ALLICU E IL DIAVOLO   

      

Allicu, dopo una lunga e dura giornata di lavoro, percorreva quello stretto sentiero, che attraverso la buia foresta di Mont’arrubiu, lo riportava ogni sera a casa, dove lo attendeva per cena la moglie Maddalena. I suoi pensieri volavano verso piatti ricchi di arrosti e di dolci, ma tutto del suo aspetto faceva pensare a ben altro. Magro e basso, si dondolava su quelle scarpe logorate non solo dal tempo; il peso di una zappa consumata dalle zolle dure del piano di Cabanu, che lo opprimeva, presto lo richiamò alla realtà di tutti i giorni.

<<Davvero la vita è troppo dura!>> pensava Allicu <<Povero come sono… tutti i giorni a Mont’arrubiu a zappare dalla mattina alla sera, morto di fame e di fatica! E più di una volta dover andare a letto presto, per ingannare lo stomaco vuoto>>.

Ma ciò che in quel momento preoccupava di più Allicu non era il suo presente, bensì quello che lo aspettava domani, perché di lì a poco sarebbe nato il suo primo figlio. Quel figlio atteso da troppi anni… ma anche una bocca in più da sfamare!

Era ormai qualche minuto che si era lasciato alle spalle gli ultimi alberi del bosco, che tutti i giorni percorreva ed aveva iniziato a salire verso la collina, che lo separava dal paese. Era sfinito, ma la fame si dimostrò più forte della salita e lo costrinse ad accelerare il passo. In un attimo si ritrovò in cima e da lì poté vedere le prime case del paese e poi l’intero abitato. Fra tutte quelle abitazioni, il suo sguardo si posò sulla più misera, anche se a lui appariva in qualche modo abbellita dalla presenza di un melograno e di un limone.

Ecco allora tornargli alla mente quel pensiero, che da qualche giorno lo tormentava: il figlio… il figlio in cambio di un futuro più sicuro. Tornava a galla quel suo egoismo, che credeva di avere dimenticato quando aveva deciso di mettere al mondo quella creatura… o forse anche quella decisione era stata frutto di egoismo?

Ad un tratto un vento improvviso lo sorprese immerso in questi pensieri e fu allora che si ricordò della sete, che lo tormentava sempre di più. Era comunque vicino alla fonte di sa stiddiosa e gli bastò allungare il passo per qualche minuto, per ritrovarsi accanto alla sorgente. I suoi pensieri si oscuravano, le foglie secche furono spazzate via da improvvisi mulinelli, aveva addosso una strana sensazione, come se qualcuno lo stesse osservando.

Quasi tentoni riuscì a portarsi alle labbra un po’ di quell’acqua, subito si sentì ristorato e liberato da quel senso d’oppressione che lo attanagliava. Alla terza boccata d’acqua, qualcosa, che somigliava molto ad un’ombra, si rispecchiò sul fondo della pozzanghera, che si era formata ai piedi della sorgente, ma fu solo un attimo.

Il suo sguardo di scatto si rivolse all’indietro, ma non vide nessuno. Pensò che la stanchezza gli stava giocando un brutto scherzo, ma ecco nuovamente quell’ombra riapparire e fu allora che, girandosi piano piano, vide quel cavallo e poi, risalendo lentamente con lo sguardo, il cavaliere gli apparve in tutta la sua grandezza. Alto, su un cavallo nero come la notte, coi forti muscoli bene in risalto, coperto da una corazza d’argento, in mano uno scudo, nell’altra la lancia… e quella spada che spuntava dal fodero con il suo manico d’oro. Tutto nell’aspetto appariva minaccioso, compresi quegli occhi di ghiaccio. Allicu mai si sarebbe immaginato un incontro simile e facendo forza contro se stesso riuscì a trovare le parole giuste, proprio le più adatte a scacciare quella dannata paura che lo bloccava. <<Ditemi, signore>> riuscì a sussurrare Allicu, <<da dove venite, e qual è il vostro nome?>>.

Una voce che non ti aspetti, gentile e piena di simpatia gli rispose: <<Io vengo da lontano, da terre che si trovano a molte giornate di cammino, nella direzione del punto in cui sorge il sole e il mio nome è Lucifero. E lei, signore, come si chiama… e come mai porta addosso tutti quegli stracci e cosa ne fa di quella zappa, che serve solo a grattare la terra?>>.

<<Il mio nome>> rispose il contadino, <<è Rafaele, ma tutti mi chiamano Allicu e sono un povero contadino, che dal mattino alla sera si spezza la schiena in cambio di due fave e tre ceci, da mangiare per cena. Meno male che mia moglie riesce a cucinare quasi il nulla! D’ora in poi sarà sempre peggio, perché non sappiamo come potremo andare avanti, se penso a quel figlio, che sta per arrivare… a quella terza bocca da sfamare>>.

Le parole che uscirono dalle labbra del cavaliere, riuscirono a tirargli un po’ su il morale. <<Io invece sono molto ricco>> quasi urlò il cavaliere, <<ho terre, castelli, cibo e vestiti, ma una cosa non ho e non la potrò mai avere… un figlio, perché mia moglie è sterile e nell’attesa si sta consumando!>>.

Allicu e il nuovo amico proseguirono assieme lungo il sentiero che portava al paese, senza dire nient’altro. All’improvviso il cavaliere fu come fulminato dall’idea che gli esplose in testa, perché disse: <<Allicu, facciamo un patto. Io ti darò pane, companatico e quanto potrà servirti a farti trascorrere un futuro non di miseria. In cambio tu mi darai quel figlio che sta per nascere!>>.

Fu allora che Allicu si ricordò di quel pensiero che da qualche tempo gli frullava in testa, ci pensò solo un attimo, poi tese la mano al cavaliere, quasi a firmare l’accordo.

Quella sera il contadino non fu accolto dai soliti sorrisi di scherno, che tutti i suoi concittadini gli rivolgevano quando passava, ma da sguardi stupiti per quella bisaccia carica d’ogni ben di Dio, che gli pendeva tra le spalle ed il petto. Una bambina lo seguì quasi fin dentro casa e sbirciò quel tanto, che bastò a vedere e sentire quanto lì accadde e fu detto.

Così carico si presentò a Maddalena e, preso da entusiasmo, le disse: <<Guarda quante cose un giovane generoso mi ha dato>>.

La moglie, donna saggia e dal cuore dubbioso, non si fece conquistare dalla frenesia che vedeva cucita addosso al marito e gli rispose: <<Ma sei proprio convinto che sia cibo sicuro, Allicu?>>.

Addentando con foga la prima pagnotta che gli capitò a tiro, Allicu tentò di convincere la moglie a partecipare a quel banchetto, abbondante e ricco come mai avevano visto, ma tutto fu inutile e Maddalena, tenendosi per intero i suoi dubbi, per quella sera riuscì a non toccare neppure una briciola di pane.

Allicu, dopo avere calmato un po’ la fame, che da giorni lo perseguitava, mise al corrente la moglie del patto che aveva fatto con il cavaliere e, benché la cosa non fosse proprio di suo gradimento, Maddalena dovette subirla, perché queste erano le regole non scritte di allora.

Passarono i giorni e Maddalena non smetteva di piangere tutte le notti, solo la preghiera la tranquillizzava un po’. Dopo qualche settimana trovò la forza di recarsi da Frate Nicola, un sant’uomo che da un po’ di tempo aiutava il vecchio parroco, decisa a raccontargli tutto.

<<Frate Nicola>> disse Maddalena, <<vi devo dire una cosa, che qualche giorno fa è successa a mio marito. Noi siamo molto poveri, lo sapete, ma lui mi ha portato a casa una bisaccia ricca d’ogni ben di Dio, raccontandomi che aveva fatto un patto con uno strano cavaliere. Questa cosa non mi ha convinto per niente, anche se a lui non posso dirglielo, perché non vuole essere contraddetto. Secondo voi, che cosa significa tutto ciò?>>.

Il frate rispose: <<Maddalena, hai ragione ad avere tutti quei dubbi, perché, anche secondo me, c’è qualcosa che non va. Ti suggerisco di prendere questa bottiglietta d’acqua benedetta. Devi tenerla sempre a portata di mano ed il giorno in cui il cavaliere si presenterà per prendere il bambino, versagliela addosso e controlla bene quello che accadrà>>.

Maddalena, dopo il colloquio con frate Nicola, riacquistò un po’ di serenità ed attese l’arrivo del figlio con maggiore fiducia su quanto li aspettava.

Una sera finalmente capì che era arrivato il gran momento ed allora mandò una vicina di casa a chiamare il marito, che quel giorno si trovava in compagnia di alcuni amici all’osteria, a trascorrere uno dei pochi momenti di svago che ogni tanto si concedeva. Allicu corse a chiamare signora Emma, la maestra di parto che aveva fatto nascere anche lui e, grazie alla sua perizia e all’aiuto delle vicine di casa, Maddalena mise alla luce un bel bimbo, al quale fu dato il nome di Efisio, come suo nonno. Sembrava che in casa fosse entrata non solo allegria, ma benessere, tanto era la contentezza di Allicu e di Maddalena. Le giornate passavano velocemente, intenti uno a lavorare con più lena in campagna, l’altra ad accudire quel bimbo che di giorno in giorno diventava più grande e più bello. Passarono i mesi e nessuno dei due ricordava più il patto che era stato fatto con il cavaliere, poi un giorno si presentò alla porta una bellissima ragazza, che portava in dono dolci e vestitini per il piccolo Efisio.

Maddalena, ammaestrata ad essere diffidente, non accettò quei doni e osservò con attenzione la ragazza, accorgendosi che, nonostante essa facesse di tutto per nascondere i piedi, c’era qualcosa di strano… in quelle scarpe a forma di zoccolo di asino. Intimorita, ma allo stesso tempo incuriosita, chiese alla ragazza dove aveva trovato quelle scarpe così bizzarre. Essa rispose che al suo paese lavorava un ciabattino molto bravo ed originale e che anche lei poteva rivolgersi al suo calzolaio, per vedere se riusciva a confezionarne un paio uguali. Decisero così di andare da ziu Erminiu, provetto ciabattino del posto, per chiedergli se riusciva a fare un paio di scarpe simili. Arrivate dal calzolaio subito gli chiesero se con la sua arte era in grado di fabbricare quelle scarpe così particolari, ma Maddalena notò nello suo sguardo un’aria quasi terrorizzata; ebbe così conferma di tutti quanti i suoi dubbi. Senza aspettare risposta, disse che non era più interessata a quelle scarpe e ripresero la strada di casa. Arrivate, Maddalena pregò la ragazza di aspettarla alla porta, che le avrebbe portato qualcosa per ringraziarla di quei regali. Di corsa andò alla ricerca della bottiglietta di frate Nicola, tornò indietro e di colpo versò tutto il contenuto addosso alla ragazza, che, avvolta da fiamme altissime, sparì nel posto da cui era venuta.

Maddalena la maledisse, rivolgendole queste parole: <<Baidindi de innoi, bai a su mari profundu, e cantu arena ddu adi in su fundu, tui as’ a torrai in su mundu!>> ("Vattene via di qui, precipita nel profondo del mare, e che tu possa tornare nel mondo, dopo tanti anni quanti sono i granelli di sabbia che esso contiene!").

Questa storia è arrivata alla nostre orecchie grazie a quella bambina che aveva seguito Allicu dentro casa. Essa era, infatti, la nonna dell’anziana donna che l’ha raccontata a noi.

Racconto rielaborato dagli alunni della classe 2a B

Disegni di Jonathan Arba

 

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