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GERGEIESCOLCA SERRI

Il territorio dei Comuni di Gergèi, Escòlca e Serri è posto al limite meridionale del Sarcidano, al confine con la Trexenta e la Marmilla.

L’elemento geografico di unione dei tre territori è costituito da un altopiano di lava vulcanica, detto localmente "Jara" (Giara) (m 630 s.l.m.), lungo il cui versante meridionale sono ubicati, a circa un chilometro di distanza in linea d’aria, gli abitati di Gergei e di Escolca, mentre quello di Serri sorge sull’estremità orientale del pianoro.

Nell’insieme la morfologia del territorio presenta quel minimo di complessità che ha consentito, fin dall’antichità, la coesistenza di agricoltori e pastori quali figure dominanti nell’economia locale.

La storia del luogo affonda le radici in tempi neolitici, ma è in periodo nuragico che la frequentazione umana assume proporzioni di rilievo sia per la densità della distribuzione topografica degli insediamenti sia per la tipologia dei monumenti sia per la presenza di un Santuario federale, quello di Santa Vittoria sulla Giara di Serri, che è ritenuto una delle espressioni più complesse ed interessanti della religiosità dei nuragici.

 

 

IL TERRITORIO DI SERRI                                         

I resti archeologici più consistenti del territorio di Serri sono quelli di periodo nuragico, mentre assai modeste sono le testimonianze della frequentazione umana in tempi neolitici che, tuttavia, dovette interessare almeno l'altopiano della Giara dove affiorano anche in superficie lo scarto della lavorazione dell'ossidiana e strumenti frammentari.

La fase più antica della civiltà nuragica è rappresentata dai resti di un nuraghe a corridoio, nell'estremità sudoccidentale del Santuario Federale di Santa Vittoria, sull'altopiano della Giara, che sebbene parzialmente distrutto è riconoscibile come tale. Poteva essere un nuraghe a corridoio anche il S'Uraxi, posto all'estremità nordorientale della Giara vicino all'attuale cimitero di Serri, del quale si conserva in evidenza solo un tratto di muro.

Il Santuario Federale Nuragico di S. Vittoria costituisce una delle più significative espressioni della religiosità delle genti nuragiche sarde, mentre la presenza della chiesa attesta che la sacralità del luogo non è mai venuta meno.

Tra i nuraghi, il solo Ladùmini, che sorge sul lato destro della SS 128 tra il bivio di Genniau ed Isili, conserva parte dell'originaria imponenza: vi si riconosce una torre centrale circondata da un bastione costituito da quattro altre torri.

Anche il nuraghe Trachedalli, che sorge al limite con il territorio di Isili, doveva essere di tipo complesso, ma di esso resta solo un piatto mucchio di crollo sopra il quale furono edificati un ovile ed una casa.

In località "Sa cungiadura manna", in prossimità del nuraghe Ruinas di cui resta solo la base di una torre, sorgeva la città romana di Biora, che pare sia stata incendiata, nel VI secolo, dagli stessi abitanti prima di rifugiarsi nella città di Valenza-Nuragus, per sfuggire ai Vandali. Di essa restano solo le rovine di un piccolo edificio.

 

 

IL TERRITORIO DI GERGEI

La frequentazione umana in tempi neolitici è attestata da due domus de janas, ubicate in località Gemuri e dalle piccole schegge di ossidiana, scarti di lavorazione, che affiorano nella zona di San Salvatore, Santa Greca, Preganti, Aurreddus, ecc..

Nel corso del periodo nuragico nel territorio di Gergei sorsero più di trenta nuraghi, ma la gran parte di essi sono stati quasi interamente distrutti e non è ricostruibile con certezza la loro planimetria.

Tra i nuraghi complessi, quello di Santa Marta, posto a breve distanza a meridione del moderno cimitero, dovette essere il più imponente essendo di tipo quadrilobato.

Il nuraghe Su Iriu è quello che si conserva meglio e che suscita un certo interesse per l'insolita planimetria. Tra i nuraghi più semplici, i soli Santu Perdu, Surdelli, Aurreddus, mostrano il paramento murario per una certa altezza.

La naturale fertilità del territorio favorì certamente il proliferare di piccoli abitati di capanne presso quasi tutti i nuraghi: ne restano tracce evidenti a Santu Perdu, Monte Cuccu, Su Iriu, Tupp'e Menga, Riu Elias, Mesoni Coa, Peddis, Is Antas, Santa Lucia, ecc..

Si ha notizia di una sola tomba di Giganti, che sorgeva in località Preganti, ma è probabile che nel territorio ce ne fossero altre e che siano state distrutte nel corso di lavori agricoli.

Il periodo romano è attestato da villaggi, ma anche da necropoli o tombe singole, che mantennero per lo più le ubicazioni scelte dalle genti nuragiche e che protrassero la loro esistenza fino a tempi medioevali. Tra gli insediamenti che raggiunsero una certa estensione ricordiamo Santu Perdu, Santa Lucia, San Salvatore, Is Antas, Mesoni Beranu, Mesoni Coa, Fund'e Corona, Ruina Fraus, Nurax'Esì, ecc..

Le chiese campestri, alcune ancora officiate (S. Greca, un tempo S. Elia, S. Salvatore) altre distrutte (S. Marta, S. Lucia, S. Stefano, S. Antonio, S. Pietro), distribuite nel territorio di Gergei sono quanto rimane di questi villaggi.

 

IL TERRITORIO DI ESCOLCA

Il territorio di Escolca si estende in due zone separate: una ai piedi della Giara di Serri, dove è ubicato il paese, l'altra, denominata San Simone, in prossimità della strada Mandas-Villanovafranca, dove si conservano alcuni resti di un villaggio medievale abbandonato da parecchi secoli.

Nella prima delle due zone si è individuato il solo nuraghe Mogurus, posto a settentrione dell'abitato moderno.

Nella zona di San Simone si conservano, invece, i resti dei nuraghi Mannu, Pei su Boi, San Simone e, fino ad alcuni decenni fa, Truncu su Lillu. In località Mitza su Tutturu esisteva una tomba di Giganti, ma essa venne distrutta negli anni Settanta durante lavori agricoli.

Il solo nuraghe Mannu conserva parte dell'originaria imponenza con il suo cumulo di crollo che, visto dalla vallata di Gergei, si alza sull'orizzonte simile ad una piramide.

Del nuraghe San Simone restano tratti di muratura all'interno ed all'esterno di una casetta dell'omonimo villaggio.

La frequentazione umana in periodo romano è attestata da ritrovamenti, prevalentemente di tombe, sia nel moderno abitato di Escolca sia nelle sue vicinanze. E' probabile che un villaggio esistesse in tempi romani dove ora sorge la chiesa della Madonna delle Grazie, a breve distanza a settentrione del paese, dove affiorano in superficie frammenti di stoviglie e di embrici e dove si conservano modestissimi resti del convento connesso alla chiesa.

Nella regione di San Simone la vita in tempi romani è attestata, con abitato e necropoli sia presso il nuraghe Mannu sia presso l'abitato medievale che, oggi separati dalla moderna strada, dovettero un tempo appartenere ad uno stesso contesto di frequentazione

IL TERRITORI0 DI GERGEI                                

Il territorio di Gergei, che si estende a meridione della Giara di Serri e del monte Trempu ed è delimitato nella sua zona occidentale dal corso del Riu Mannu, è prevalentemente costituito da fertili colline oggi intensamente coltivate a frumento, olivi, vigneti. Anche in antico il territorio dovette offrire un'economia simile, ma con una maggiore molteplicità di prodotti cerealicoli per il sostentamento del bestiame ed un maggiore sfruttamento della vegetazione spontanea per la fabbricazione di recipienti, stuoie, incannucciati per i tetti delle case, ecc..

Sebbene le attuali conoscenze non permettano di quantificare gli insediamenti umani di tempi neolitici, non è azzardato supporre che essi fossero distribuiti nel territorio con una certa densità e che la successiva ubicazione dei nuraghi ne costituisca in molti casi una continuità di vita. Non è, infatti, casuale che in prossimità di alcuni siti nuragici (Preganti, Aurreddus, Tupp'e Menga, Su Iriu, ecc.) siano presenti schegge di ossidiana, che era il materiale più utilizzato dalle genti neolitiche per fabbricare armi ed utensili. E non è un caso che si ritrovi tale materiale anche nella sezione dello scavo fatto alcuni anni fa per costruire la Scuola Media, la quale sorge a breve distanza dalla collina di Santa Greca (un tempo Sant'Elia) dove, pur non essendo in evidenza alcuna struttura antica, il passato affiora con piccole schegge di ossidiana, frammenti di ceramica nuragica, strumenti litici. Non è inoltre improbabile che lo stesso abitato di Gergei affondi le proprie origini in tempi più antichi di quelli nuragici. Ma, le uniche strutture neolitiche che si conservano nel territorio sono le due domus de janas, scavate in un banco di roccia marnosa a breve distanza ad occidente del paese, in località Gemuri.

Dei numerosi nuraghi che sorgevano nel territorio di Gergei rimangono tracce per una trentina di essi, ma si potrebbe cogliere l'originaria esistenza di altri nel toponimo di alcune località (Ruina Fraus, Ruina Tulas, Ruina Puliga, ecc.). La sistematica demolizione dei nuraghi di questo territorio è stata chiaramente intenzionale, come dimostra l'assenza di un crollo residuo consistente, e fu in gran parte operata per utilizzare le pietre nella costruzione dei muri di recinzione dei campi, ma anche per fare massicciate di strade e case del moderno abitato, come indica il danno maggiore subito dai nuraghi posti in prossimità della strada per Barumini o dell'abitato (Santa Marta, Mesoni Beranu, Cogotti, Purruddu, Preganti, Peddis, Ruineri, ecc.). A memoria d'uomo risale la demolizione di alcuni nuraghi i cui massi furono impiegati nella costruzione della parte moderna della casa dei Conti Orrù e del Consorzio Agrario. Anche dell'unica tomba di giganti che si conosceva e che fu scavata dal Lilliu negli anni Quaranta non restano tracce.

La distribuzione topografica mostra una maggiore concentrazione di nuraghi in tutta la parte meridionale del territorio, dove la gran parte di essi occupa posizioni non molto elevate, ma di ampio dominio visivo sulla vallata di Barumini e sulle naturali vie di penetrazione. Nella parte settentrionale del territorio, che è interessata dalla presenza del versante meridionale ed occidentale della Giara di Serri e da quello orientale e meridionale del Monte Trempu, la densità dei nuraghi è invece minore.

Lungo le pendici della Giara di Serri, a poche centinaia di metri dal Santuario di Santa Vittoria, sorge il nuraghe di Fund'e Corona (detto anche "Motti"), mentre nel versante meridionale del monte Trempu si conserva il nuraghe Cannas, di tipo semplice e costruito con blocchi di granito locale. Non lontano da esso, in località Corongiu 'e Marxi, si conservano i resti di una costruzione megalitica, a pianta semiellittica, che racchiude un andito, una celletta ed una breve scala che conduce ad un vasto ambiente, da interpretarsi con molta probabilità come cortile o terrazzo, delimitato da ortostati. L'assenza di crollo e la constatazione della difficoltà che il prelevarlo avrebbe comportato per la natura scoscesa del luogo fanno supporre che questi vani fossero in origine a cielo aperto, fatta eccezione per la celletta che, invece, è colma di crollo.

Tra gli altri nuraghi della zona settentrionale il solo Santu Perdu, costituito da una torre e da un cortile, conserva il paramento murario della torre principale per un'altezza di circa tre metri sul crollo. Nei terreni attorno al nuraghe si riconoscono, nonostante il profondo sconvolgimento operato dai moderni mezzi agricoli, le tracce di un vasto complesso abitativo che dovette svilupparsi in tempi romani e che durò fino a tempi medievali, se non oltre. Fino a pochi decenni fa si conservava il perimetro, ridotto alla base, della chiesetta del villaggio, ma oggi anche questa testimonianza è andata persa. Nei muri e tra il materiale di dirozzamento dei campi giacciono mischiati frammenti di embrici e di stoviglie romani, pezzi di macine, macinelli e pestelli nuragici che costituiscono gli unici elementi attestanti l'antica originaria esistenza di un abitato che, nonostante la sua vastità e, quindi, importanza, è stato completamente privato della possibilità di riemergere almeno attraverso la ricostruzione delle vicende che ne caratterizzarono la vita e l'abbandono.

Tra i numerosi nuraghi della zona meridionale del territorio di Gergei quello di Santa Marta, che sorge in luogo pianeggiante e a breve distanza a sud del moderno cimitero, dovette essere il più imponente. I pochi resti con cui esso si conserva lasciano riconoscere un impianto planimetrico di tipo ad addizione concentrica, costituito da una torre centrale e da quattro marginali unite da cortine rettilinee; non restano, invece, tracce sicure dell'esistenza dell'antemurale. Anche presso questo nuraghe sorse quasi certamente un villaggio, ma sono pochissimi gli elementi che lo attestino per tempi nuragici e pochi quelli per tempi storici anche se si hanno notizie sicure di una chiesa di Santa Marta e di una necropoli. Nella Curia arcivescovile di Cagliari si conserva un verbale, datato 30 novembre 1621, dal quale risulta che il Rettore della parrocchia di Gergei, Giacomo Santoro, aveva presieduto, proprio nella chiesa rurale di Santa Marta, alla scoperta degli scheletri dei "Santi Martiri Donato e Sabiato e di alcune Sante Vergini" che vennero prelevati e sepolti sotto l'altare maggiore della chiesa di Santa Barbara di Gergei. É assai probabile, però, che non si trattasse di corpi di martiri né di vergini, ma di quelli di persone comuni.

Più a meridione del nuraghe Santa Marta, nella zona collinare che si estende verso il territorio di Mandas, giacciono le rovine dei nuraghi Preganti, Aurreddus, Peddis, Is Aurras, Ruineri, mentre di quello di Ruina Puliga non è più individuabile alcuna traccia. Il cattivo stato di conservazione di tutti questi nuraghi non rende attendibile una ricostruzione planimetrica fatta sulla base delle strutture in evidenza poiché eventuali corpi di fabbrica periferici potrebbero essere stati smantellati più in profondità rispetto alla torre centrale ed al cortile. Infatti la gran parte di questi nuraghi, come del resto di quelli ubicati nella limitrofa zona occidentale, sembrerebbe di tipo semplice con l'aggiunta di un cortile. La tipologia di Aurreddus si differenzia per la presenza di due torri affiancate, mentre Peddis e Ruineri potrebbero inserirsi tra quelli ad addizione frontale.

Nella zona occidentale, in prossimità del territorio di Barumini, sono ubicati i nuraghi Mesoni Coa, Riu Elias, Trazzali, Mesoni Beranu, Martinedda, Purruddu, S'Urdelli, Monte Cuccu, Su Iriu. Anche tra questi nuraghi non sembra siano esistiti impianti planimetrici particolarmente complessi. Si tratta per lo più di nuraghi di tipo semplice o con l'aggiunta di uno o due corpi di fabbrica.

L'edificio di Su Iriu, che denominiamo nuraghe in attesa che l'imminente ricerca scientifica ne chiarisca la funzione, è certamente il monumento più interessante del territorio in esame. Esso, presso il quale si conservano anche i resti di alcune capanne, sorge in una stretta lingua di terra, circondata per tre lati dal Riu Murera, ed è costituito da un corpo di fabbrica a pianta subrettangolare che emerge sul crollo per un'altezza di circa due metri. Oltre che per l'insolita pianta, esso si differenzia anche per la posizione in luogo basso e privo di collegamento visivo con altre costruzioni nuragiche della zona.

 

IL TERRITORIO DI ESCOLCA                                      

Il paese di Escolca, ubicato ai piedi della Giara di Serri a circa un chilometro di distanza da Gergei, possiede un territorio che si estende in due zone separate e distanti. La porzione di esso più prossima all'abitato, stretta tra i Comuni di Gergei, Serri e Mandas, è costituita a settentrione dal boscoso ed impervio versante della Giara, mentre a meridione da fertili colline coltivate a cereali e oliveti. L'altra parte dell'agro di Escolca si estende in località San Simone, posta tra Gergei, Mandas, Villanovafranca e Gesico. E' questa una località caratterizzata dalla presenza di un piccolo villaggio, raccolto presso una chiesetta ancora officiata, il cui abbandono risale, con molta probabilità, ad uno dei periodi di pestilenza o di vicende connesse ad invasioni che decimarono gli antichi abitati sardi. Ma, mentre per numerosi altri villaggi della zona (Biora di Serri, Valenza di Nuragus, Santu Perdu di Gergei, ecc.) all'abbandono definitivo seguì una distruzione totale delle strutture edilizie, fatta eccezione per quelle della chiesa se c'era, ed il prelevamento delle pietre, il villaggio di San Simone ha conservato per secoli il suo aspetto quasi immutato. É solo da qualche decennio che gli abitanti di Escolca hanno profondamente modificato tale aspetto inserendo costruzioni, in blocchetti di cemento, in un costesto edilizio che costituiva uno, se non l'unico esempio di architettura domestica sarda insistente su un abitato di origine almeno nuragica.

Non è dato, per il momento, di sapere come e quando il Comune di Escolca sia venuto in possesso di questa zona. La tradizione popolare racconta di una pestilenza che decimò a tal punto la popolazione di San Simone che i sopravvissuti abbandonarono il villaggio ed andarono a chiedere asilo nei paesi vicini; nessuno voleva accoglierli, ma gli abitanti di Escolca li ospitarono e così ricevettero in eredità il territorio di San Simone. Ma, i Mandaresi avanzarono pretese su quella proprietà che confinava con il loro territorio. Poiché non si raggiungeva un accordo, gli Escolchesi proposero di aggiogare due buoi, uno di Escolca e l'altro di Mandas, per vedere quale dei due avrebbe avuto il sopravvento nel ritornare a casa. Partendo da San Simone il giogo si diresse verso Mandas, ma quando arrivò alla strada che attraverso Sa Pala Manna conduceva ad Escolca, il giogo la prese, arrivò ad Escolca e assegnò, così, la proprietà agli Escolchesi.

In verità questa giustificazione appare un po' leggendaria, ma fino a che non si effettuerà un'adeguata indagine è doveroso che continui ad essere raccontata. Del resto la grande festa che ogni anno, dopo Pentecoste, gli abitanti di Escolca fanno recandosi a San Simone con is traccas, appare non solo come atto di doverosa riconoscenza verso chi prima di loro ha posseduto quei fertili terreni, ma anche come volontà di far rivivere almeno per due giorni un paese morto.

In un lavoro di Giuseppe Luigi Nonnis, "Una storia di frammenti lontani" in "AA.VV., Meana radici e tradizioni", 1989, è citato un processo, tenutosi a Nuraginiellu verso la fine del XII secolo, le cui parti in causa erano il Priore di Bonarcado, Alberto Ginivesu, ed il Maiore di Scolca, Orzocco de Martis. Pare che quest'ultimo si fosse impossessato con la forza dei pascoli di San Simjone di Besala che appartenevano al convento. In tale notizia potrebbe esserci solo una coincidenza di nomi, ma essa potrebbe anche racchiudere un'alternativa al racconto della tradizione popolare.

Non si hanno dati, per il momento, che attestino nel territorio di Escolca una presenza umana stabile in tempi neolitici, ma non è da escludere che ci sia stata poiché ne furono interessate zone vicine.

Per quanto riguarda, invece, il periodo nuragico esso è rappresentato dal nuraghe Mogurus che sorge a settentrione dell'abitato lungo il pendio della Giara di Serri. Si tratta di un edificio costituito da una torre, molto probabilmente con l'aggiunta di un cortile, che fu realizzato con blocchi di basalto locale disposti in file irregolari. Le strutture residue emergono per un'altezza di m 2,50 su un crollo che sembra aver mantenuto il suo stato originario. In superficie non affiora alcun elemento di cultura materiale che faccia supporre una frequentazione del sito in tempi storici, come invece si registra nel vicino Fund'e Corona (Gergei).

Sebbene in questa parte del territorio di Escolca non si conservino resti di altri nuraghi, si ha notizia di altri tre di essi, che però già all'inizio del Novecento erano quasi interamente distrutti: Linus, Nuraxi Accas e Su Idìli.

Nell'agro di San Simone, che si inserisce nell'ambito di una zona (Trexenta-Marmilla) densamente cosparsa di nuraghi, giacciono le rovine dei nuraghi Mannu, denominato in passato Longu, Pei su Boi e di un altro su cui sorge l'abitato di San Simone. Del nuraghe Truncu su Lillu, su cui alcuni decenni fa fu costruita una casa colonica, non resta in evidenza alcuna traccia.

Tra questi nuraghi, quello maggiormente conservato è Mannu e, anche se il suo stato non consente la ricostruzione dell'originario impianto planimetrico, lo si potrebbe immaginare di tipo complesso. A meridione di esso sorgeva un altro nuraghe i cui resti si possono ancora oggi vedere all'interno ed all'esterno di una casetta, ubicata in prossimità della chiesa di San Simone.

In località Mitza su Tutturu, a breve distanza a meridione del villaggio San Simone, si conservava fino agli anni Settanta una tomba di giganti di cui si poteva individuare parte della camera, delimitata da lastroni posti a coltello, per una lunghezza superiore ai dieci metri. Essa fu completamente distrutta con un mezzo meccanico nel corso di lavori agricoli.

I numerosi ritrovamenti fortuiti di materiali romani sia nell'abitato di Escolca sia nelle sue campagne, indicano chiaramente una frequentazione continua e diffusa in tempi storici. E' molto probabile che in periodo romano esistessero almeno due abitati, uno dov'è l'attuale paese e l'altro a circa un chilometro di distanza a settentrione dove ora sorge la chiesa della Vergine delle Grazie, presso la quale si rinvengono tra l'altro pezzi di embrici e frammenti di stoviglie di periodo romano.

I due insediamenti devono essere coesistiti fino ad alcuni secoli fa, poi il secondo venne abbandonato e forse distrutto fatta eccezione per la chiesa, nella cui campana è riportata un'iscrizione, "S. Maria de bingias della Villa de Escroca, anno Domini MDLXXVIIII", che fa pensare che gli abitanti di Escolca abbiano continuato a frequentarla e che ne abbiano cambiato poi la denominazione. Presso la chiesa esistette un convento, soppresso nel 1776, di Padri Trinitari che vi si stabilirono forse all'inizio del XVII secolo, .

Non si hanno, invece, dati sicuri per affermare che prima di quello dei Trinitari ci sia stato un convento dell'Ordine dei Romitani di S. Agostino, la cui Regola fu introdotta in Sardegna verso il 1400; per il momento, tale ipotesi poggia solo sulla constatazione della grande devozione popolare per San Liberato Agostiniano.

Nell'abitato di Escolca si conserva, oltre alla chiesa parrocchiale intitolata a Santa Cecilia, quella di S. Antonio Abate, mentre sono andate quasi interamente distrutte quelle di San Giovanni, Santa Lucia e S. Antioco.

IL TERRITORIO DI SERRI                                      

L'agro di Serri è costituito da tutto il pianoro della Giara e dalla regione collinare che si estende fino all'altopiano di Guzzini e Tacquara (Nurri) e da quella che si allunga verso il territorio di Isili e di Mandas.

Il paese, posto nell'estremità orientale della Giara, conserva la stessa posizione elevata scelta dalle genti nuragiche e mantiene, quasi certamente, l'ubicazione di uno dei loro insediamenti, come lasciano supporre i resti del nuraghe S'Uraxi giacenti presso il cimitero ed a breve distanza dalla chiesa parrocchiale dove si sviluppò l'originario nucleo abitativo moderno.

I resti archeologici più consistenti del territorio di Serri sono quelli di periodo nuragico, mentre assai modeste sono le testimonianze della frequentazione umana in tempi neolitici che, tuttavia, dovette interessare almeno l'altopiano della Giara dove affiora lo scarto della lavorazione dell'ossidiana e strumenti frammentarî. Ma, tale lacuna é da attribuire più all'assenza di indagini scientifiche che alla possibilità che questo territorio, diversamente da quelli vicini di Isili, Nurri, Orroli, ecc., sia stato solo parzialmente occupato da genti neolitiche.

La fase più antica della civiltà nuragica è rappresentata, al momento, dai resti di un nuraghe a corridoio (n. 4 della planimetria del Taramelli), posto all'estremità sudoccidentale del Santuario Federale di Santa Vittoria, sull'altopiano della Giara, che sebbene parzialmente distrutto è riconoscibile come tale. I dati emersi da un saggio di scavo condotto nel 1990 in quella stessa zona del Santuario hanno confermato la sua preesistenza ad altre vicine strutture che i materiali ceramici rinvenuti collacano in un momento tardo del Bronzo Medio.

All'estremità nordorientale della Giara, in prossimità di una naturale via di accesso, è posto S'Uraxi il quale sembrerebbe essere stato anch'esso un nuraghe a corridoio, infatti il tratto di muratura in evidenza mostra un andamento ed una tecnica costruttiva che non si discostano di molto da quelli dell'edificio di Santa Vittoria.

In prossimità dei ruderi della chiesa di San Sebastiano, ubicata in punto del pianoro talmente stretto da consentire un vastissimo dominio visivo sia sulla regione che si estende a settentrione di essa sia su quella meridionale, restano poche tracce di una costruzione megalitica, di cui non sono precisabili né la forma né le dimensioni, ma che sia la tecnica muraria sia la grandezza dei blocchi fanno attribuire ad un altro nuraghe.

Nella parte del territorio di Serri che si estende ai piedi della Giara la modesta densità di nuraghi potrebbe non rispecchiare l'originaria realtà della loro distribuzione topografica, ma essere frutto di una sistematica distruzione operata in tempi più o meno vicini a noi. I nuraghi di cui resta qualche traccia sono Ladùmini, Ruinas, Trachedalli, mentre anche Cuccuru Forru sembra ormai interamente distrutto.

Ladùmini, che sorge vicinissimo al lato destro della SS 128 tra il bivio di Genniau ed Isili, è un imponente nuraghe di tipo complesso costituito da una torre centrale e da un bastione a quattro torri marginali tra le quali si apre un cortile. E' probabile che fosse circondato anche da antemurale, ma l'attuale cattivo stato di conservazione non permette di individuarne alcun tratto. Il vano terra della torre centrale, che residua per circa 8 metri di altezza dal piano di campagna, ha l'andito d'ingresso colmo di crollo, ma l'architrave della porta conserva ancora la giacitura originaria. Anche la camera, che ha forma circolare e misura m 5,50 di diametro al riempimento, è in gran parte colma del materiale di crollo del paramento murario, della scala e della tholos. Nella parte alta della torre si conserva un tratto del perimetro di un'altra camera, anch'essa di forma circolare, che misura m 4,30 di diametro.

La modesta quantità di crollo presente attorno a questo monumento, che dovette essere il nuraghe più imponente della zona, indica chiaramente che gran parte del materiale fu prelevato ed utilizzato nella costruzione dei muri dei campi e della massicciata della vicina strada.

Sulle rovine del nuraghe Trachedalli, che sorge nella zona nordorientale del territorio di Serri, vennero costruiti, probabilmente numerosi decenni fa, un ovile ed una casetta ed il crollo venne appianato per ottenere spiazzi per il bestiame. Nonostante tali manomissioni è possibile individuare, appena affioranti, alcuni tratti di muratura il cui andamento rettilineo o curvilineo rivelano l'originaria complessità del nuraghe.

Del nuraghe Ruinas resta solo la base di una torre, ma potrebbe essere azzardato asserire che questa semplicità planimetrica rispecchi quella originaria anche perché, sorgendo esso nella stessa zona dove si sviluppò la città di Biora, viene spontaneo immaginare che la sua distruzione ed il prelevamento delle pietre siano stati operati in gran parte già in tempi romani.

Nel territorio di Serri, sulla sua Giara, sorge il Santuario Federale Santa Vittoria che, sebbene in gran parte non scavato, costituisce una delle più interessanti espressioni della religiosità dei nuragici.

Il suo contesto edilizio si articola in due vaste concentrazioni; in quella occidentale, distanziata di alcune centinaia di metri dall'orientale, è constatabile l'intento dei costruttori di isolare i due insiemi edilizi che la compongono: l'uno caratterizzato dalla presenza del pozzo sacro e l'altro costituito dal "Recinto delle Feste". La distinzione dei due gruppi, già di per sé marcata dallo svolgimento perimetrale del "Recinto delle Feste", risulta infatti accentuata dal muro che si diparte dal pozzo e nel quale è aperto un ingresso affiancato da una capanna (n.16 della planimetria del Taramelli). Non risulta, invece, evidente il motivo di tale distinzione, sebbene comunemente lo si colga nel carattere sacro dell'uno e profano dell'altro, trascurando il fatto che l'area centrale del suddetto "Recinto" non è stata ancora scavata e che potrebbe racchiudere altri ambienti la cui presenza, in aggiunta a quella della roccia affiorante, verrebbe a ridimensionare lo spazio apparentemente libero ed a modificare, probabilmente, l'interpretazione relativa alla funzione del "Recinto delle Feste".

Viene, inoltre, sottovalutato il ruolo che potrebbe avere rivestito il vano n. 19, sede del culto della bipenne, sia nell'ambito dello stesso "Recinto" sia in quello di un complesso dal quale emerge insistente una concezione religiosa aperta alla coesistenza di molteplici culti praticati in contesti edilizi diversificati da schemi planimetrici e tecniche murarie.

Sebbene permanga ampiamente lacunosa la conoscenza della concentrazione orientale del complesso, dove il Taramelli, tra l'altro, riportò alla luce la "Curia", il "Recinto dei supplizi" e quello del "Doppio Betilo", anche qui la religiosità dei nuragici si profila concretizzata in forme e rituali differenti, pure inseriti in spazi distinti che ricalcano, però, gli schemi planimetrici dell'architettura domestica e pubblica degli insediamenti nuragici a carattere stabile.

In periodo romano l'abitato più consistente del territorio di Serri fu quello di Biora, ubicato nella zona in cui sorge il nuraghe Ruinas, che si estendeva sulla vasta area che oggi è indicata con numerosi e diversi toponimi come Sa Cungiadura Manna, Su Moguru, ecc.. Attualmente resta ben poco che attesti l'importanza che questo sito rivestì, anzi, fino agli anni Quaranta, quando il Lilliu ne localizzò l'ubicazione, si riteneva che esso sorgesse in località Baracci. In quest'ultima, distinta in "Baracci di sopra" (Nurri) e "Baracci di sotto" (Isili), si conservano i resti di altri abitati che raggiunsero in tempi romani una certa estensione e, all'apparenza, importanza.

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Maria Gabriella Puddu - Docente di Lettere Presso a Scuola Secondaria di I° grado dell' Istituto Comprensivo di Gergei