IL XX SECOLO
Nel 1901 Selegas contava
969 abitanti(1).
Nel 1902 veniva sistemata
la volta della chiesa parrocchiale, crollata nel 1897, e
alcuni scalini del campanile, erosi dall'uso e dal tempo;
si proponeva, inoltre, l'apertura di un rosone per illuminare
meglio l'interno del Tempio: la spesa fu di Lire 1.700,
di cui 1.205 comunali(2).
Nel 1911 Selegas contava
1.162 abitanti(3).
Nel 1915 arrivò
anche in paese l'influenza detta "spagnola" e,
per l'occorrenza, fu istituito un ricovero, per i colpiti
dalla peste, nella chiesa di Sant'Elia.
Fra il 1915 e il 1918,
numerosi giovani seleghesi parteciparono, con valore, alla
prima guerra mondiale. Di essi 22 caddero combattendo; 6
morirono in seguito alle ferite riportate in azioni di guerra.
Nel 1921, Selegas contava
1.153 abitanti.
In campo nazionale, dopo
la nascita del Partito Popolare, avvenuta nel 1919, con
la scissione dal PSI, avvenuta nel mese di gennaio 1921
a Livorno, nasce il Partito Comunista d'Italia; mentre il
Partito Fascista fondato da Benito Mussolini, si fa sempre
più arrogante e pericoloso. In Sardegna, il movimento
degli ex combattenti prende forma e si proclama, ad Oristano,
Partito Sardo d'Azione, repubblicano e federalista.
Nel 1929, su riflesso di
quella internazionale, la Sardegna attraversò un
periodo di profonda crisi. Le condizioni economiche erano
precarie, ancorate al regime dei raccolti; dal Censimento
del 1931 Selegas risultò avere 1.436 abitanti e 1.488
da quello del 1936, compresa la frazione di Seuni(4).
In questo periodo si ebbero
le prime fontanelle pubbliche di un acquedotto potabile.
Qui le donne e i ragazzi attingevano l'acqua con brocche
di terracotta.
Dentro l'abitato e ai suoi
margini esistevano abbevaratoi pubblici per animali, detti
"pikkas".
Le strade erano selciate,
più o meno rozzamente, e mal sistemate per il deflusso
dell'acqua piovana. D'inverno, spesso, diventavano acquitrini,
anche difficilmente "guadabili", nei punti più
bassi. Le strade rimarranno così fino agli anni sessanta,
quando saranno quasi tutte asfatate.
Il 10 giugno del 1940 l'Italia
fascista, seguendo l'esempio dell'alleata Germania nazista,
entrava nel conflitto mondiale, dichiarando guerra all'Inghilterra
e alla Francia.
Anche numerosi giovani
seleghesi presero parte alle ostilità: molti nell'esercito,
qualcuno in marina e nell'aeronautica. Erano sparsi su tutti
i fronti: in Francia, in Russia, in Iugoslavia, in Albania,
in Grecia, nell'Africa settentrionale e in quella orientale.
Nelle piazze e nei cortei
si cantava: "Vincere, Vincere, Vincere e vinceremo
in cielo, in terra e in mare". Ma il ricordo di tali
manifestazioni in divisa era destinato a svanire nel nulla.
Il 5 giugno 1944 gli anglo-americani
entrarono a Roma. Con la fine della guerra, la Roma imperiale
si ritrovò in ginocchio: Selegas, un piccolo paese
sperduto, che isolato dalla tragica realtà vissuta
dalle popolazioni continentali, poteva solo contare i diversi
giovani che non tornarono a casa: 15, tutti caduti in combattimento.
Finita la guerra, fra il
1946-1950 la Fondazione Rokfeller e l'E.R.L.A.S. vincono
la grande battaglia contro la malaria, il flagello che per
oltre due millenni ha ostacolato lo sviluppo della Sardegna.
Nel 1951 Selegas conta
1.756 abitanti, ne conterà 1.827 nel 1961(5). Nel
1971 si contano 1.483 abitanti(6), 478 meno del precedente
Censimento: questo è stato, anche per Selegas, il
risultato del "boom" economico in campo nazionale;
il risultato della visione dualistica dell'economia italiana,
costituita da un gruppo di regioni industrializzate, cui
si contrapponeva il gruppo delle regioni meridionali, la
cui funzione precipua era quella di esportare forza lavoro.
La domanda di forza lavoro
si fece, intorno agli inizi degli anni sessanta, sempre
più accesa nelle regioni settentrionali; cominciò,
così, il grande flusso migratorio, che ha rappresentato
una delle caratteristiche più salienti dell'economia
italiana nel dopoguerra, e al tempo stesso una delle forme
più tangibili dell'assoluta insufficienza della politica
di sviluppo regionale.
Le opere e le infrastrutture
che, nel frattempo, l'intervento della Cassa per il Mezzogiorno
aveva creato, finivano in buona parte per risultare inutilizzate,
così come molti insediamenti rurali che si era cercato
di stimolare con la riforma fondiaria.
D'altro canto, la popolazione
che non emigrava verso il Nord, si muoveva verso le zone
costiere dell'isola, le uniche che avevano visto il sorgere
di attività industriali e commerciali, e che, quindi,
presentavano qualche possibilità di occupazione.
La tendenza alla polverizzazione
fondiaria, il regime sucessorio, lo scambio ineguale e la
politica del grano, hanno bloccato, per secoli, lo sviluppo
di ogni forma, sia pure la più primitiva, di capitalismo
agrario, e di conseguenza qualunque trasformazione naturale
nelle regioni umide e fertili della Sardegna.
Nell'ultimo trentennio,
tuttavia, si sono raggiunte, in Sardegna, le più
estese superfici a cereali e le più elevate produzioni
-il grano duro rimane ancora il cereale più estesamente
coltivato-; l'anno record è stato il 1957(7). Ai
giorni nostri si ha un calo generalizzato per quanto riguarda
le superfici coltivate: calo da attribuire al progressivo
abbandono dei terreni marginali, cioè di quelle aree
caratterizzate da pendenza eccessiva, presenza di pietrosità,
ridotta dimensione dei campi, e, più in generale,
da condizioni che non si prestano ad accogliere le più
aggiornate tecnologie, che utilizzano diffusamente le macchine.
Oggi la moderna cerealicoltura
consente la meccanizzazione integrale di tutte le operazioni
colturali, dalla semina alla raccolta.
I trattori, le seminatrici,
i diserbanti, gli spandiconcime, le mietitrebbie, hanno
definitivamente sostituito il seminatore che affidava alla
terra seme e speranze, così come il mietitore con
la falce in pugno.
La riduzione delle superfici
è stata, in parte, compensata dalle più alte
produzioni oggi conseguibili per ettaro. Infatti, mentre
la resa media del frumento duro, negli anni cinquanta, era
in Sardegna di 10 quintali per ettaro, nel 1981 si sono
sfiorati i 20 quintali per ettaro(8).
Gli incrementi nelle rese
unitarie oggi conseguibili, sono da attribuire alle più
profonde lavorazioni, alla più accurata sistemazione
dei terreni, al diffuso impiego di fertilizzanti e diserbanti
nonché all'uso di più moderne varietà
messe a disposizione dalla genetica vegetale.
LA
PREISTORIA - I
FENICIO PUNICI - LA
DOMINAZIONE ROMANA - IL
MEDIOEVO - LA
DOMINAZIONE SPAGNOLA - IL
PERIODO SABAUDO E IL XIX SECOLO - IL
XX SECOLO
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