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La Cantina Sociale del Campidano di Serramanna
 

 I nostri agricoltori hanno avuto sempre una grande vocazione e passione per la coltivazione della vite e per la produzione del vino. Erano molte le case dove esisteva, e in molte abitazioni tuttora esiste, la cantina con le botti, i tini, la macina, la pressa (sa prenza) ed ogni altro attrezzo occorrente per la lavorazione delle uve e la produzione del vino che era conservato nelle grosse botti di rovere e poi venduto ai grossisti. Il vino di Serramanna è stato sempre conosciuto ed apprezzato. Ancora oggi sono molte le persone che coltivano i loro vigneti per produrre il vino per le necessità familiari ed, in minor misura, per commercializzarlo.

 

 

 

 

 

 

 Serramanna ha avuto una delle più grandi cantine sociali della Sardegna, funzionante nei locali tuttora esistenti posti tra la strada
per Nuraminis ed il Cimitero.
Il 2 settembre 1954, 23 agricoltori proprietari di vigneti costituirono davanti al Notaio Giov. Battista Lonis una cooperativa denominata
Società Cooperativa a r.l. del Campidano di Serramanna
. La società si proponeva soprattutto di “costruire e gestire magazzini ed
impianti per la raccolta e trasformazione dell’uva conferita dai soci e di produrre vini di tipo costante”.
Nel 1958 la società, che contava allora oltre 300 soci, dava inizio alla sua attività con la lavorazione di 18.800 q.li d’uva conferita,
pagata ai produttori 200 lire al q.le/grado (in media £ 3.574 a q.le). Trascorsi 20 anni dall’inizio, nel 1978, si era arrivati, con un aumento
graduale nel corso degli anni, a lavorare 194.000 q.li con un compenso ai soci di £ 1.125 a q.le/grado uva pari ad un compenso medio
di £ 18.000 a q.le per le uve meno pregiate.

Intanto lo Stabilimento cresceva. Si era partiti dalla Torre Sernagiotto (inaugurata nel maggio 1960 dal ministro On. Antonio
Maxia) che allora sembrava enorme mentre oggi quasi scompare inglobata tra gli altri edifici dello stabilimento, isolata nella campagna tra le alte siepi di fico d’india che delimitavano le aie che sorgevano numerose in quella zona (chiamata appunto per questo Is Argiolas), e nel corso degli anni venivano
costruiti nuovi lotti di vasche, locali per uffici e per il custode, sale di rappresentanza, locali per la
vendita al minuto, scantinato per l'invecchiamento dei vini pregiati entro botti di rovere, impianti di imbottigliamento ecc. ecc., beneficiando dei fondi pubblici che venivano erogati con molta facilità per un’attività così bene avviata.
 

 

  Il periodo della vendemmia era una festa che coinvolgeva tutto il paese impegnato nella raccolta dell'uva e nel trasporto, con l’invasione dell'abitato da parte dei carri trainati dai cavalli (ancora numerosi in quel periodo ed ora spariti completamente) ed in seguito dei trattori che con il loro carico profumato di mosto sui grossi rimorchi attendevano, in una lunga fila che interessava le strade di mezzo paese, di potere entrare nel piazzale dello stabilimento per conferire l’uva che veniva pesata, graduata e poi scaricata negli appositi vasconi. Ai soci di Serramanna si unirono presto altri di Villasor, Samassi, Nuraminis, Serrenti e altri centri. 
La Cantina produceva vini da tavola ma anche vini pregiati quali il Malvasia, il Vermentino, il Nasco, il Monica e il Vernaccia; alcuni di questi con il marchio DOC (denominazione origine controllata). Le vendite erano soddisfacenti, anche se erano evidenti molte pecche nell’organizzazione della commercializzazione e non sempre si riusciva a vendere tutto il vino, che talvolta veniva ceduto per la distillazione.

 

             

Purtroppo questa grossa impresa non durò molto. Alla fine degli anni ottanta la Cantina, carica di debiti e impossibilitata a pagare ai soci il compenso per le uve conferite, dovette interrompere la sua attività e chiudere lo stabilimento. Si parlò allora di molti sbagli: cattiva gestione da parte degli amministratori ed imbrogli da parte di disonesti  acquirenti che imbarcavano il vino nel porto di Cagliari, dopo avere pagato il prezioso carico con assegni inesigibili per parecchie centinaia di milioni di lire, e le cui navi dirette in Sicilia sparivano nel nulla come inghiottite dal Mediterraneo. I fattori che portarono allo sfascio furono anche altri, come la scarsezza di manodopera per i lavori nelle vigne, la notevole diminuzione dei conferimenti dovuta all’espianto di molti vigneti favorito dai grossi incentivi concessi dal  Governo e dalla Comunità Europea (che negli anni precedenti avevano  peraltro favorito gli impianti con altrettanto lauti contributi). A fronte della diminuzione dell’uva lavorata, aumentavano le spese per la conduzione dell'ormai sproporzionato stabilimento e del numeroso personale addetto. Il prezzo del vino si teneva sempre basso e non sufficiente a dare agli agricoltori un giusto guadagno. Diminuirono sia i compensi per i soci che la puntualità nei pagamenti e molti agricoltori si orientarono su altre colture più redditizie quali la barbabietola da zucchero ed i pomodori che erano conferiti allo Zuccherificio di Villasor ed alla Casar di Serramanna.


Nel 1994 la Regione Sardegna si è presa lo stabilimento accollandosi tutti i debiti, compresi i saldi ai soci per l'uva dei  conferimenti
degli ultimi anni. Lo stabilimento è ora solo in parte utilizzato, soprattutto per l’ammasso del grano nei grandi silos metallici che vengono
ceduti in affitto a dei privati. Un grosso patrimonio di immobili e di macchine giace praticamente inutilizzato ed in degrado senza che si prenda alcuna iniziativa per non lasciare andare in malora gli impianti, che potrebbero forse venire convertiti in qualcosa di utile. Fra i tanti locali della Cantina ce ne sono certamente diversi utilizzabili per attività quali sedi sociali, manifestazioni fieristiche, sportive e di ogni genere, da parte delle numerose associazioni sportive, di volontariato, di anziani e cooperative di giovani sorte a Serramanna negli ultimi anni e di altre che potrebbero
nascere proprio qui.
E non sarebbe da scartare l'idea di costruire quel museo di cui si sente tanto la mancanza, per raccogliere tutte quelle cose che hanno
fatto parte della vita dei nostri avi e che vanno scomparendo: in particolare le attrezzature, soprattutto agricole, che si possono ancora
trovare in collezioni private e nelle vecchie cantine da tempo in disuso, e che servirebbero a ricordare alle nuove generazioni il duro
lavoro dei nostri padri. Da vedere lungo un percorso di visita che dalle attività nelle modeste cantine casalinghe con le vecchie
attrezzature conduca al grande stabilimento enologico. Il Comune dovrebbe darsi da fare e, d’intesa con la Regione proprietaria dello
stabilimento e con lo studio di validi tecnici, realizzare un piano per l’utilizzo del complesso in qualcosa di utile per la comunità.



                         

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