiunse il teatro degli scontri ottenendo un accredito come corrispondente del Daily Telegraph e del Pioneer. Le corrispondenze inviate dal teatro delle operazioni gli valsero la notorietà in patria e l'acquisto dei diritti da parte di un editore, che nel 1898 ne ricavò un libro di grande successo commerciale, The story of the Malakand Field Force. Curiosa immagine quella che si costruì Winston Churchill in quest'ultimo scorcio di XIX secolo. E anche un po' ambigua. Perché oltre ad essere un giornalista - o come diremmo oggi, un inviato speciale - faceva pur sempre parte dell'esercito di sua maestà e in questa veste partecipava agli scontri che poi descriveva ai suoi lettori, spesso concedendosi il lusso, o l'impertinenza, di criticare apertamente le tattiche dell'esercito inglese. Ma sotto la maschera di giovane ufficiale bellicoso e guerrafondaio, esaltato dal fascino crudele di una guerra condotta sempre nel nome della superiorità della civiltà inglese, si nascondeva una sfrenata ambizione di gloria e di medaglie ("mi piacerebbe tornare a casa e andare con le mie medaglie a una cena importante o a qualche cerimonia", scrisse a casa). Lo storico William Manchester, nella sua imponente biografia (Curchill l'ultimo leone, Frassinelli) così ha tratteggiato questa sua vera indole: "Chiamarlo cacciatore di pubblicità - altro epiteto che si poteva sentire nelle sale mensa - era un po' forte. Ma non del tutto falso. […] Non aveva nessun interesse alla carriera militare, e intendeva usare il servizio per dare una spinta alle sue prospettive nella vita pubblica". E la spinta più forte gli arrivò dalla partecipazione a due altri avvenimenti bellici che lo consacrarono definitivamente all'attenzione dell'opinione pubblica del suo Paese. Il primo punto caldo utile per la ricerca di un brandello di gloria era il Sudan, dove l'esercito anglo-egiziano era impegnato a riconquistare il controllo delle zone sotto controllo dei Dervisci. Churchill partecipò alla campagna e all'epica carica di cavalleria del 21° Lancieri nella battaglia di Omdurman, nel settembre 1898, che portò, a costo di gravissime perdite, alla vittoria sulle forze del califfo. Il risultato personale per il nostro giovane eroe fu una serie di ben pagate corrispondenze pubblicate dal Morning Post e un volume con il resoconto della campagna, dove con una certa saccenza lanciò critiche al comandante in capo Kitchener, soprattutto in merito ad alcuni crudeli episodi di torture e uccisioni dei prigionieri. Kitchener molti anni dopo avrà modo di vendicare questo affronto. A un anno da questa avventura Churchill approdò in Sudafrica, sempre come inviato del Morning Post, per raccontare in prima persona le fasi della guerra tra Inglesi e Boeri. Ormai famoso, ricco e un po' viziato (del suo bagaglio personale facevano parte una cinquantina di bottiglie di vino, una ventina di scotch e altrettante tra porto e vermouth), aveva rassegnato le sue dimissioni del Quarto Ussari per dedicarsi esclusivamente al giornalismo e alla politica. Ma il coraggio e la spavalderia erano quelle di sempre. Fu catturato dai Boeri durante un assalto al treno blindato su cui viaggiava al seguito delle truppe inglesi e, nonostante fosse stato colto con le armi in mano - lui che ufficialmente era un civile - scampò miracolosamente alla fucilazione. Internato a Pretoria con altri ufficiali inglesi riuscì a fuggire e a raggiungere rocambolescamente i territori portoghesi. Non pago, si fece assegnare la guida di un corpo di volontari con il quale partecipò alle ultime fasi della guerra e alla conquista di Pretoria. Il frutto di tante avventure frenetiche Churchill lo capitalizzò non solo in un ennesimo e fortunatissimo libro (Come sono sfuggito ai Boeri) ma in una candidatura alla Camera dei Comuni tra le fila Tory per le elezioni dell'autunno 1900. Non era la sua prima candidatura, in quanto già si era presentato, senza successo, l'anno precedente. Questa volta però non fallì. Non aveva ancora compiuto 26 anni quando fu eletto deputato. Il suo exploit ai Comuni destò subito scalpore. Il primo discorso si risolse infatti in una perorazione della causa dei Boeri, ormai vinti ma ancora vittime di uno stretto giro di vite repressivo da parte delle truppe britanniche. Dopo averli combattuti chiedeva per loro la giusta clemenza. "Ammiravo la tenace resistenza dei Boeri - affermò in seguito -, mi offendeva sentirli denigrare, e mi auguravo che dopo averli vinti riuscissimo a legarceli stabilmente concedendo loro una pace onorevole. Per me bruciare le loro fattorie per rappresaglia era un atto odioso e idiota". Un atteggiamento magnanimo che adotterà anche nei confronti degli avversari sconfitti nella prima e nella seconda guerra mondiale. In questa occasione c'era però anche una buona dose di fiuto nel cogliere i sentimenti dell'opinione pubblica, stanca dell'intervento militare. Lo stesso fiuto che lo portò in breve tempo a far sue le posizioni contestatarie un tempo assunte dal padre all'interno del partito conservatore. "Come Randolph - ha scritto Guido Gerosa in Pro e contro Churchill -, Winston si rivelò un dissidente nato. Il suo primo gesto, contrario a tutto il suo passato marziale, fu di ribellarsi contro i bilanci di guerra. […] Riprendeva cioè la polemica del padre che aveva dovuto dimettersi dalla carica di cancelliere dello Scacchiere proprio a causa della sua riluttanza ad aumentare le spese militari. Inoltre Winston era contrario al protezionismo di Joseph Chamberlain, che dettava legge nel partito. Era diventato un assertore del liberalismo economico e compiva frequenti giri nel Paese a propagandare il laisser faire, laisser passer". Fu così che da conservatore anomalo Churchill nel 1904 fece il classico salto della quaglia. Inviso al suo partito, alieno al rispetto della logica di schieramento e smanioso di nuove ribalte, passò tra le file dei liberali, i tradizionali avversari dei conservatori. "Voltagabbana" e "traditore" furono gli epiteti più riferibili che si levarono dai banchi dei suoi ex compagni di partito. La scelta certo fu sofferta, ma ancora una volta il fiuto lo aveva guidato. Erano finiti i tempi dell'Inghilterra vittoriana, tradizionalista e imperialista. Disse in quella occasione: "Alcuni cambiano partito in nome dei principi, altri cambiano principi in nome del partito". Lui scelse la fedeltà alle convinzioni liberoscambiste, non senza però tenere nella giusta considerazione il fatto che la bilancia del potere politico inglese si stava lentamente spostando verso le fila liberali. Nel nuovo schieramento andò ad accoglierlo a braccia aperte nientemeno che David Lloyd George, che lo prese a benvolere facendone uno dei suoi più stretti e affiatati collaboratori. Come compenso per la repentina conversione al partito liberale Churchill ottenne nel 1905 la carica di sottosegretario alle Colonie nel governo liberale Campbell-Bannerman, con la quale si distinse patrocinando la causa dell'indipendenza dei Boeri. La politica internazionale in quegli anni non offriva altro: le nubi che poco meno di dieci anni dopo avrebbero scatenato la tempesta della grande guerra non erano ancora all'orizzonte. Scrisse Churchill in seguito: "[le nazioni] erano ben sistemate e saldamente ancorate, sembrava, a un'immensa altalena. I due possenti sistemi europei [Entente Cordiale e Triplice Alleanza; n.d.r] stavano di fronte luccicanti e risuonanti nelle loro armature, ma con uno sguardo tranquillo. Una corretta, discreta, pacifica e nel complesso sincera diplomazia stendeva la sua rete di collegamenti su entrambi. Una frase in un dispaccio, l'osservazione di un ambasciatore, una sibillina affermazione in Parlamento erano sufficienti per mantenere l'equilibrio, giorno per giorno, di questa struttura prodigiosa". Bizzarro e imprevedibile, l'aristocratico Churchill diede anche una violenta sterzata a sinistra per quanto riguardava le sue convinzioni in politica interna. Appoggiò con tenacia la promulgazione di leggi per la creazione di un sistema pensionistico, assunse atteggiamenti populisti e invocò il riscatto delle masse con toni che, secondo lo storico Alan Moorehead (Churchill e il suo mondo, Peruzzo 1965), "non sfigurerebbero in bocca a un laburista dei giorni nostri". Nel 1908 fu fatto ministro del commercio del gabinetto liberale di Herbert Henry Asquit e, per quanto attiene la sua vita privata, prese in moglie Clementine Hozier, appartenente a una ricca famiglia scozzese. Lady Clementine, dalla quale avrà cinque figli, sarà l'unico amore di tutta la vita di un uomo peraltro poco soggetto ai richiami delle sensualità femminile. L'astro di Churchill brillava, nel bene e nel male, ormai su tutto il Paese. Un'inevitabile tappa sulla strada che sembrava doverlo condurre a velocità fulminante fino ai vertici dello stato, fu la carica di Ministro degli interni, ottenuta nel 1910. Ma Churchill aveva appena fatto in tempo a prendere le misure di questo nuovo incarico che già gli si profilavano nuovi sbocchi. Nel luglio 1911 il clima internazionale andò improvvisamente riscaldandosi con la crisi di Agadir, che mise in risalto le ambizioni colonialiste della Germania guglielmina e più in generale la volontà tedesca di rivedere gli equilibri di potenza in ambito internazionale. Di fronte allo spettro di un possibile confronto armato Churchill fu scelto per la carica di ministro della Marina. E con un compito ben specifico: mettere la flotta in "stato di immediata e costante preparazione alla guerra in caso di un attacco da parte della Germania". Curioso destino quello del neo ministro. Fino a pochi anni prima aveva predicato la riduzione delle spese militari ed ora si trovava a dover sfoggiare quella passione per le armi e per la guerra che tanto avevano caratterizzato la sua bellicosa gioventù. L'impresa non gli costò fatica, anzi. All'Ammiragliato diede prova oltre che di una straordinaria abilità organizzativa, anche di un grande intuito tecnico. Si batté infatti per modernizzare tutta la flotta, che in gran parte faceva ancora affidamento sulla propulsione a vapore, fece stipulare al governo un contratto con la Anglo-Persian Oil Company per garantire un efficace approvvigionamento di petrolio dal Golfo Persico, predispose la baia di Scapa Flow per accogliere la Home Fleet e fu uno dei primi sostenitori della nascente arma aerea in appoggio alle operazioni di terra e di mare. Quando il 4 agosto 1914 la Gran Bretagna entrò in guerra la flotta era in piena efficenza. Ma dato che le navi tedesche si sottraevano allo scontro l'irrefrenabile smania di Churchill dovette trovare qualche altro sbocco. Fu lui, nell'ottobre dello stesso anno, a organizzare, gestire e a guidare in prima persona un contingente britannico a difesa di Anversa accerchiata dalle truppe tedesche. Alla fine Anversa cadde lo stesso, ma lo slancio del nemico verso la Manica era stato interrotto. Fu subito dopo il suo rientro in patria dal continente che prese corpo in lui uno dei più arditi progetti strategici di tutta la prima guerra mondiale, e il cui fallimento ultimo peserà come un macigno sulla sua successiva carriera. Churchill si lamentava della teoria "diffusamente radicata tra i nostri ufficiali di Marina più anziani, quella che il lavoro della Marina sia di mantenere aperte le nostre comunicazioni e bloccare quelle del nemico, e attendere che gli eserciti portino a termine il loro compito". Occorreva invece uscire da questa impasse. C'era la possibilità di aprire un nuovo fronte nei Dardanelli: Attaccando gli stretti, controllati dai turchi e dall'alleato tedesco, si poteva ristabilire un contatto con la Russia, alleggerire la pressione sul suo fronte, confidare in un coinvolgimento della Grecia, della Bulgaria e della Romania, e riaprire al commercio marittimo tutto il Mar Nero. Alla fine Churchill riuscì a far approvare il suo piano, che prese il via nel febbraio 1915 con il cannoneggiamento navale degli stretti ad opera di una flotta anglo-francese. Mancò tuttavia il coordinamento tra la Marina e l'Esercito e lo sbarco del corpo di spedizione australiano e neozelandese a Gallipoli, in aprile, si risolse in un fallimento. Tra deficienze organizzative (di cui si rese responsabile lo stesso Churchill), invidie, rivalità e vecchi rancori (il ministro della guerra che negò un efficace supporto dell'esercito all'operazione era quel Kitchener che Churchill aveva criticato nelle sue corrispondenze dal Sudan nel 1898) la spedizione si concluse nel febbraio 1916 in una catastrofe: gli alleati lasciarono sul terreno migliaia di uomini e i turchi conservarono il controllo degli stretti. L'opinione pubblica voltò le spalle a Churchill, imputandogli le maggiori responsabilità del fallimento. Il Times scrisse che "i soldati britannici sono morti invano" e che qualcuno avrebbe dovuto farsene carico. Il Morning Post definì Churchill un soggetto da "melodramma" e un "megalomane". Asquith, il primo ministro, disse di lui che era "impulsivo e trascinato dal profluvio della sua lingua inarrestabile"; e ancora: "è un peccato che Winston non possieda un migliore senso delle proporzioni. Io sono davvero convinto sul suo conto, ma vedo il suo futuro molto incerto. Non credo che raggiungerà mai i massimi vertici della politica, nonostante i suoi meravigliosi doni". Umiliato, scaricato da tutti, Churchill fu costretto a dimettersi dall'Ammiragliato. La previsione di Asquith sembrò avverarsi lentamente negli anni successivi. Nel 1917 gli fu affidato ancora un incarico di un certo prestigio, il ministero delle munizioni, nel 1918 il ministero della guerra, e poi ancora il ministero delle colonie e nel 1924 la carica di cancelliere dello scacchiere in un governo conservatore. Nel 1929 i conservatori uscirono sconfitti dalle elezioni. Anche Churchill uscì di scena, inviso non solo ai liberali, ma anche a conservatori e laburisti, con ognuno dei quali, nella sua lunga carriera aveva avuto modo di scontrarsi. Decise di dedicarsi al giornalismo, alla scrittura delle sue memorie di guerra e alla pittura. Aveva allora 55 anni. L'apprendistato era ormai finito da un pezzo. Ci sarebbe voluto Hitler per dare una nuova vita e una nuova giovinezza al vecchio leone.

 

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REPUBBLICHE BALTICHE

 

 

Termine con cui vengono definite le Repubbliche indipendenti di Estonia, Lituania e Lettonia, situate sulla costa orientale del mar Baltico. Annesse alla Russia nel corso del XVIII secolo, si costituirono in stati indipendenti nel 1918 all'indomani della prima guerra mondiale, per essere poi incorporate nell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS) nel 1940, durante la seconda guerra mondiale. Occupate dalla Germania nazista nel 1941, furono riconquistate dall'URSS tre anni dopo e ne fecero parte sino al 1991, quando ottennero l'indipendenza dopo il crollo del regime sovietico.

 

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UCRAINA

 

 

In seguito all'estensione del controllo sovietico sulla Polonia orientale previsto nel patto Molotov-Ribbentrop, nel 1939 la Galizia polacca fu incorporata nella repubblica federata di Ucraina.
Nel 1941, in piena seconda guerra mondiale, i nazionalisti ucraini, confidando nella possibilità di costituire una repubblica autonoma sotto la protezione della Germania, accolsero favorevolmente l'occupazione tedesca. Nel 1944 l'Ucraina ripassò sotto il controllo delle forze sovietiche, che attuarono una feroce repressione nei confronti della popolazione, accusata di collaborazionismo con i nazisti. Dopo la fine del conflitto, alcune zone della Bessarabia e della Bucovina settentrionale rumena furono incorporate al territorio ucraino, con l'aggiunta (1945) della regione rutena della Cecoslovacchia e, nel 1954, della regione della Crimea.

 

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RUSSIA

 

 

Impegnato in una guerra di confine con il Giappone e temendo un'invasione tedesca a ovest, nel 1939 il governo sovietico, che in precedenza aveva inutilmente tentato di avviare una comune politica in funzione antitedesca con Francia e Inghilterra, aprì negoziati segreti per un accordo con la Germania, proseguendo tuttavia anche i colloqui, già avviati, con Francia e Inghilterra. Nell'agosto 1939 venne annunciata la stipulazione di un patto di non aggressione tedesco-sovietico (patto Molotov-Ribbentrop), che in una clausola segreta prevedeva la spartizione della Polonia a vantaggio dell'URSS e la creazione di sfere d'influenza in Europa orientale per la Germania.

Il 1° settembre la Germania invase la Polonia e le immediate dichiarazioni di guerra di Inghilterra e Francia scatenarono la seconda guerra mondiale. Due settimane dopo, l'Armata Rossa attraversò la frontiera polacca, occupò la Polonia orientale e avviò la sovietizzazione delle aree occupate. Il 29 settembre i governi tedesco e sovietico firmarono un trattato che delimitava le rispettive sfere d'influenza. Il patto con Hitler siglò l'apertura di un nuovo indirizzo nella politica estera sovietica, caratterizzata da una fase di espansionismo e di annessioni.

Nell'autunno del 1939 il governo sovietico chiese alla Finlandia la cessione del territorio a nord-est di Leningrado e il permesso di stabilire una base navale sulla costa finlandese. Il rifiuto del governo di Helsinki portò alla guerra finnico-sovietica, che iniziò con l'invasione della Finlandia da parte dell'URSS il 30 novembre 1939. Dopo un'inutile resistenza, i finlandesi vennero sconfitti e la guerra terminò il 12 marzo 1940: in base ai termini del trattato di pace, l'URSS acquisì i territori della Carelia e il porto di Viborg.

Nell'estate 1940 l'Armata Rossa occupò l'Estonia, la Lettonia e la Lituania, istituendovi governi fantoccio; in un secondo tempo i tre stati furono annessi all'Unione in qualità di repubbliche. Simultaneamente l'URSS si rivolse ai Balcani, richiedendo alla Romania la cessione della Bessarabia e della Bucovina settentrionale. Verso la metà del 1940 la Romania acconsentì e i territori entrarono a far parte della repubblica sovietica di Moldavia. Nell'autunno del 1940 i tedeschi stabilirono un governo fantoccio in Romania a garanzia della frontiera russo-rumena.

Il 22 giugno 1941 la Germania invase l'Unione Sovietica. Italia, Romania, Finlandia, Ungheria e Albania dichiararono guerra all'URSS, provocando l'intervento di Gran Bretagna e Stati Uniti a fianco dell'Unione Sovietica. Nel gennaio del 1942, quattro mesi dopo aver siglato la Carta Atlantica, il governo sovietico e altri venticinque governi alleati unirono i propri sforzi per combattere le potenze dell'Asse.

Le potenze dell'Asse sferrarono l'attacco all'URSS dal Mar Glaciale Artico e dal Mar Nero. Nell'estate del 1941 le forze tedesche oltrepassarono i confini sovietici, colpendo Leningrado (l'odierna San Pietroburgo), Mosca e l'Ucraina e riportando alcune vittorie anche sul versante meridionale, ma vennero infine fermate e sconfitte nella battaglia di Stalingrado (agosto 1942 - gennaio 1943). Tra la primavera e l'estate del 1944 gli Stati baltici e l'Ucraina furono liberati. Dopo aver conseguito altre importanti vittorie in Polonia e in Romania, il 22 aprile 1945 l'Armata Rossa raggiunse la periferia di Berlino e tre giorni più tardi le truppe sovietiche e quelle statunitensi si incontrarono sul fiume Elba. La guerra terminò in Europa l'8 maggio.

Tre mesi dopo l'URSS dichiarò guerra al Giappone. Le armate sovietiche occuparono gran parte della Manciuria, la Corea del Nord, le isole Curili e la parte meridionale dell'isola di Sahalin.

 

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CINA

 

 

Nel 1937 la penetrazione giapponese in Cina sfociò in una vera e propria guerra. Entro il 1938 il Giappone aveva invaso la maggior parte della Cina nordorientale, la valle del Chiang Jiang fino ad Hankou, e il territorio di Canton, sulla costa sudorientale. Il Guomindang spostò la capitale e gran parte dell'esercito nell'entroterra, nella provincia sudoccidentale di Sichuan. Durante la seconda guerra mondiale i comunisti, dalla base di Yan'an, occuparono gran parte del territorio della Cina del Nord infiltrandosi in molte zone rurali a ridosso delle linee giapponesi. Riuscirono poi a conquistarsi l'appoggio dei contadini locali, consolidando le basi del Partito e dell'Armata Rossa e aumentandone sensibilmente le fila.

 

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GIAPPONE

 

 

Nel 1926 Hirohito, figlio di Taisho, salì al trono imperiale, scegliendo per il suo regno la denominazione Showa ("pace illuminata"); quando Tanaka Giichi divenne primo ministro nel 1927, egli dichiarò tuttavia la ripresa della politica aggressiva verso la Cina. La ragione fondamentale di questo mutamento politico era nella necessità di nuovi mercati, conseguenza dell'aumento della produzione industriale giapponese. L'espansione veniva inoltre giustificata con la necessità di nuovi spazi per la popolazione giapponese, raddoppiata dal 1868 e impoverita dalla crisi del 1929 che aveva portato, fra l'altro, al crollo del mercato della seta.
Nei tardi anni Venti il Giappone finì per dominare l'amministrazione e l'economia della Manciuria, provocando la reazione della Cina. Il 18 settembre 1931, nel Guangdong, l'esercito giapponese, adducendo come pretesto un sabotaggio da parte della Cina alla ferrovia nipponica della Manciuria meridionale, occupò gli arsenali di Shenyang (Mukden), obbligando le truppe cinesi a ritirarsi dalla zona, ed estese il controllo su tutta la Manciuria, dove fu istituito lo stato fantoccio del Manciukuo.
L'episodio diede luogo a un'inchiesta condotta da una commissione della Società delle Nazioni, autorizzata in base al patto Briand-Kellogg. Nel 1933, alla richiesta di cessare le ostilità in Cina, il Giappone rispose annunciando l'abbandono della Società delle Nazioni (1935). Nel nord della Manciuria l'esercito riuscì ad annettere la provincia di Chengde (Jehol) e minacciò di occupare le città di Pechino e Tianjin. Nel maggio del 1933, la Cina fu costretta a riconoscere la conquista giapponese e a firmare una tregua.
L'azione marcatamente autonoma dell'esercito era indicativa del potere politico dei militari. Nel 1936 l'impero sottoscrisse un accordo anticomunista con la Germania, seguito un anno dopo da un patto analogo con l'Italia.
Il 7 luglio del 1937 un incidente militare nei pressi di Pechino portò a una nuova guerra sino-giapponese, mai formalmente dichiarata. Entro la fine del 1937, la marina nipponica pose un blocco lungo quasi tutta la linea costiera cinese. Dopo che per tutto il 1937 e il 1938 l'esercito giapponese era avanzato nella Cina orientale e meridionale, alla fine del 1938 la guerra raggiunse una fase di stallo.
L'inizio della seconda guerra mondiale in Europa, nel settembre del 1939, offrì al Giappone nuove opportunità di espansione nel Sud-Est asiatico. L'invasione dell'Indocina francese suscitò l'ostilità degli Stati Uniti, che posero l'embargo sul Giappone. Nel settembre del 1940 l'impero stipulò un'alleanza tripartita con la Germania e l'Italia (l'asse Roma-Berlino). Esattamente un anno dopo firmò un patto di neutralità con l'URSS, proteggendo in tal modo il confine settentrionale della Manciuria.
Il 7 dicembre del 1941, mentre erano ancora in corso negoziati diplomatici tra Stati Uniti e Giappone, quest'ultimo sferrò senza preavviso un attacco aereo contro Pearl Harbor (Hawaii), la principale base navale americana nel Pacifico. Gli Stati Uniti, insieme alle altre potenze alleate eccetto l'Unione Sovietica, dichiararono allora guerra al Giappone.
Mentre l'esercito nipponico sferrava attacchi e occupava un numero sempre maggiore di territori nel Sud-Est asiatico, il conflitto fra statunitensi e giapponesi diventò una guerra navale per il controllo del Pacifico. Nel 1942 la flotta giapponese subì due sconfitte da parte degli Alleati nella battaglia del mar dei Coralli e nella battaglia delle Midway. I territori conquistati dal Giappone furono ripresi uno a uno dagli statunitensi, che nel 1944 diedero inizio a una serie di bombardamenti sul territorio nipponico, conquistando all'inizio del 1945 la base aerea di Iwo Jima. Gli attacchi aerei culminarono, il 6 agosto del 1945, nel lancio della prima bomba atomica sulla città di Hiroshima. Due giorni dopo, anche l'Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone, e il 9 agosto una seconda bomba atomica venne lanciata su Nagasaki. Alla conferenza di Potsdam le potenze alleate avevano convenuto di accettare dal governo giapponese unicamente una resa incondizionata. Il 14 agosto il Giappone accettò le condizioni degli Alleati e il 2 settembre firmò la resa formale.
La Mongolia interna, la Manciuria, Taiwan e Hainan furono restituite alla Cina. L'Unione Sovietica, a titolo di occupazione, mantenne le isole Curili e Karafuto (che tornò a chiamarsi Sakhalin), oltre ad alcuni territori della Mongolia. Port Arthur e la ferrovia della Manciuria Meridionale furono posti sotto il controllo congiunto dell'URSS e della Cina. Tutte le isole che il Giappone deteneva a titolo di mandati nel Pacifico meridionale vennero occupate dagli Stati Uniti in amministrazione fiduciaria per conto dell'ONU.
Alcuni comandanti giapponesi vennero processati per crimini di guerra da un tribunale di undici nazioni, che si riunì a Tokyo fra il 3 maggio 1946 e il 12 novembre 1948.

 

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Imperatore Hiroito


Nato a Tokyo nel 1901,Hirohito, fu imperatore del Giappone dal 1926al 1989,data della sua morte. Nel 1921 visitò l'Europa: fu infatti il primo principe giapponese ad allontanarsi dal territorio nazionale. Al rientro in patria, fu nominato reggente (1921-1926)a causa della malattia del padre. Salito al trono il 25 dicembre 1926, chiamò il suo regno Showatenno ("era della brillante armonia"). Si sposò nel 1924 e nel 1933 ebbe il primo figlio maschio, Akihito, che poi gli succedette. Nei primi diciannove anni di regno, Hirohito lasciò il governo nelle mani di una élite militare, la cui politica espansionistica portò allo scoppio della guerra con la Cina (1937-1945), e in seguito all'alleanza militare con le potenze dell'Asse (1940), che coinvolse il Giappone nella seconda guerra mondiale. La prima vera iniziativa politica presa dall'imperatore fu nell'agosto 1945, quando chiese personalmente al governo di accettare la dichiarazione di Potsdam per la resa incondizionata del Giappone. Il 14 agosto 1945 (secondo il calendario giapponese), parlando alla radio, si rivolse per la prima volta alla popolazione e comunicò la resa incondizionata agli Alleati del propio paese. Hirohito collaborò con le forze nemiche di occupazione, trasformando il paese in una nazione democratica. Il 1° gennaio 1946 negò pubblicamente il carattere divino della propria autorità e l'anno dopo promulgò la nuova Costituzione, che istituiva una monarchia costituzionale. Il suo ruolo veniva così limitato a funzioni quasi esclusivamente cerimoniali, ma si impegnò a fondo per restaurare il prestigio della casa imperiale,ormai compromesso dall'alleanza con i militari. Sebbene fosse indirettamente coinvolto nei piani di guerra giapponesi, gli Alleati si accordarono per non citarlo in giudizio durante i processi per crimini di guerra del 1946-1948, limitandosi a processare il generale Tojo Hideki, che all'epoca della guerra era primo ministro e che fu condannato a morte. In seguito Hirohito e la moglie intensificarono i contatti con la popolazione giapponese e nel decennio tra il 1970 e il 1980 la coppia imperiale viaggiò in Europa occidentale e negli Stati Uniti effettuando visite diplomatiche all'insegna dell'amicizia e della riconciliazione.

 

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USA

 

 

In politica estera gli Stati Uniti, pur vigilando sulle proprie aree d'influenza, avevano ripreso posizioni isolazioniste che le leggi di neutralità del 1935-1937 ribadirono. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Roosevelt e il suo segretario di stato Cordell Hunt si impegnarono per convincere Congresso e opinione pubblica della necessità di fornire aiuti agli stati aggrediti da Adolf Hitler. Dopo la terza elezione a presidente, Roosevelt rinsaldò i legami con le democrazie occidentali firmando con Winston Churchill la Carta Atlantica, che riaffermava alcuni principi del programma di Wilson (autodeterminazione dei popoli, collaborazione pacifica, ricerca della pace tramite organismi internazionali) e che sarebbe divenuta di lì a poco la piattaforma politica dell'ingresso in guerra degli Stati Uniti.

Questa decisione fu adottata l'8 dicembre 1941, il giorno dopo l'attacco sferrato dai giapponesi alla base americana di Pearl Harbor, nelle Hawaii: la dichiarazione di guerra al Giappone fece scattare il meccanismo delle alleanze internazionali, per cui Germania e Italia dichiararono guerra agli Stati Uniti (11 dicembre). Il grande sforzo bellico permise agli Stati Uniti di superare lo svantaggio che inizialmente avevano con il Giappone e di inserirsi nel fronte europeo e africano con un contributo decisivo di uomini e di mezzi. Alle operazioni di guerra si correlò un'intensa attività diplomatica, condotta da Roosevelt di concerto con Churchill (ma talvolta con dissensi anche profondi da parte del primo ministro inglese), e sfociata nelle Conferenze del Cairo, di Teheran e di Jalta, che ebbero effetti risolutivi sia per le sorti della guerra sia per la sistemazione geopolitica del dopoguerra.

 

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FRANKLIN DELANO ROOSEVELT


Franklin Delano Roosevelt nacque ad Hyde Park, New York, il 30 gennaio 1882 da un'antica famiglia con lontane origini olandesi. Si laureò in legge alla Groton School e ad Harvard. A soli ventotto anni il giovane avvocato riuscì ad entrare nella vita politica, facendosi eleggere, per il partito democratico, Senatore dello Stato di New York. Nel 1920 fu sottosegretario di Stato alla marina con il Presidente Wilson, poi si candidò, sempre con i democratici, alla vicepresidenza. Purtroppo l'anno seguente fu colpito da un grave attacco di poliomielite, che lo privò per sempre dell'uso delle gambe e che gli stroncò l'ascesa politica. Dopo nove anni, con un enorme sforzo di coraggio e con l'aiuto ed il sostegno della moglie, l'ambiziosa Eleanor, riuscì a riprendersi e fu eletto governatore dello Stato di New York. Nel 1932 si candidò, per il partito democratico, alla presidenza e, l'8 novembre, vinse le elezioni. Roosevelt ottenne 22.821.857 voti ed i suffragi di 472 grandi elettori, il presidente uscente Hoover ebbe solo 15.016.43 voti e 59 grandi elettori. Il neo - Presidente ottenne la maggioranza in 42 Stati su 48. Il candidato socialista N. Thomas raccolse 824.781 voti ed il candidato comunista W. Zebulon Foster solo 102.000 voti. In quel momento L'America versava in una grave crisi economica e sociale che aveva provocato un collasso dell'apparato produttivo. Ma il presidente neo - eletto, che collaborava già da tempo con uno staff di esperti, che i giornalisti avevano definito "Brain - Trust", non scoprì le sue carte prima di essersi insediato stabilmente alla Casa Bianca. Prima rifiutò di concertarsi con Hoover, poi rischiò di non ricoprire mai il mandato. Infatti, il 15 febbraio 1933 a Miami, nello Stato della Florida, un comunista italiano, Giuseppe Zangara, già residente da tempo negli Stati Uniti, sparò sette colpi di pistola su Roosevelt. Il presidente, che stava rientrando da una crociera alle isole Bahamas sullo yacht del suo amico V. Astor, uscì incolume dall'attentato, ma il sindaco di Chicago, Anton Cermak, che era seduto al suo fianco, fu ferito molto gravemente e morì il 6 marzo seguente. L'assassino fu subito arrestato, fu condannato alla sedia elettrica e venne giustiziato il 20 marzo dello stesso anno in una prigione dello Stato della Florida. Questo episodio fu considerato dagli americani di buon auspicio: diversamente da Lincoln, da Garfield e da McKiley, il presidente, come il suo lontano parente Theodore Roosevelt, era sfuggito alla morte in un attentato. Sabato 4 marzo 1933 Roosevelt, indicato dai giornalisti con le sole iniziali F D R, prestò solenne giuramento sulla Bibbia di famiglia; alla cerimonia dell'insediamento presidenziale a Washington erano presenti più di centomila persone nonostante il vento glaciale e la minaccia di un'imminente nevicata. La produzione agricola ed industriale era paralizzata da una crisi di sovrapproduzione e la disoccupazione cresceva in misura allarmante: più di 13 milioni di disoccupati, di cui 1 milione solo a New York, 350.000 ragazzi americani avevano abbandonato la scuola e 20.000 laureati erano alla vana ricerca di un lavoro. Enormi profitti industriali erano concentrati nelle mani di una ristretta cerchia di persone, la gran massa dei consumatori aveva, invece, redditi modesti e quindi un potere d'acquisto che non poteva reggere il ritmo produttivo; la sfrenata speculazione finanziaria aveva distolto la Borsa dalla sua normale funzione equilibratrice, l'amministrazione repubblicana, seguendo fedelmente il principio del non intervento dello Stato nelle questioni economico - sociali, non aveva cercato alcun rimedio per la crisi. Il 6 marzo 1933 Roosevelt convocò il Congresso in una sessione straordinaria e, facendo riferimento ad una legge del 1917, decise la chiusura di tutte le banche per quattro giorni, pose l'embargo sull'oro e sull'argento e sospese la convertibilità del dollaro. Queste decisioni non mancarono di stupire il mondo intero, ma tutti gli americani approvarono la decisione del Congresso che aveva accordato al presidente pieni poteri. "F.D.R." ordinò l'emissione di 2 miliardi di dollari, sospese le transazioni sull'oro e proibì ai privati di possederne, con minacce di sanzioni molto gravi. L'effetto psicologico fu notevole, convalidato ancor più dalla cosiddetta conversazione "accanto al caminetto" alla quale, tramite la radio, convocò tutti i cittadini americani la domenica del 12 marzo: per la prima volta un presidente degli Stati Uniti entrava personalmente nelle case di tutti, chiamandoli "Miei cari amici…" e continuò dicendo "…La civiltà è un albero vecchio: man mano che cresce aumentano i rami marci. I Radicali dicono abbattiamolo, i Conservatori dicono non tocchiamolo, noi Liberali cerchiamo il mezzo per salvare il tronco vecchio ed i rami giovani". Poco tempo dopo il Congresso seguì le direttive del Presidente: ridusse del 15% gli stipendi e le pensioni, inviò 250.000 giovani disoccupati a lavorare al rimboschimento delle foreste per 30 dollari al mese. Anche Wall Street reagì positivamente alle direttive presidenziali: quando le banche riaprirono, i corsi risalirono del 15 % in una sola volta, chi possedeva oro lo cambiava con azioni e obbligazioni. L'Agriculture Adjustement Act (AAA) risolse la crisi di sovrapproduzione agricola, stabilendo premi ed indennità per gli agricoltori che avessero ridotto l'area coltivata. Un’altra ratifica del Congresso definì la fine del "Proibizionismo": ormai si poteva fabbricare (e consumare) birra con il 3,2 % di alcol. Il 7 aprile alcune casse piene di birra vennero trasportate da Milwaukee a Washington, poi un camion, decorato con i colori dell’Unione, le aveva trasportate fino alla Casa Bianca con un cartello "Signor Presidente, la prima birra è per Lei!". Eleanor Roosvelt, fermamente proibizionista, fece trasferire le casse al "Press Club", ben conoscendo i gusti dei giornalisti. Nel 1935 Roosevelt riprese la politica di difesa delle classi lavoratrici, con il Nacional Labor Relation Act, più conosciuto come "Legge Wagner" che stabiliva le libertà sindacali, e con il Fair Labor Standard Act (1938), diretto a proporre un termine alle ore di lavoro (40 settimanali) ed un limite per i salari. Istituì anche la Tennessee Valley Authority, volta allo sfruttamento idroelettrico di uno dei più grandi bacini degli Stati Uniti, che rendeva il Paese un formidabile concorrente dell’industria privata. Il 4 novembre 1936 F.D. Roosevelt fu rieletto presidente degli USA con una maggioranza del 60,8 % dei voti: raccolse 27.752.869 suffragi popolari ed i voti di 523 grandi elettori di Stato, mentre il repubblicano A. M. Landon otteneva solo 16.674.665 milioni di voti e 8 grandi elettori. L’alta finanza fu continuamente ostile al Presidente, incapace di comprendere che cercava di razionalizzare il sistema capitalistico. Con il suo piano di riforme Roosevelt riuscì a realizzare un assestamento economico sociale, ma fu, invece, meno efficace l’opera risollevamento della produzione, come provano i dati, sempre molto elevati, della disoccupazione. Per quanto riguarda la politica estera Roosevelt mantenne fino al 1937 un atteggiamento di stretta neutralità; ma quando si rese conto che l’assenza degli Stati Uniti dalla politica mondiale favoriva, in Europa, l’ascesa del nazifascismo ed in Oriente dell’imperialismo giapponese, decise di intervenire. A Chicago pronunciò il "Discorso della quarantena", nell’ottobre del 1937, denunziando al popolo americano la minaccia del fascismo e, da quel momento, adottò un atteggiamento di fermezza verso le potenze totalitarie. Nel 1940 Roosevelt fu eletto per la terza volta, fatto unico nella storia dell'Unione, ottenne dal Congresso l'abolizione della legislazione neutralista; mentre preparava la sua politica per l'entrata in guerra, concedeva all'Inghilterra e ad i suoi alleati ogni sorta di aiuti. L'attacco nipponico alla base americana di Pearl Harbour, nell'Oceano Pacifico, segnò ufficialmente l'entrata in guerra degli Stati Uniti; anche in questo caso Roosevelt prese in mano la situazione con la solita grinta: operò in stretto contatto con il Primo Ministro inglese W. Churchill, con il quale, nell'agosto del 1941, aveva fissato i principi del nuovo ordine nella "Carta Atlantica". Cercò anche una collaborazione con l'altro grande alleato l'URSS, intervenendo negli storici convegni dei "Tre Grandi", che si svolsero a Casablanca, a Quebec, ad Il Cairo, a Teheran e a Jalta, durante i quali si distinse come il grande nemico della minaccia nazista. Questa però fu l'ultima delle sue titaniche battaglie, non poté mai vederne l'esito ed il successo: morì a 63 anni, il 12 aprile 1945 poco dopo aver assunto la carica presidenziale per la quarta volta.

 

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