Le lave emettono molto fumo,
specialmente quando cominciano a raffreddarsi; ciò accade, ad esempio, quando
giungono sulle sponde dei torrenti di lave da esse stesse formati.
Il fumo emesso è costituito da
vapore acqueo, cloruri alcalini, tra cui principalmente il cloruro di sodio.
Dopo un progressivo
rallentamento, la lava si ferma, e il fumo emesso proviene da un centro ben
preciso del mucchio così formato.
In questo centro si vede ancora
la lava incandescente, specie di notte.
Il fumo che fuoriesce attraversa
le cosiddette fumarole delle lave (Covelli le chiama fummajoli).
Le fumarole sono quindi
costituite da comunicazioni fra la parte interna della lava, ancora fluida, e
quella esterna, già indurita; da queste aperture escono emanazioni (il fumo),
inizialmente neutre, ossia né acide, né alcaline.
L’attività delle fumarole dipende
dallo spessore della lava; quelle formatesi su grandi masse di lava possono
durare mesi ed anche anni.
Ma, dopo un certo tempo, le fumarole
sono spente, ossia non producono più emanazioni visibili, e tuttavia conservano
una temperatura superiore a quella della lava sovrastante.
Dopo un certo tempo le emanazioni
delle fumarole da neutre divengono acide; il primo acido che si palesa insieme
col fumo è l’acido cloridrico; in seguito, se la fumarola mantiene la sua
attività, appare anche l’acido solforoso e dopo anche l’idrogeno solforoso.
Nella prima fase di emanazione,
ossia nella fase delle emanazioni neutre, intorno all’orlo delle fumarole si
formano delle sublimazioni bianche o anche nere: il bianco è
generalmente sale comune, il nero ossido di rame; qualche volta le sublimazioni
sono costituite anche di sale ammoniaco.
Nella fase in cui le emanazioni
delle fumarole sono acide, soprattutto nelle grandi lave, le emanazioni stesse
si colorano di giallo per la presenza di sesquicloruro di ferro, o, nelle lave
di piccola quantità, in giallo non deliquescente, costituito da cloruro di
piombo o di rame; altre volte le sublimazioni sono di colore verde.
La presenza dell’acido solforoso
trasforma una parte dei cloruri in solfiti e solfati.
Da alcune indagini, compiute da
altri scienziati e dal Palmieri stesso, risulta che tra i componenti delle
sublimazioni sono presenti anche il tallio, il litio, l’acido borico e il
cloruro di calcio quasi sempre unito al sesquicloruro di ferro; nelle
sublimazioni del 1872, al Vesuvio, era presente anche il solfuro d’arsenicoa) Fumo.
Il fumo viene emesso dalle
fumarole, ma anche dalle bocche di eruzioni, e, quest’ultimo, non è differente
dal precedente; anche questo fumo nel periodo di massima attività è neutro,
ossia né acido né alcalino; successivamente diventa acido.
Palmieri ne ha avuto esperienza
diretta durante la notte tra il 26 e il 27 aprile 1872, perché era presso
l’Osservatorio circondato dalle lave, sotto una pioggia di scorie, ma senza
eccessivi inconvenienti, perché in quelle lave non erano ancora presenti gli
acidi dannosi alla respirazione.
Insieme al fumo dopo questa prima
fase neutra, si presentano gli acidi, come abbiamo già visto per le fumarole.
In altre
parole, una bocca di eruzione si comporta come una grande fumarola.
Se in
queste circostanze piove, allora le acque che cadono si arricchiscono di acidi
e danneggiano gravemente le piante circostanti.
Mofete.
Le mofete sono sorgenti di
anidride carbonica (detto anche acido carbonico), irrespirabile, capace di
produrre l’asfissia e anche la morte negli animali e nell’uomo.
Presso il Vesuvio hanno durata
limitata e si trovano al termine delle eruzioni.
Talvolta si formano nelle chiese
delle zone interessate alle eruzioni vulcaniche, come quelle che si formarono
nelle chiese di S. Maria a Pugliano di Resina e a S. Maria del Principio di
Torre del Greco.
Ai campi Flegrei di Napoli, si
trovano nella nota Grotta del cane, detta così perché l’anidride
carbonica non colpisce l’uomo per la sua maggiore altezza, ma il cane che è più
basso; questa ha durata illimitata, anche se non è costante la quantità
di gas emanati.Gli studiosi Monticelli e Covelli trovarono l’acido
carbonico nel cratere vesuviano; Palmieri lo trovò nelle più deboli fumarole
del Vesuvio, ma anche nel profondo cratere della famosa eruzione vesuviana del
1872.