« HOME  

Normativa | Uffici | Avvisi | Informazioni

* Sindaco
* Giunta Comunale
* Consiglio Comunale
* Statuto
* Regolamenti
* Ordinanze
* Delibere
 * Sede
 * Servizio_civile
 * Servizi al cittadino
 * Servizi alle imprese
 * Contributi
 * Concorsi
 * Dove siamo
 * L'ambiente
 * Storia
 * La cultura e l'arte
 * La casa rustica
 * Le colture agrarie
 * Scuola
 * Sanità
 * Chiese
 * Trasporti
 * Numeri utili
 
 
 
 

LE COLTURE AGRARIE

Il grano è al centro della rotazione delle colture.

La cerealicoltura estensiva si organizza durante l'annata.

In media si coltivavano sei o sette qualità di graminacee e di leguminose, che ruotavano intorno alla coltivazione del grano; oltre ad alcune colture specializzate, quali la vite, l'ulivo, il mandorlo.

Data questa diversità di coltivazione, ogni stagione, ogni mese, ogni settimana, erano e sono caratterizzati da una serie di attività differenziate.

Essendo il grano al centro della rotazione delle colture, l'avvicendamento più comune e ripetuto, anche per quattro o cinque coppie d'annata, era quello grano-leguminosa (specialmente fave). Rotazioni meno importanti erano le seguenti: grano-cece; grano-lenticchie; grano-pisello; oppure triennalmente: grano-orzo-maggese, e poi, di nuovo, grano-leguminosa; oppure grano-maggese-maggese e, quindi di nuovo grano.

Oggi, per il maggese è molto coltivata la Sulla, che dura due anni e il Trifoglio irriguo, che dura anche cinque anni.

Le leguminose più coltivate sono le fave. Va notato che molte zone a maggese si trovano, spesso, fra i terreni a "bidatsoni".

L'annata agraria "annada" corrisponde a un anno solare, ma più che con l'anno astronomico coincide con l'andamento metereologico delle stagioni.

Verso la metà di settembre incominciano i grandi lavori per la nuova annata, che consistono nella preparazione dei terreni e delle sementi.

L'aratura "aringiu" si effettuava con l'aratro di ferro trainato da un giogo di buoi: il cavallo, a Selegas non era molto usato a causa dei terreni, molto spesso, scoscesi. Gli aratri di ferro sono stati introdotti , nella Sardegna meridionale, già nei primi anni del secolo e negli ultimi anni del secolo scorso, ma la loro diffusione massiccia e prevalente si ebbe solo dopo la prima guerra mondiale.

"S'arau de linna" o "arau sardu", aratro a chiodo, che il La Marmora crede che sia stato introdotto in Sardegna dai romani, era ancora molto usato fino agli anni quaranta e oltre, sia per gli usi normali dell'aratro, sia, specialmente, per "akkorai", cioè per fare le gore di deflusso dell'acqua piovana sovrabbondante, per la sistemazione idraulica dei campi; questo aratro rovescia, infatti, le porche da ambo le parti. Nello "akkorai", l'aratore pratico eseguiva un solco maggiore e centrale, per ricevere e convogliare le acque delle "koras" laterali, detto "sa kora maista".

L'aratura delle fave terminava a novembre e, contemporaneamente, avveniva la semina, dentro il solco.

L'aratura dei terreni a grano durava da metà novembre fino a metà gennaio, dopo di che si effettuava la semina, a spaglio.

L'aratura per l'orzo avveniva dopo la semina del grano.

E' da tenere presente che verso la metà di ottobre si faceva, e si fa, anche la vendemmia, con tutti i lavori per la vinificazione e la prima "skrattsadura", scalzatura, delle vigne.

Verso la metà di dicembre si faceva la prima zappatura delle fave. Sia per le fave che per il grano erano necessari tre mesi di zappatura, che tenevano impegnato il personale tutta la giornata, dalla mattina fino al tramonto.

L'orzo si zappava, raramente, a maggio, e a tale lavoro partecipavano anche le donne.

Verso la fine di maggio s'iniziava l'estirpazione delle fave e dei piselli. I ceci, invece, si estirpavano dopo la mietitura del grano.

Le fave si lasciavano dissecare nelle piante e si estirpavano, come le altre leguminose, quando la fase di essicamento era tale da precedere la deiescenza dei baccelli, e non tanto avanzata che ne provocasse la caduta durante lo strappo della pianta. Una volta estirpate, le fave, raccolte in piccole fascine, venivano lasciate sul terreno a completare l'essicamento. Si trasportavano, poi, con il carro a buoi, all'aia, dove avveniva la trebbiatura, che durava alcuni giorni. Parte del raccolto serviva per governare i buoi e per provviste di casa, la restante parte veniva venduta ai commercianti.

Il carro a buoi e, secondariamente, il carro a cavallo, è stato il principale mezzo di trasporto sino agli anni sessanta. Senza di esso non era possibile svolgere le principali attività agricole, in una situazione come quella di Selegas, e, più in generale, della Trexenta,

caratterizzate da una forte dispersione e polverizzazione dei fondi e della necessità di lunghi e giornalieri spostamenti e trasporti dai campi alle aie comuni, e dai campi alle case d'abitazione nel paese.

La proprietà di almeno un giogo di buoi e di un carro era anche il primo passo e il primo segno di un'ascesa verso la situazione di coltivatore autonomo.

Finita la raccolta delle fave, a giugno-luglio, si iniziava la mietitura, che durava per almeno un mese; la trebbiatura e la spagliatura del grano terminava verso la fine di luglio.

La mietitura "sa messa", si eseguiva, fino agli anni sessanta, a mano, quando la spiga "sa cabitza" era già matura e col "collo" color cera "su zugu ceratzu"; ma i culmi dovevano essere ancora un pò freschi e verdi nelle parti nodose "nùus", per evitare che parte della cariosside cadesse per terra e affinchè fosse possibile formare dei legacci per i covoni mediante un mannello di culmi mietuti in profondità.

Il lavoro doveva essere iniziato al mattino, prestissimo, già prima dell'alba, quando le piante sono meno aride e rese più elastiche dalla rugiada. E' per questo motivo, che per la maggior parte della mietitura, i lavoratori pernottavano in campagna.

La mietitura doveva essere "pulia" e onesta, non lasciando o riducendo al minimo le spighe del grano che durante il lavoro si perdono cadendo per terra. Prima d'iniziare il lavoro era necessario scegliere il punto del campo da cui partire, secondo una direzione: si sceglieva, cioè "sa tenta", che dipendeva dall'inclinazione delle piante di

grano. Era, infatti, necessario disporsi nella direzione opposta all'inclinazione del grano, affinchè il taglio potesse avvenire senza che le ariste toccassero il viso del mietitore. I mietitori si disponevano affiancati a circa tre metri l'uno dall'altro.

Terminato di mietere l'ultimo campo, il giorno della fine della mietitura, "a s'akkabu de sa messa", "sa kambarada", la squadra dei cottimisti, metteva tutta la sua arte e tutto il suo impegno per fare una "maniga de agoa", cioè l'ultimo covone. A questo fine si lasciava, nella parte migliore del campo, che veniva mietuto per ultimo, nel bel mezzo dell'ultima "tenta", un quadrilatero di grano da mietere per ultimo. "Sa maniga de agoa" doveva essere "totu arrulada", tutta ricciuta nelle ariste, per essere la più bella e la più vistosa; si collocava su un carro al quale erano "giuntus", attacati, i migliori buoi.

Questa "maniga de agoa" veniva collocata "in sa furcidda di ananti", nella forcella di legno davanti al carro, per esere bene in vista e al posto d'onore.

I vari covoni, intanto, erano stati portati nell'aia, coi carri a buoi. Le aie erano, a Selegas, in terreno comunale. Ogni proprietario ne occupava una parte e pagava una quota al Comune, sulla base dell'area occupata.

Ogni aia doveva avere lo spazio sufficiente per girarvi il bestiame che doveva effettuare la trebbiatura, e doveva essere bene esposta a tutti i venti, e specialmente al Maestrale, affinchè le cose trebbiate potessero essere ben ventilate. Scelto nell'aia il posto dove si dovevano "sterri", spargere, le spighe del grano per essere trebbiate,

si scopava ben bene quel tratto e, quindi, vi si distendevano i covoni slegati "si sterriada sa maniga". Le spighe si dovevano disporre in ordine ed in circolo, con le spighe "sa cabitza" in dentro, in maniera che i chicchi, calpestati e rimossi dalla spiga, risultassero dentro la circonferenza, e gli steli, che formavano la paglia, al di fuori. Formato così il mucchio di ciò che si doveva trebbiare a calpestio, poteva incominciare l'opera o il lavoro del bestiame.

I cottimisti dovevano avere, dal padrone, il grano direttamente nell'aia, pulitissimo e direttamente dalla "massa". Così era per tutti i servi agricoli, e per il grano che si doveva al Monte granatico.

Il grano residuato "in su fundali 'e sa messa", nel fondo della massa, non si dava mai "po sa skarada", ma dopo averlo pulito ben bene e "fattu a ciliru e cilireddu", se lo prendeva il padrone, senza mischiarlo a quello più pulito.

Il grano, fin dai primi anni del secolo, in grande misura si è sempre venduto. Fino agli anni cinquanta si conservava la quantità per la panificazione casalinga quindicinale, ma, in seguito, e specialmente oggi, si vende di solito tutto il raccolto di grano e si acquista il pane e le paste alimentari.

Dagli anni trenta in poi, e sino agli anni sessanta, Selegas aveva due trebbie fisse locali, altre trebbie venivano fatte pervenire dal Campidano. I Monti granatici sono scomparsi negli anni sessanta, ed oggi, il grano si ammassa nel locale Consorzio Agrario.

Attualmente l'aratura viene fatta con i trattori. Per il grano si fa una prima aratura di fondo con bivomero o trivomero, di circa 30-40 centimetri di profondità, quindi si appiana il terreno, sempre con l'ausilio del trattore, con l'estirpatore e l'erpice.

Segue la semina, che viene eseguita tramite una seminatrice trainata da un trattore, che contemporaneamente concima il terreno.

Verso febbraio si effettua una nuova concimazione di "copertura". Verso aprile, sempre col trattore, viene effettuato il diserbo.

A giugno-luglio si miete con la mietitrebbia ed il grano viene direttamente conferito all'ammasso.

Per le fave la semina si effettua contemporaneamente all'aratura, fatta da trattori. Il metodo di raccolta, tuttavia, è rimasto immutato.

Il Trifoglio irriguo dura quattro-cinque anni, la Sulla due anni: ciò consente di far riposare il terreno, che poi viene coltivato a grano.

L'impiego dei trattori, di cui molti agricoltori sono forniti, ha comportato la quasi completa eliminazione dei mandorli, d'ostacolo alle manovre dei mezzi meccanici oggi impiegati. L'avvento della meccanizzazione delle operazioni agricole ha acuito la piaga della disoccupazione, come si è evidenziato nella parte relativa al Censimento; piaga che già preesisteva, sia pure sotto forma di lunghi periodi di disoccupazione e di sotto-occupazione, che duravano, in media, circa quattro mesi all'anno; ma, a volte, anche cinque o sei. I numerosi lavoratori giornalieri, infatti, trovavano lavoro soprattutto nel perio

do della zappatura (inverno-primavera), dell'estirpatura delle leguminose (fine primavera) e della mietitura. Un modo di rimediare alla fame cronica conseguente ai lunghi periodi di disoccupazione era quello di farsi assegnare dai "messaius mannus" dei terreni da coltivare a "mes'a pari", provvedendo a tutta la manodopera a forza umana.

Con l'introduzione della meccanizzazione, anche quest'ultimo rifugio è venuto a mancare, e fra il 1961 ed il 1971 circa 400 seleghesi su 1800 sono dovuti emigrare, anche attirati dal miraggio di un posto sicuro nell'industria.

In conseguenza della scarsità di manodopera, sono diminuite anche le superfici vitate.

Grandi vigneti sono quelli dell'azienda Argiolas a Turriga e Ungrera.