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b) Il Neolitico
Terminate le fasi glaciali intorno a 10.000 anni fa e assestatosi il
territorio dopo la cessazione dei fenomeni vulcanici, inizia nella valle del
Fiora un periodo in cui l'aumento della temperatura favorisce la fertilità del
terreno: come nelle altre zone della penisola, la rivoluzione del Neolitico ha
favorito il passaggio da un'economia basata sulla caccia e sulla raccolta a
quella in cui, mediante la coltivazione dei campi e l'allevamento del bestiame,
l'uomo diviene produttore dei suoi mezzi di sostentamento. Sono villaggi
stabili, si scoprono la tessitura e l'arte della ceramica. Due siti solamente
(se si esclude la presenza di una lama tipologicamente riferibile rinvenuta a
Rofalco) hanno restituito materiali neolitici in abbondanza: Roppozzo e Le
Cantonate.
Qui si segnala la presenza di numerosi frammenti di
ossidiana, tra cui anche delle schegge che sembrerebbero indicare una continuità
del workshop anche in questo periodo. Da notare l'esistenza di un altro
ritrovamento neolitico nel comune di Farnese, Sorgenti della Nova. Più in
generale si riscontra che la maggior parte dei rinvenimenti della valle del
Fiora è concentrata nei dintorni di Vulci, dove la valle si apre e le aree
pianeggianti sono più numerose. Qui,
nei siti di Monte Rozzi, Torre Crognola, Ponte dell'Abbadia e La Diga, i
frammenti raccolti in superficie, e quindi poco affidabili, permettono tuttavia
di individuare la presenza del Neolitico Inferiore con ceramica impressa
collegato alla corrente culturale che dall'Italia meridionale sale lungo le
coste sino alla Liguria; del Neolitico tipo Sasso, che in qualche modo si
riallaccia alla fase culturale europea della ceramica lineare; del Neolitico
Superiore in cui compaiono forme e anse del tipo Lagozza, diffuse in Italia
settentrionale, e di tipo Diana il cui modello proviene da Lipari e dall'Italia
meridionale. La fase di Sasso e'
presente anche nella Grotta di Settecannelle (Ischia di Castro), mentre quella
di tipo Lagozza caratterizza l'abitato di Poggio Olivastro. Purtroppo l'assenza
di rinvenimenti ceramici all'interno della Selva del Lamone, ascrivibili al
periodo, e' limitante per l'inserimento in un ambito cronologico più ristretto
e non si può, per ora, indicare a quali fasi culturali siano da attribuire i
ritrovamenti litici.
c) L'età del Rame
Durante l'età del Rame la valle del Fiora, intensamente abitata, diviene
centro di diffusione di una fase culturale ben caratterizzata, che si estende
anche nella limitrofa valle dell'Albegna, tra Lazio settentrionale e Toscana
meridionale: la civiltà di Rinaldone. Alla base di questo sviluppo sta
probabilmente la ricchezza di minerali del territorio.
Dal Monte Amiata si estrae il cinabro, solfuro di mercurio, usato come
colorante e spesso confuso, nei ritrovamenti archeologici, con la polvere di
ocra, anch'essa rossa. Polvere di
cinabro e' stata rinvenuta nelle tombe delle necropoli rinaldoniane, a colorare
il volto dei defunti. Nei pressi di Manciano si estrae l'antimonio, usato
probabilmente nella lavorazione metallurgica per abbassare il punto di fusione
del rame, e difatti si ritrova in tracce negli oggetti cupriferi di questa
facies, oltre alla presenza nei corredi di oggetti di questo metallo
inizialmente scambiato per argento. Il rame, presumibilmente anche in forma
nativa e affiorante in superficie, era presente nei Monti di Castro, presso
Ponte San Pietro. La civiltà di Rinaldone si sviluppa tra la fine del III
millennio a.C. e l'inizio del II. Sulla base dei dati finora noti e' stata
proposta una suddivisione interna in due fasi, la seconda delle quali sarebbe
contemporanea al primo apparire dell'età del Bronzo (Peroni 1971). Questo
periodo e' ben rappresentato nel Lamone dalle necropoli di Palombaro e del
Gottimo, dai rinvenimenti di Mandria Buona, Semonte, Campo del Gottimo, Roppozzo,
oltre che dalle vicinissime necropoli di Naviglione e Saltarello e del
ritrovamento di Macchia Grande. Tutti
i materiali sono ascrivibili alla facies di Rinaldone, che prende il nome dalla
necropoli eponima situata vicino Viterbo e abbraccia un arco cronologico
compreso tra il 2.500 e il 1.800 a.C., caratterizzata da necropoli con struttura
tombale a "forno" e dai cosiddetti vasi a fiasca come elementi di
corredo.
L’ espansione territoriale di questa cultura interessa
prevalentemente le medie valli del Fiora e dell'Albegna (31 necropoli tipiche di
cui 4 nel comune di Farnese), anche se oggetti tipici sono stati rinvenuti al di
fuori di quest'area, soprattutto in grotte: Monte Bradoni (Volterra), Grotta San
Giuseppe di Rio Marina nell'isola d'Elba (Livorno), Grotta dell'Orso di Sarteano
(Siena), Grotta del Beato Benincasa di Pienza (Siena), Belverde di Cetona
(Siena), Pianizzoli di Massa Marittima (Grosseto), Grotta Prato di Massa
Marittima (Grosseto), Grotta del Fontino di Montepescali (Grosseto), Grotta
dello Scoglietto di Alberese (Grosseto), Punta degli Stretti all'Argentario
(Grosseto). Purtroppo a causa
dell'assenza di abitativo (solo 3 conosciuti e non scavati di recente:
Crostoletto di Lamone, Luni sul Mignone e Torre Crognola) nulla è possibile
affermare riguardo al tipo di organizzazione economica, nessun dato oggettivo
permette ancora di appurare se le genti di Rinaldone fossero dedite alla
pastorizia piuttosto che all'agricoltura; quasi certamente non dovevano essere
nomadi. Infatti l'area da essi
occupata sembra ben circoscritta e soprattutto le sepolture plurime, successive
l'una all'altra, portano a supporre che ciascuna tomba venisse destinata ad un
gruppo "familiare", ad una "linea di discendenza” e che quindi
fosse usata per più di una generazione da gruppi stabili sul territorio.
La protostoria
a) Il Bronzo Antico
La facies locale in cui rientra la valle del Fiora, proposta dalla Negroni (Negroni
1981, 1988) e' quella di Mezzano - Montemerano.
In questa fase il rame viene lavorato in lega con lo stagno,
probabilmente estratto dalle Colline Metallifere (Strobel 1879) e caratterizza
sempre più, come sembra dai rinvenimento dei cosiddetti ripostigli, la vita
economica. Probabilmente per questo
periodo resta valida l'individuazione di due clusters fatta dal Barker (Barker
1971), in quanto la circolazione dei metalli, e quindi anche la presenza dei
ripostigli, sembra essere in gran parte limitata alle zone di estrazione,
facendo supporre produzioni essenzialmente locali. I rinvenimenti del Bronzo
Antico (XVIII-XVI sec. a.C.) effettuati nel comune di Farnese, sono tutti
localizzati all'interno della Selva del Lamone, nelle località di Castelletto
di Prato Fabulino, Mandria Buona, Roccoia, Murcia Bianca, Prato Pianacquale,
Valderico, e probabilmente anche Buche Bietole.
Ad un primo approccio sembrano trattarsi tutti di abitati, situati in
un'area ristretta sulla riva destra del fosso Olpeta, con esposizione a sud e
inseriti tutti all'interno di cinte murarie più o meno evidenti.
Questa situazione lascerebbe pensare ad una scelta
insediamentale ben precisa le cui modalità purtroppo al momento sfuggono.
b) Il Bronzo Medio
Situazione molto simile alla precedente si ha per il BM (XVI-Xlll sec. a.C.)
dove le attestazioni sono localizzate a Roccoia, Mandria Buona, Castelletto di
Prato Fabulino, Murcia Bianca, sempre sulla riva destra dell'Olpeta.
Da notare la presenza a Roccoia di un frammento con decorazione
"appenninica" del BM 3. Il termine di cultura appenninica fu
introdotto da U. Relfini per indicare l'insieme di manifestazioni riconoscibili
nella media età del Bronzo della penisola italiana, soprattutto lungo la
dorsale dell'Appennino, avevano come tratto comune un particolare tipo di
ceramica nero-lucida decorata con l'incisione e l'intaglio secondo motivi a
bande punteggiate, a spirali e a meandri.
c) Il Bronzo
Recente
Questo periodo e' attestato, anche se con abbondanti materiali ceramici,
solo a La Botte, sito che ha restituito tra l'altro, numerosi frammenti di
protomi zoomorfe. La Botte presenta
alcune peculiarità che rendono il ritrovamento di notevole importanza.
Oltre ad essere l'unico abitato nell'area indagata attribuibile al Bronzo
Recente (XIII-XII sec. a.C.), e' caratterizzato da una continuità dal Bronzo
Medio al Bronzo Finale. Inoltre
occupa, per quello che e' dato a vedere dall'affioramento dei materiali, un
falsopiano alle pendici di una piccola rupe isolata sulla quale e' situato un
castello medievale. Le
caratteristiche geomorfologiche della probabile area di estensione e, in linea
di massima, le attribuzioni cronologiche, sembrano concorrere nell'avvicinare
questo sito a quelli di Ponte San Pietro Valle (Negroni 1981) e di Le Colle
(Casi - di Gennaro 1992). Questi
due abitati hanno in comune, tra l'altro, l'estrema vicinanza a due grotte
frequentate probabilmente per fini rituali, Grotta Nuova e Grotta Misa; cosa
questa che induce a non escludere la possibilità dell'esistenza, anche in
prossimità di La Botte, di una situazione ipogeica simile alle due
precedentemente citate anche sulla base di una situazione geologica confacente.
Siamo difatti in presenza del contatto di due strati geologici diversi,
calcare e argilla; situazione nella quale spesso affiorano sorgenti e si aprono
grotte causate dallo scorrimento dell'acqua.
d) Il Bronzo
Finale
E processo di etnogenesi che porterà alla nascita della civiltà etrusca
inizia, forse, già nel momento in cui la valle del Fiora e l'Etruria in
generale divengono aree di estrazione ed esportazione di minerali e metalli,
Sicuramente questo processo può considerarsi quasi compiuto alla fine dell'età
del Bronzo, durante la fase definita "Protovillanoviano" (XII-X sec.
a.C.) quando il territorio subisce un processo di riorganizzazione rispetto al
periodo precedente. Gli abitati si
spostano su pianori fortificali naturalmente ed alcuni assumono proporzioni
notevoli, tanto che si può supporre l'esistenza di centri egemoni; inoltre la
copresenza di tombe a tumolo. e di altre in nuda terra indica l'esistenza di
ceti egemoni e quindi di un'organizzazione sociale piuttosto complessa.
Si assiste inoltre ad un notevole sviluppo demografico e all'incremento
dell'attività metallurgica: i prodotti della valle del Fiora raggiungevano
l'alto Adriatico attraversando l'Appennino nei pressi di Bologna. Durante il
Bronzo Finale si diffonde il rito dell'incinerazione: le sepolture sono
costituite da urne di forma biconica contenenti le ceneri del defunto e pochi
oggetti di corredo, chiuse da una ciotola coperchio, come a Pian della Contessa,
Crostoletto di Lamone e Castelfranco Lamoncello. Nell'area indagata, i
rinvenimenti
protovillanoviani sembrano essere tutti di contesto
abitativo: Valderico, Murcia Bianca, Calanchilaquila, Le Castellare, La Botte.
A differenza della situazione generale, nel Lamone non sembra verificarsi
quel cambiamento di scelta insediamentale che invece spesso contraddistingue in
Etruria gli abitati protovillanoviani, cioè l'occupazione di aree difese
naturalmente. Questa caratteristica sembra infatti essere già presente negli
insediamenti del Lamone nei periodi precedenti, anzi con un'accentuazione di
questo carattere tramite l'erezione di cinte murarie, a volte anche imponenti,
che recingono le aree abitative. Gli
altri già presenti nel territorio comunale, Sorgenti della Nova, Naviglione,
Casone e Farnese, testimoniano, ancora una volta, una frequentazione dell'area
in maniera capillare nel Bronzo Finale.
Il periodo
etrusco
Alle numerose quanto importanti
testimonianze della Protostoria non seguono, nella media valle del Fiora, uguali
attestazioni per l'età del Ferro, anzi la zona sembra subire un repentino
arresto dello sviluppo culturale.
La Selva del Lamone non sembra fare eccezione, in quanto nessun rinvenimento e'
ascrivibile alle due fasi culturali del periodo Villanoviano (IX - prima metà
VIII sec. a.C.). Questa cesura sembra continuare anche nella successiva fase
Orientalizzante non esistendo ritrovamenti riferibili.
La cesura sopra delineata e' forse da porre in relazione con quello che succede
alla fine del Bronzo Finale, cioè lo spopolamento di molti centri dell'Etruria
interna a favore di un modello insediamentale accentrativo che convoglia le
genti su quei siti che poi diventeranno le città etrusche.
L’assenza nel Lamone di città etrusche può forse spiegare quindi la
mancanza di dati relativi al Villanoviano e all'Orientalizzante, periodi che
hanno visto, tra l'altro la nascita di alcune città vicine quali Vulci, Castro
e Bisenzio dove probabilmente e' confluita buona parte della popolazione che
abitava la zona nel Bronzo Finale. La ripresa della frequentazione della Selva
del Lamone risulta essere ancora una volta atipica rispetto il quadro più
generale della valle del Fiora. Infatti
alla fine dell'età arcaica si assiste, su tutto il territorio vulcente, ad una
decadenza degli abitati interni come Pitigliano, Poggio Buco, Castro (Statonia),
forse da imputare ad un cambiamento nei rapporti con Vulci che probabilmente non
può più tollerare la presenza di altri centri di potere potenzialmente
antagonisti. E' proprio in questo momento che invece sembra sorgere l'abitato di
Rofalco, forse non in contraddizione ma come diretta conseguenza della politica
espansionistica di Vulci che probabilmente fonda il villaggio per
l'approvvigionamento di quelle materie che in parte erano divenute carenti con
la distruzione o l'inurbamento dei centri interni della valle del Fiora.
L’importanza di Rofalco risalta ancor più se si considera la funzione svolta
di centro egemone nella media valle dell'Olpeta, dal quale dovevano dipendere
infatti i villaggi de I Casali, I Crini, La Murcia del Prigioniero e Le
Castellare. Si assiste in questa fase alla ripresa di un modello di
organizzazione territoriale già documentato nell'età del Bronzo, dove gli
abitati sono costruiti al bordo della Selva su speroni in parte difesi
naturalmente e integrati da cinte murarie spesso imponenti.
La relativa floridezza raggiunta da questo sistema può essere
individuata in alcune strutture monumentali quali la tomba del Gottimo,
costituita da due celle speculari con ampio vestibolo e soffitto a travatura,
che testimonia la presenza di una famiglia gentilizia tra il V e il IV sec. a.C.
Anche altri rinvenimento nella Selva, al momento meno appariscenti, sono
probabilmente da porre in relazione con il sistema sopra descritto, quali la
tomba di Santa Maria di Sala, la necropoli del Palombaro, la necropoli della
Valgiovanna, la necropoli del Gottimo, le tagliate dei Gottimo e di Le
Castellare, i rinvenimenti di Castelletto di Prato Fabulino e di La Botte. La
fine di questo sistema insediamentale è probabilmente da porre in relazione con
la conquista romana, che vede soccombere Vulci nel 280 a.C. e che
successivamente interessa i centri minori riorganizzandoli, come Sovana, o
distruggendoli per sempre, come Rofalco.
Il periodo
romano
Dopo la caduta di Vulci Roma ne
confisca metà del territorio e deduce 2 praefecture: la Saturniensis (Festo
s.v. praefectura) e la Statoniensis (Vitr. 2.7.3.). Quasi sicuramente la Selva
del Lamone dovette far parte di quella Statoniensis che si estendeva dal lago di
Bolsena al Fiora. Una serie di
fattori concorsero a spingere il governo romano a ordinare il vulcente interno a
prefettura: in particolare l'evidente scarso sviluppo di strutture civiche e
l'esigenza di una riorganizzazione territoriale più funzionale ai nuovi
interessi. Nel II sec. a.C.,
presumibilmente in età gracchiana, la situazione cambia radicalmente in alcune
zone, si registra infatti un notevole aumento demografico evidenziato dalla
nascita di molte fattorie che tende però a diminuire già agli inizi del I sec.
a.C. a vantaggio di quel graduale accentramento che porterà alle grandi
proprietà fondiarie.
All'interno della Selva del Lamone si conoscono, per il momento, 10 fattorie (3
a Campo della Villa, 1 a Palombaro, 1 a Roppozzo, 2 a Semonte, 1 alla Mandriola,
1 al Voltone, 1 alla Chiavicciola ), 5 necropoli (Campo della Villa, Semonte,
Valderico, Palombaro, Gottimo), 2 strade basolate (Campo della Villa e Gottimo),
per un totale di 17 unità archeologiche distribuite su tutta l'area.
Non e' stata riscontrata l'esistenza dei 4 pagi descritti dalla Rossini e dalla
Sperandio (Rossini-Sperandio 1985) individuali secondo le autrici a Rofalco,
Stenzano, Valderico e Semonte. Se consideriamo anche i vicini rinvenimenti (
sempre all'interno del territorio comunale) di Poggio Campana (fattoria),
Saltarello (fattoria), La Cuccumella (fattoria), Naviglione (fattoria e 2
necropoli), Campo del Carcano (fattoria e 2 siti non ben definiti), Casaletto
Brunelli (fattoria e necropoli), Casone (fattoria e necropoli), Chiusa del Belli
(fattoti a e necropoli), Fornicello (fattoria), abbiamo un quadro più completo
della complessa e capillare distribuzione insediamentale nel periodo
considerato. Possiamo notare che a
una relativa abbondanza di fattorie non corrisponde proporzionalmente la
presenza di ville. Infatti nessun
sito enunciato può essere definito con il termine di villa, cosa che potrebbe
significare la considerazione del Lamone come area di marginale importanza.
La questione diventa abbastanza evidente se si pensa alle caratteristiche
agricole delle proprietà fondiarie che dovevano avere delle fertili pianure del
basso corso del Fiora ben altro concetto.
Il periodo
medievale
In questo periodo si assiste ad una
scelta insediamentale lungo le valli dei due fossi che costituiscono i confini
naturali della Selva del Lamone : il Crognoleto e l'Olpeta. Sull'Olpeta si ha il
complesso di S.Maria di Sala dove sono state individuate le seguenti unità
archeologiche : una chiesa, un abitato rupestre, un castello, una necropoli e un
ponte. Già lo stesso toponimo indica l'origine dell'insediamento e l'epoca
della sua fondazione, che fu longobarda. Infatti
il longobardo "sala" e' originariamente relativo ad un edificio con
una sola stanza, ma anche dimora, e nel medio evo passò ad indicare (dapprima
solo nelle zone occupate dai Longobardi, e quindi anche in altre parti del
territorio italiano) un insediamento campestre destinato al governo delle
greggi. Le prime notizie storiche
risalgono al 1210 e si trovano in un atto di infeudazione dell'imperatore Ottone
IV alla famiglia degli Ildebrandini. L’ultimo documento che nomina Sala è il
testamento di Ranuccio di Farnese "il vecchio" datato 1450. A questo
complesso dobbiamo aggiungere quello di La Botte-La Mattonara, immediatamente a
est, e quello di Stenzano, più ad ovest, che confermano la scelta
insediamentale lungo l'Olpeta. A nord, nella valle del Crognoleto, e'
localizzato il complesso Valderico-Pian di Longino.
Anche qui il toponomo ci indica sia l'origine che l'epoca di
fondazione. Infatti il termine
Valderico deriva dall'unione di due parole longobarde : "wald" (bosco)
e "rick" (signore) e sta ovviamente a significare "signore del
bosco". Il complesso e'
composto da un villaggio, posto in posizione naturalmente fortificata sulla rupe
che domina la sorgente omonima, da una chiesa e da una necropoli.
A questi resti dobbiamo aggiungere, sempre lungo il corso del Crognoleto,
quelli dei castelli di Pianacce (Citiniano) e Fontanaccio, e quelli di Sorgenti
della Nova (Castiglione) nelle immediate vicinanze.
Il Brigantaggio
Per comprendere il fenomeno del brigantaggio è necessario considerare le condizioni di vita
in cui versavano le popolazioni della Maremma all'Unità d'Italia. Grandi estensioni di
terreni paludosi dominati dalla malaria, vaste estensioni di terra fertile in mano a pochi
latifondisti, che vi praticavano un'agricoltura estensiva con una richiesta minima di
manodopera e ovunque, la miseria, condizione di vita normale per la grande maggioranza
della popolazione. Si diventa briganti per necessità di sopravvivenza, non certo per
improbabili ideali di riscatto sociale, magari all'ennesima angheria subita da parte dei
fattori o dei guardiani dei latifondi cui, per disperazione, si rispondeva alla fine con un
atto di violenza. L'unico modo per sfuggire alla giustizia era quello di "darsi alla macchia".
Nella Selva del Lamone, che con la sua vegetazione aspra e i suoi inaccessibili anfratti
costituiva il luogo ideale per la latitanza e l'azione di questi banditi, il brigantaggio è
legato ai nomi di Domenico Biagini, Luciano Fioravanti, David Biscardini, Domenico
Basili, e
Domenico Tiburzi, le cui gesta si ammantarono di legenda grazie all'intelligenza con cui seppe
gestire la propria permanenza nella macchia, accreditandosi l'immagine del bandito buono,
che rubava ai ricchi per donare ai poveri, catturato al seguito di un tradimento di un membro
della sua banda fu giustiziato nel territorio di Capalbio (GR)