2003

2002

2001

2000

1999 e '98

1998

Sette avvistamenti di squalo bianco (due dei quali - Tunisia e Lampedusa - direttamente riconducibili alla campagna '98). Da notare che dal '94 al '97 erano stati segnalati solo due avvistamenti.

Uno squalo martello fotografato e ripreso a Positano a giugno

Una vaccarella di quattro quintali pescata a Tavolara

Segnalazione di un presunto sito di riproduzione di squali grigi in Egeo

Mobula avvistate a Ponza

Avvistamenti passati di cui si è avuta conoscenza attraverso la campagna:

Carcharinus obscurus pescato a Capo Testa (*)

Alopias superciliosus spiaggiato a Tavolara nel 1994, con 15 cm. di spada di pescespada conficcata in testa. (*)

Foto Mobula ripresa a Palmi (RC) nel 1996

H. griseus pescato nella tonnara di Porto Scuso (CA) (foto e segnalazione di Piero Addis, Univ Cagliari)

Comunicazioni scientifiche sulla base di segnalazioni pervenute attraverso questa campagna:

Ian Fergusson, sulla presenza di C. obscurus nel nord della Sardegna;

Marino Vacchi e Fabrizio Serena, su Alopias superciliosus pescato a Tavolara

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1999

Nel 1999 la campagna è raddoppiata: abbiamo chiesto l'aiuto del pubblico anche per la Foca Monaca, fornendo ai giornali informazioni sull'animale, una scheda d'avvistamento, codice di comportamento e numeri di telefono per segnalare l'avvistamento.

Le segnalazioni più interessanti del 1999 riguardano gli squali elefante. Riferite e registrate alcune catture in Alto Tirreno, mar Ligure, in Adriatico (Cervia, Pasqua 99) e Sicilia (Capo Milazzo, Primavera 99). "La più interessante tra queste è stata sicuramente il ritrovamento di un maschio adulto maturo a Marina di Massa nel mese di maggio" riferiscono Marino Vacchi e Fabrizio Serena. "Nelle vie deferenti del sistema riproduttivo erano presenti grandi quantità di spermatofore e gli pterigopodi, gli organi copulatori, erano sviluppati e turgidi. Si tratta del primo reale indizio che questa specie si possa riprodurre anche in Mediterraneo. Gli esemplari registrati nel '99 di squalo elefante (che in base alla Convenzione di Barcellona per la protezione dell'ambiente marino e la regione costiera mediterranea, fa parte delle specie protette) hanno permesso anche di ottenere preziosi campioni di tessuto per procedere alla caratterizzazione genetica degli individui mediterranei sulla base dell'analisi del DNA; l'aspetto particolarmente interessante a questo proposito è di definire se in Mediterraneo è presente una popolazione specifica o esiste una continuità genetica con gli esemplari del Nord-Est Atlantico."

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TARTARUGHE IN DISCOTECA

Èla triste fine che han fatto molti dei piccoli di tartaruga Caretta nati a fine luglio 1999 a Marina di San Lorenzo, in provincia di Reggio Calabria: attirati dalle luci della pista, i piccoli anziché dirigere in mare si sono ritrovati sulla strada fra le ruote delle automobili. C'è un risvolto positivo in tutta questa vicenda: l'eco della loro sorte è stato grande e ha consentito ai ricercatori di venire a conoscenza di altri due nidi calabresi; un numero sorprendente, visto che negli ultimi anni in Italia le deposizioni si contano sulle dita di una mano e che rarissimamente sono avvenute su spiagge della penisola. Volontari dell'ANPANA, un'associazione naturalistica locale presieduta da Vittorio Cotroneo, si sono assunti il compito della protezione dei nidi, deposti il 13 di giugno a Marina di Galati e il 4 luglio a Brancaleone. La notte del 5 agosto è nata gran parte dei piccoli del primo nido; una settimana dopo, lo scavo della cavità che accoglieva le uova - previsto dal protocollo scientifico ed effettuato da Gianpaolo Montinaro, ricercatore di Chelon - liberava dalla sabbia tredici tartarughini ancora vivi che, dopo esser stati controllati e misurati, sono stati liberati la sera stessa. Delle uova ancora sane e non schiuse, una ha poi dato vita a un piccolo, nato con ancora un residuo esterno del sacco vitellino. Il tartarughino è nato a Policoro, il nuovo centro di recupero per le tartarughe marine di Chelon all'interno del Circolo Velico Lucano, ed è stato battezzato Lucania. Dopo quattro giorni il sacco vitellino è scomparso e il piccolo è stato liberato di notte. La schiusa del terzo nido di Brancaleone è avvenuta ai primi di settembre e ha dato alla luce trentanove frenetici tartarughini. Oltre ai tre nidi calabresi, nel '99 sono stati segnalati due nidi a Lampedusa e uno a Pietra Grande, Agrigento.

DUE SIGNORI BAFFUTI

Due vecchi signori baffuti e con un bel capoccione che chiacchierano facendo il bagno: ecco quello che sembravano le due foche monache che abbiamo scorto in mare lo scorso anno. Era il 26 luglio, come cita con precisione il giornale di bordo, ed eravamo ormeggiati con il nostro glorioso Tany Kely (ormai più attrezzato per la crociera che non per la regata) in una piccola isola chiamata Manoli subito a nord di Lipsi, in Egeo. È una zona particolarmente gradevole dove fermarsi a fare il bagno perché i fondali a nord di Lipsi sono molto belli e contemporaneamente ci sono zone di sabbia chiara dove dare fondo senza rischi.

È qui che abbiamo avvistato le due foche. La prima a scorgerle è stata Silvia, che è sempre più attenta a vedere quello che succede in giro: ha notato in un primo tempo come due gobbe di subacquei a una cinquantina di metri quasi attaccate alla costa dell'isolotto di Manoli. Ma erano troppo grandi per essere subacquei, e infatti poi sono apparsi due faccioni con tanto di baffi che si guardavano intorno con indifferenza come due vecchi signori che chiacchierano facendo il bagno! Siamo corsi a prendere binocoli e macchine fotografiche e abbiamo assistito per un po' di tempo ai movimenti delle due foche che ogni tanto si immergevano per poi riapparire con i loro bei faccioni un po' più in là. Lo spettacolo sarà durato circa venti minuti. Ritornando a sera terra ogni piccola onda, gabbiano, cassetta in acqua ci sembrava una foca! Ci hanno confermato i locali che in quelle zone sono state avvistate diverse volte, tant'è che sulla costa turca lì di fronte c'è una località che si chiama appunto Focea, dove c'è anche un monumento alla foca monaca.

---Giorgio Tagliacarne

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UNA TARTARUGA FERITA

Agosto 1999, una giornata spettacolare di fine estate. Calma piatta, mare liscio come l'olio, il sole è caldo e il bollettino ci tranquillizza: le condizioni ideali per raggiungere il banco Talbot, 30 miglia da Marettimo. Il Canale di Sicilia è punteggiato di bassi fondali, secche, banchi estesi; persi in mezzo al mare, decine di miglia dalla terra più vicina, investiti dalla corrente che entra direttamente da Gibilterra, sono una delle zone più selvagge e pescose del nostro Mediterraneo.

Trenta miglia col motore che romba monotono, la superficie quasi un'autostrada su cui volare, nemmeno un'increspatura sul mare. Impossibile scambiare più di qualche parola sopra il rumore del motore ed è un bene, hai tempo di derivare con i tuoi pensieri e i banchi richiedono concentrazione, rispetto. Frughiamo costantemente l'orizzonte, in questo braccio di mare può accaderti di vedere di tutto: alcuni anni fa "svegliammo" un pescespada addormentato in superficie, un'altra volta scorgemmo grandi tonni saltare a poca distanza. Ogni tanto i segni della "civiltà": sacchi di spazzatura, un bidone, plastica soprattutto. Anche qui, in mezzo al nulla.

"Una tartaruga!"

La virata è istantanea, ma la delusione è forte: è solo un altro pezzo di plastica semiaffondato. Riprendiamo la rotta, meno di due minuti e "Una tartaruga, stavolta sul serio!" Ci avviciniamo piano, la tartaruga solleva il capo, ci guarda e sparisce sott'acqua. La vediamo pinneggiare con forza verso l'invisibile fondo, ma riemerge dopo poco. Tenta di nuovo, senza successo. È chiaro che c'è qualcosa che non va; Massimo si butta in acqua e con due bracciate la raggiunge. I pesci pilota che le nuotavano attorno si dileguano in un attimo. Dall'ano spunta una matassa di lenza cui si è poi impigliato un sacchetto: un'altra tartaruga condannata dall'incontro con l'uomo, chissà dove, chissà quando. Delicatamente la tratteniamo per tagliarle questa scomodo strascico, quel che possiamo senza farle del male; dopo una foto la lasciamo libera: rapida si inabissa, questa volta ci riesce. Ma sarà sopravvissuta?

--Eleonora de Sabata

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GLI SQUALI SONO DOVE DOVREBBERO ESSERE

Sto pescando in apnea sull'orlo della secca, a quasi 25 miglia dalla costa. Di colpo sento il compagno di pesca mettere in moto. Dice, vieni su, ho visto una pinna, andiamo a vedere.

La pinna c'è. Delfino non è, non vien fuori a respirare. Pesce luna neanche, guarda quanta acqua muove! Uno spada? La pinna è diversa... È uno squalo! Ci avviciniamo piano. Siamo al traverso... si immerge! Delusione.

Acceleriamo, e riesco ad intravedere una grande forma grigio/verde che si inabissa nell'acqua fonda. Motori spenti, attorno acqua piatta.

Aspettiamo...

A malincuore accendiamo i motori, torniamo indietro... In scia riemerge la pinna. C'è ancora! Ci sfila tutto di fianco. È a 2 metri! Mi passa a lato, a pelo d'acqua, la coda. I lobi sono uguali! È un Bianco! È appena più piccolo del gommone: poco meno di 5 m.

È dunque un incontro ravvicinato con lo Squalo Bianco. Mai fotografato finora in acqua libera nel Mediterraneo. Vederlo muoversi dà un'impressione di potenza sconfinata, un minimo movimento di quella grande coda e avanza quasi senza parere. E' una liscia immagine patinata, dalle linee purissime, ritoccata all'aerografo nella zona di passaggio tra dorso e ventre. Stonano solo i denti. È la bocca, semiaperta, che è un brusco memento della scopo di tutto il mostro nel suo insieme: mangiare.

Così andiamo, Lui nel mare, noi in barca. Piano. Lui guida, noi seguiamo.

Di colpo se ne va. Si inabissa. La grande coda risale, il dorso marezzato dalle ondine in superficie si fa sempre più confuso. La coda "bolla" in superficie in una grande chiazza tonda di acqua liscissima che per un istante mi permette di vederlo come attraverso il vetro, poi la prua entra nella bollata ed increspa tutto. Scompare. Andato.

Lontano dei delfini saltano. Restiamo soli.

---Riccardo Andreoli

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LA CARICA DEI GRAMPI

Luogo dell'avvistamento: 1 miglio a nord di punta Solanto (SanVito Lo Capo)

Data: 4 luglio 1999 ore 11:00

Numero di esemplari: circa 50 sparpagliati a gruppi di due o tre elementi su circa mezzo miglio quadrato.

Pepe avanzava lenta a motore verso est, siamo partiti da San Vito per andare verso la riserva dello Zingaro (dove, per altro non si può navigare sotto costa). Delfini, come al solito, all'improvviso appaiono in lontananza le pinne. Ci avviciniamo, Daria ha quattro anni e non perdiamo occasione per farle vedere e conoscere tutti gli animali che incontriamo. Emerge la testa di uno di loro, è strana, ha un rigonfiamento frontale, e poi la groppa, è tutta striata, bianca e grigia. Non sono delfini, sono grampi; tre esemplari che nuotano lenti emergendo solo per respirare. Sono diffidenti e non si lasciano avvicinare più di tanto. Non vogliamo disturbarli, così spegniamo il motore e solo con la randa ci dirigiamo verso di loro. Solo allora ci accorgiamo che non sono gli unici, il mare intorno a noi è pieno di pinne e groppe. Poi vediamo una coda, ferma fuori dall'acqua, l'animale è a candela e ci resta per parecchio tempo. Altri cetacei si avvicinano alla barca e si rovesciano sul dorso, nuotano sbattendo forte le pinne pettorali e creano un gran ribollire d'acqua. Quasi mai si mettono sotto la prua come i delfini, preferiscono incrociare la rotta poco davanti o poco dietro la barca; spesso passando alzano la testa e ci guardano. Per due volte si è avvicinato un animale molto più grande degli altri e di colore grigio scuro, ha prima incrociato la rotta e poi nuotato davanti alla barca.

Dopo un'ora e mezza è avvenuto qualcosa che ha fatto cambiare il loro stato d'animo (forse le urla di Daria che reclamava il pranzo). Si sono riuniti in gruppi più numerosi e a ripetizione hanno iniziato a nuotare velocemente verso la barca. Quando arrivavano a due metri circa sbuffavano e si immergevano sbattendo violentemente la coda. Lo abbiamo interpretato come invito ad andarcene, così abbiamo acceso il motore e ci siamo allontanati. I grampi sono tornati a dividersi in gruppetti di due o tre elementi e a nuotare e mostrare la coda.

---Sante Marino

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