Notizie Storiche
Preistoria La preistoria
Protostoria La protostoria
Etrusco Il periodo etrusco

Romano Il periodo romano

Medievale Il periodo medievale

Brigantaggio Il Brigantaggio

La preistoria
a) Il Paleolitico
La più antica frequentazione della Selva del Lamone e' attestata a Roppozzo e sulla base dei criteri tipologici di datazione dei reperti litici sembra risalire al Paleolitico Medio. Secondo una convenzione introdotta da F. Bordes, il Paleolitico Medio inizierebbe (80.000 - 90.000 anni fa circa) in corrispondenza dell'instaurarsi del clima freddo dell'ultima glaciazione (Wurm); interesserebbe i primi due stadi di questa (Wurm I e Wurm II con l'intercalato episodio temperato del WI - WII), nonché una buona parte (fino a 35.000 anni fa) del successivo interstadio WH - WRI.  Gli studiosi di paleoecologia attribuiscono al primo stadio wurmiano un clima prevalentemente oceanico, freddo - umido, al secondo un clima più continentale, freddo - arido.  In Italia il Wurm I vede la persistenza di faune a grandi pachidermi di ambiente temperato, come ippopotamo, elefante rinoceronte.   E' da far risalire a questa epoca probabilmente il rinvenimento dell' elefante effettuato nella miniera dell'Acquaforte. Il Wurm II vede invece lo sviluppo di specie di ambiente aperto, come equidi e capridi (soprattutto lo stambecco).  Nell'interstadio W II – W III si instaurano condizioni di clima relativamente più temperato - umido, con ritorno di specie forestali.  Appunto alla fine di questo interstadio al Paleolitico Medio si sostituisce il Paleolitico Superiore.  Il ritrovamento di Roppozzo,insieme a quello isolato di Cavicchione, si colloca in questo ultimo interstadio compreso tra 50.000 (ultima colata lavica) e 35.000 anni fa.  La frequentazione di Roppozzo sembra continuare anche nel periodo successivo, il Paleolitico Superiore, in maniera apparentemente più decisa.  Sulla base delle caratteristiche dei materiali raccolti in superficie, nuclei, schegge e scarti di lavorazione, utensili rotti, possiamo vedere, forse, nel sito in questione, l'esistenza di un workshop, cioè un atelier per la produzione dello strumentario lirico.  Altri rinvenimenti, effettuati nella Selva, anche se isolati, possono essere attribuiti a questa fase: Le Cantonate, Campo del Gottimo, Guado Farnesano e forse La Mattonara.  Importante è comunque notare che i nuovi rinvenimenti di Castelfranco, Cava delle Sparme, Naviglione, Girasole, Valle Felciosa (, insieme a quelli già conosciuti di Ponte dell'Arsa, Poggio del Melograno, Grotta delle Settecannelle, Montauto, sembrano testimoniare un'intensità di frequentazione della media valle del Fiora maggiore di quanto in precedenza supponibile.

b) Il Neolitico
Terminate le fasi glaciali intorno a 10.000 anni fa e assestatosi il territorio dopo la cessazione dei fenomeni vulcanici, inizia nella valle del Fiora un periodo in cui l'aumento della temperatura favorisce la fertilità del terreno: come nelle altre zone della penisola, la rivoluzione del Neolitico ha favorito il passaggio da un'economia basata sulla caccia e sulla raccolta a quella in cui, mediante la coltivazione dei campi e l'allevamento del bestiame, l'uomo diviene produttore dei suoi mezzi di sostentamento. Sono villaggi stabili, si scoprono la tessitura e l'arte della ceramica. Due siti solamente (se si esclude la presenza di una lama tipologicamente riferibile rinvenuta a Rofalco) hanno restituito materiali neolitici in abbondanza: Roppozzo e Le Cantonate.   Qui si segnala la presenza di numerosi frammenti di ossidiana, tra cui anche delle schegge che sembrerebbero indicare una continuità del workshop anche in questo periodo. Da notare l'esistenza di un altro ritrovamento neolitico nel comune di Farnese, Sorgenti della Nova. Più in generale si riscontra che la maggior parte dei rinvenimenti della valle del Fiora è concentrata nei dintorni di Vulci, dove la valle si apre e le aree pianeggianti sono più numerose.  Qui, nei siti di Monte Rozzi, Torre Crognola, Ponte dell'Abbadia e La Diga, i frammenti raccolti in superficie, e quindi poco affidabili, permettono tuttavia di individuare la presenza del Neolitico Inferiore con ceramica impressa collegato alla corrente culturale che dall'Italia meridionale sale lungo le coste sino alla Liguria; del Neolitico tipo Sasso, che in qualche modo si riallaccia alla fase culturale europea della ceramica lineare; del Neolitico Superiore in cui compaiono forme e anse del tipo Lagozza, diffuse in Italia settentrionale, e di tipo Diana il cui modello proviene da Lipari e dall'Italia meridionale.  La fase di Sasso e' presente anche nella Grotta di Settecannelle (Ischia di Castro), mentre quella di tipo Lagozza caratterizza l'abitato di Poggio Olivastro. Purtroppo l'assenza di rinvenimenti ceramici all'interno della Selva del Lamone, ascrivibili al periodo, e' limitante per l'inserimento in un ambito cronologico più ristretto e non si può, per ora, indicare a quali fasi culturali siano da attribuire i ritrovamenti litici.

c) L'età del Rame
Durante l'età del Rame la valle del Fiora, intensamente abitata, diviene centro di diffusione di una fase culturale ben caratterizzata, che si estende anche nella limitrofa valle dell'Albegna, tra Lazio settentrionale e Toscana meridionale: la civiltà di Rinaldone. Alla base di questo sviluppo sta probabilmente la ricchezza di minerali del territorio.  Dal Monte Amiata si estrae il cinabro, solfuro di mercurio, usato come colorante e spesso confuso, nei ritrovamenti archeologici, con la polvere di ocra, anch'essa rossa.  Polvere di cinabro e' stata rinvenuta nelle tombe delle necropoli rinaldoniane, a colorare il volto dei defunti. Nei pressi di Manciano si estrae l'antimonio, usato probabilmente nella lavorazione metallurgica per abbassare il punto di fusione del rame, e difatti si ritrova in tracce negli oggetti cupriferi di questa facies, oltre alla presenza nei corredi di oggetti di questo metallo inizialmente scambiato per argento. Il rame, presumibilmente anche in forma nativa e affiorante in superficie, era presente nei Monti di Castro, presso Ponte San Pietro. La civiltà di Rinaldone si sviluppa tra la fine del III millennio a.C. e l'inizio del II. Sulla base dei dati finora noti e' stata proposta una suddivisione interna in due fasi, la seconda delle quali sarebbe contemporanea al primo apparire dell'età del Bronzo (Peroni 1971). Questo periodo e' ben rappresentato nel Lamone dalle necropoli di Palombaro e del Gottimo, dai rinvenimenti di Mandria Buona, Semonte, Campo del Gottimo, Roppozzo, oltre che dalle vicinissime necropoli di Naviglione e Saltarello e del ritrovamento di Macchia Grande.  Tutti i materiali sono ascrivibili alla facies di Rinaldone, che prende il nome dalla necropoli eponima situata vicino Viterbo e abbraccia un arco cronologico compreso tra il 2.500 e il 1.800 a.C., caratterizzata da necropoli con struttura tombale a "forno" e dai cosiddetti vasi a fiasca come elementi di corredo.   L’ espansione territoriale di questa cultura interessa prevalentemente le medie valli del Fiora e dell'Albegna (31 necropoli tipiche di cui 4 nel comune di Farnese), anche se oggetti tipici sono stati rinvenuti al di fuori di quest'area, soprattutto in grotte: Monte Bradoni (Volterra), Grotta San Giuseppe di Rio Marina nell'isola d'Elba (Livorno), Grotta dell'Orso di Sarteano (Siena), Grotta del Beato Benincasa di Pienza (Siena), Belverde di Cetona (Siena), Pianizzoli di Massa Marittima (Grosseto), Grotta Prato di Massa Marittima (Grosseto), Grotta del Fontino di Montepescali (Grosseto), Grotta dello Scoglietto di Alberese (Grosseto), Punta degli Stretti all'Argentario (Grosseto).  Purtroppo a causa dell'assenza di abitativo (solo 3 conosciuti e non scavati di recente: Crostoletto di Lamone, Luni sul Mignone e Torre Crognola) nulla è possibile affermare riguardo al tipo di organizzazione economica, nessun dato oggettivo permette ancora di appurare se le genti di Rinaldone fossero dedite alla pastorizia piuttosto che all'agricoltura; quasi certamente non dovevano essere nomadi.  Infatti l'area da essi occupata sembra ben circoscritta e soprattutto le sepolture plurime, successive l'una all'altra, portano a supporre che ciascuna tomba venisse destinata ad un gruppo "familiare", ad una "linea di discendenza” e che quindi fosse usata per più di una generazione da gruppi stabili sul territorio.
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La protostoria
a) Il Bronzo Antico
La facies locale in cui rientra la valle del Fiora, proposta dalla Negroni (Negroni 1981, 1988) e' quella di Mezzano - Montemerano.  In questa fase il rame viene lavorato in lega con lo stagno, probabilmente estratto dalle Colline Metallifere (Strobel 1879) e caratterizza sempre più, come sembra dai rinvenimento dei cosiddetti ripostigli, la vita economica.  Probabilmente per questo periodo resta valida l'individuazione di due clusters fatta dal Barker (Barker 1971), in quanto la circolazione dei metalli, e quindi anche la presenza dei ripostigli, sembra essere in gran parte limitata alle zone di estrazione, facendo supporre produzioni essenzialmente locali. I rinvenimenti del Bronzo Antico (XVIII-XVI sec. a.C.) effettuati nel comune di Farnese, sono tutti localizzati all'interno della Selva del Lamone, nelle località di Castelletto di Prato Fabulino, Mandria Buona, Roccoia, Murcia Bianca, Prato Pianacquale, Valderico, e probabilmente anche Buche Bietole.  Ad un primo approccio sembrano trattarsi tutti di abitati, situati in un'area ristretta sulla riva destra del fosso Olpeta, con esposizione a sud e inseriti tutti all'interno di cinte murarie più o meno evidenti.   Questa situazione lascerebbe pensare ad una scelta insediamentale ben precisa le cui modalità purtroppo al momento sfuggono.

b) Il Bronzo Medio
Situazione molto simile alla precedente si ha per il BM (XVI-Xlll sec. a.C.) dove le attestazioni sono localizzate a Roccoia, Mandria Buona, Castelletto di Prato Fabulino, Murcia Bianca, sempre sulla riva destra dell'Olpeta.  Da notare la presenza a Roccoia di un frammento con decorazione "appenninica" del BM 3. Il termine di cultura appenninica fu introdotto da U. Relfini per indicare l'insieme di manifestazioni riconoscibili nella media età del Bronzo della penisola italiana, soprattutto lungo la dorsale dell'Appennino, avevano come tratto comune un particolare tipo di ceramica nero-lucida decorata con l'incisione e l'intaglio secondo motivi a bande punteggiate, a spirali e a meandri.

c) Il Bronzo Recente
Questo periodo e' attestato, anche se con abbondanti materiali ceramici, solo a La Botte, sito che ha restituito tra l'altro, numerosi frammenti di protomi zoomorfe.  La Botte presenta alcune peculiarità che rendono il ritrovamento di notevole importanza.  Oltre ad essere l'unico abitato nell'area indagata attribuibile al Bronzo Recente (XIII-XII sec. a.C.), e' caratterizzato da una continuità dal Bronzo Medio al Bronzo Finale.  Inoltre occupa, per quello che e' dato a vedere dall'affioramento dei materiali, un falsopiano alle pendici di una piccola rupe isolata sulla quale e' situato un castello medievale.  Le caratteristiche geomorfologiche della probabile area di estensione e, in linea di massima, le attribuzioni cronologiche, sembrano concorrere nell'avvicinare questo sito a quelli di Ponte San Pietro Valle (Negroni 1981) e di Le Colle (Casi - di Gennaro 1992).  Questi due abitati hanno in comune, tra l'altro, l'estrema vicinanza a due grotte frequentate probabilmente per fini rituali, Grotta Nuova e Grotta Misa; cosa questa che induce a non escludere la possibilità dell'esistenza, anche in prossimità di La Botte, di una situazione ipogeica simile alle due precedentemente citate anche sulla base di una situazione geologica confacente.  Siamo difatti in presenza del contatto di due strati geologici diversi, calcare e argilla; situazione nella quale spesso affiorano sorgenti e si aprono grotte causate dallo scorrimento dell'acqua.

d) Il Bronzo Finale
E processo di etnogenesi che porterà alla nascita della civiltà etrusca inizia, forse, già nel momento in cui la valle del Fiora e l'Etruria in generale divengono aree di estrazione ed esportazione di minerali e metalli, Sicuramente questo processo può considerarsi quasi compiuto alla fine dell'età del Bronzo, durante la fase definita "Protovillanoviano" (XII-X sec. a.C.) quando il territorio subisce un processo di riorganizzazione rispetto al periodo precedente.  Gli abitati si spostano su pianori fortificali naturalmente ed alcuni assumono proporzioni notevoli, tanto che si può supporre l'esistenza di centri egemoni; inoltre la copresenza di tombe a tumolo. e di altre in nuda terra indica l'esistenza di ceti egemoni e quindi di un'organizzazione sociale piuttosto complessa.  Si assiste inoltre ad un notevole sviluppo demografico e all'incremento dell'attività metallurgica: i prodotti della valle del Fiora raggiungevano l'alto Adriatico attraversando l'Appennino nei pressi di Bologna. Durante il Bronzo Finale si diffonde il rito dell'incinerazione: le sepolture sono costituite da urne di forma biconica contenenti le ceneri del defunto e pochi oggetti di corredo, chiuse da una ciotola coperchio, come a Pian della Contessa, Crostoletto di Lamone e Castelfranco Lamoncello. Nell'area indagata, i rinvenimenti   protovillanoviani sembrano essere tutti di contesto abitativo: Valderico, Murcia Bianca, Calanchilaquila, Le Castellare, La Botte.  A differenza della situazione generale, nel Lamone non sembra verificarsi quel cambiamento di scelta insediamentale che invece spesso contraddistingue in Etruria gli abitati protovillanoviani, cioè l'occupazione di aree difese naturalmente. Questa caratteristica sembra infatti essere già presente negli insediamenti del Lamone nei periodi precedenti, anzi con un'accentuazione di questo carattere tramite l'erezione di cinte murarie, a volte anche imponenti, che recingono le aree abitative.  Gli altri già presenti nel territorio comunale, Sorgenti della Nova, Naviglione, Casone e Farnese, testimoniano, ancora una volta, una frequentazione dell'area in maniera capillare nel Bronzo Finale.
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Il periodo etrusco
Alle numerose quanto importanti testimonianze della Protostoria non seguono, nella media valle del Fiora, uguali attestazioni per l'età del Ferro, anzi la zona sembra subire un repentino arresto dello sviluppo culturale.
La Selva del Lamone non sembra fare eccezione, in quanto nessun rinvenimento e' ascrivibile alle due fasi culturali del periodo Villanoviano (IX - prima metà VIII sec. a.C.). Questa cesura sembra continuare anche nella successiva fase Orientalizzante non esistendo ritrovamenti riferibili.
La cesura sopra delineata e' forse da porre in relazione con quello che succede alla fine del Bronzo Finale, cioè lo spopolamento di molti centri dell'Etruria interna a favore di un modello insediamentale accentrativo che convoglia le genti su quei siti che poi diventeranno le città etrusche.  L’assenza nel Lamone di città etrusche può forse spiegare quindi la mancanza di dati relativi al Villanoviano e all'Orientalizzante, periodi che hanno visto, tra l'altro la nascita di alcune città vicine quali Vulci, Castro e Bisenzio dove probabilmente e' confluita buona parte della popolazione che abitava la zona nel Bronzo Finale. La ripresa della frequentazione della Selva del Lamone risulta essere ancora una volta atipica rispetto il quadro più generale della valle del Fiora.  Infatti alla fine dell'età arcaica si assiste, su tutto il territorio vulcente, ad una decadenza degli abitati interni come Pitigliano, Poggio Buco, Castro (Statonia), forse da imputare ad un cambiamento nei rapporti con Vulci che probabilmente non può più tollerare la presenza di altri centri di potere potenzialmente antagonisti. Abitato Etrusco di Rofalco E' proprio in questo momento che invece sembra sorgere l'abitato di Rofalco, forse non in contraddizione ma come diretta conseguenza della politica espansionistica di Vulci che probabilmente fonda il villaggio per l'approvvigionamento di quelle materie che in parte erano divenute carenti con la distruzione o l'inurbamento dei centri interni della valle del Fiora. L’importanza di Rofalco risalta ancor più se si considera la funzione svolta di centro egemone nella media valle dell'Olpeta, dal quale dovevano dipendere infatti i villaggi de I Casali, I Crini, La Murcia del Prigioniero e Le Castellare. Si assiste in questa fase alla ripresa di un modello di organizzazione territoriale già documentato nell'età del Bronzo, dove gli abitati sono costruiti al bordo della Selva su speroni in parte difesi naturalmente e integrati da cinte murarie spesso imponenti.  La relativa floridezza raggiunta da questo sistema può essere individuata in alcune strutture monumentali quali la tomba del Gottimo, costituita da due celle speculari con ampio vestibolo e soffitto a travatura, che testimonia la presenza di una famiglia gentilizia tra il V e il IV sec. a.C. Anche altri rinvenimento nella Selva, al momento meno appariscenti, sono probabilmente da porre in relazione con il sistema sopra descritto, quali la tomba di Santa Maria di Sala, la necropoli del Palombaro, la necropoli della Valgiovanna, la necropoli del Gottimo, le tagliate dei Gottimo e di Le Castellare, i rinvenimenti di Castelletto di Prato Fabulino e di La Botte. La fine di questo sistema insediamentale è probabilmente da porre in relazione con la conquista romana, che vede soccombere Vulci nel 280 a.C. e che successivamente interessa i centri minori riorganizzandoli, come Sovana, o distruggendoli per sempre, come Rofalco.
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Il periodo romano
Dopo la caduta di Vulci Roma ne confisca metà del territorio e deduce 2 praefecture: la Saturniensis (Festo s.v. praefectura) e la Statoniensis (Vitr. 2.7.3.). Quasi sicuramente la Selva del Lamone dovette far parte di quella Statoniensis che si estendeva dal lago di Bolsena al Fiora.  Una serie di fattori concorsero a spingere il governo romano a ordinare il vulcente interno a prefettura: in particolare l'evidente scarso sviluppo di strutture civiche e l'esigenza di una riorganizzazione territoriale più funzionale ai nuovi interessi.  Nel II sec. a.C., presumibilmente in età gracchiana, la situazione cambia radicalmente in alcune zone, si registra infatti un notevole aumento demografico evidenziato dalla nascita di molte fattorie che tende però a diminuire già agli inizi del I sec. a.C. a vantaggio di quel graduale accentramento che porterà alle grandi proprietà fondiarie.
All'interno della Selva del Lamone si conoscono, per il momento, 10 fattorie (3 a Campo della Villa, 1 a Palombaro, 1 a Roppozzo, 2 a Semonte, 1 alla Mandriola, 1 al Voltone, 1 alla Chiavicciola ), 5 necropoli (Campo della Villa, Semonte, Valderico, Palombaro, Gottimo), 2 strade basolate (Campo della Villa e Gottimo), per un totale di 17 unità archeologiche distribuite su tutta l'area.
Non e' stata riscontrata l'esistenza dei 4 pagi descritti dalla Rossini e dalla Sperandio (Rossini-Sperandio 1985) individuali secondo le autrici a Rofalco, Stenzano, Valderico e Semonte. Se consideriamo anche i vicini rinvenimenti ( sempre all'interno del territorio comunale) di Poggio Campana (fattoria), Saltarello (fattoria), La Cuccumella (fattoria), Naviglione (fattoria e 2 necropoli), Campo del Carcano (fattoria e 2 siti non ben definiti), Casaletto Brunelli (fattoria e necropoli), Casone (fattoria e necropoli), Chiusa del Belli (fattoti a e necropoli), Fornicello (fattoria), abbiamo un quadro più completo della complessa e capillare distribuzione insediamentale nel periodo considerato.  Possiamo notare che a una relativa abbondanza di fattorie non corrisponde proporzionalmente la presenza di ville.  Infatti nessun sito enunciato può essere definito con il termine di villa, cosa che potrebbe significare la considerazione del Lamone come area di marginale importanza.  La questione diventa abbastanza evidente se si pensa alle caratteristiche agricole delle proprietà fondiarie che dovevano avere delle fertili pianure del basso corso del Fiora ben altro concetto.
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Il periodo medievale
In questo periodo si assiste ad una scelta insediamentale lungo le valli dei due fossi che costituiscono i confini naturali della Selva del Lamone : il Crognoleto e l'Olpeta. Sull'Olpeta si ha il complesso di S.Maria di Sala dove sono state individuate le seguenti unità archeologiche : una chiesa, un abitato rupestre, un castello, una necropoli e un ponte. Già lo stesso toponimo indica l'origine dell'insediamento e l'epoca della sua fondazione, che fu longobarda.  Infatti il longobardo "sala" e' originariamente relativo ad un edificio con una sola stanza, ma anche dimora, e nel medio evo passò ad indicare (dapprima solo nelle zone occupate dai Longobardi, e quindi anche in altre parti del territorio italiano) un insediamento campestre destinato al governo delle greggi.  Le prime notizie storiche risalgono al 1210 e si trovano in un atto di infeudazione dell'imperatore Ottone IV alla famiglia degli Ildebrandini. L’ultimo documento che nomina Sala è il testamento di Ranuccio di Farnese "il vecchio" datato 1450. A questo complesso dobbiamo aggiungere quello di La Botte-La Mattonara, immediatamente a est, e quello di Stenzano, più ad ovest, che confermano la scelta insediamentale lungo l'Olpeta. A nord, nella valle del Crognoleto, e' localizzato il complesso Valderico-Pian di Longino.   Anche qui il toponomo ci indica sia l'origine che l'epoca di fondazione.  Infatti il termine Valderico deriva dall'unione di due parole longobarde : "wald" (bosco) e "rick" (signore) e sta ovviamente a significare "signore del bosco".  Il complesso e' composto da un villaggio, posto in posizione naturalmente fortificata sulla rupe che domina la sorgente omonima, da una chiesa e da una necropoli.  A questi resti dobbiamo aggiungere, sempre lungo il corso del Crognoleto, quelli dei castelli di Pianacce (Citiniano) e Fontanaccio, e quelli di Sorgenti della Nova (Castiglione) nelle immediate vicinanze.
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Il Brigantaggio
Per comprendere il fenomeno del brigantaggio è necessario considerare le condizioni di vita in cui versavano le popolazioni della Maremma all'Unità d'Italia. Grandi estensioni di terreni paludosi dominati dalla malaria, vaste estensioni di terra fertile in mano a pochi latifondisti, che vi praticavano un'agricoltura estensiva con una richiesta minima di manodopera e ovunque, la miseria, condizione di vita normale per la grande maggioranza della popolazione. Si diventa briganti per necessità di sopravvivenza, non certo per improbabili ideali di riscatto sociale, magari all'ennesima angheria subita da parte dei fattori o dei guardiani dei latifondi cui, per disperazione, si rispondeva alla fine con un atto di violenza. L'unico modo per sfuggire alla giustizia era quello di "darsi alla macchia". Nella Selva del Lamone, che con la sua vegetazione aspra e i suoi inaccessibili anfratti costituiva il luogo ideale per la latitanza e l'azione di questi banditi, il brigantaggio è legato ai nomi di Domenico Biagini, Luciano Fioravanti, David Biscardini, Domenico Basili, e Domenico Tiburzi, le cui gesta si ammantarono di legenda grazie all'intelligenza con cui seppe gestire la propria permanenza nella macchia, accreditandosi l'immagine del bandito buono, che rubava ai ricchi per donare ai poveri, catturato al seguito di un tradimento di un membro della sua banda fu giustiziato nel territorio di Capalbio (GR)
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