Nel
nostro centro si è sentita sempre la mancanza delle pietre da
impiegare nelle costruzioni, Per questo uso si sono spesso usati i
grossi ciottoli del torrente Leni o dei vicini terreni alluvionali,
rotondeggianti e poco adatti ad essere lavorati con lo scalpello, o le
pietre recuperate da ruderi di vecchie costruzioni nelle campagne
attorno al paese, specie delle chiesette di cui
Le
abitazioni del centro storico, parte caratteristica del paesaggio
urbano di Serramanna sono costruite quasi tutte con i lardiri,
i mattoni fatti di argilla mista a paglia sminuzzata, seccati al sole;
sino a quasi una cinquantina di anni fa erano quasi l'unico materiale
impiegato per i muri. Si iniziava la costruzione scavando una trincea
per le fondazioni, che veniva riempita di pietrame e malta di fango
(in un secondo periodo di pietrame e malta di calce, sin a quando
divenne comune l'uso del
calcestruzzo), si procedeva poi in elevazione
con uno zoccolo in pietrame non più alto di un metro e, sopra, si
costruiva il muro in mattoni crudi fissati con malta di fango per
l'altezza di uno o due piani (unica eccezione la casa canonica di
s.Leonardo che di piani ne ha sempre avuti tre). Tra un piano e
l'altro si costruiva il solaio in travi e tavolato di legno, raramente
pianellato, e la costruzione veniva ricoperta con il tetto in tegole
sarde (modellate a mano, artigianalmente,con l'argilla e cotte)
fissate con malta di calce all'incannucciato ancorato ad un'ossatura
di travi e di listelli di legname che sino all'inizio del secolo
scorso erano grezzi e non squadrati. I vani del piano superiore
venivano utilizzati per il deposito dei cereali ed in genere avevano
l'incannucciato a vista, essendo privi di plafonatura.
Queste costruzioni di mattoni crudi,
pure nella loro apparente fragilità, hanno una considerevole durata
se si provvede alla loro manutenzione ed alla protezione dalle
intemperie con l'intonaco. La protezione esterna veniva eseguita in
passato ribattendo tra le connessure dei mattoni una scaglia di
pietrame con un pò di malta di calce, e costruendoci sopra l'intonaco;
oggi al posto delle scaglie si stende sopra i mattoni una reticella
metallica fissata con dei chiodi. All'interno si faceva invece un
primo intonaco di argilla per pareggiare le asperità, e sopra di
questo un sottile strato di calce.
Oggi le case in mattoni
crudi sono quasi tutte protette dall'intonaco esterno. Sicuramente molte
persone, soprattutto i giovani, non sanno che le più belle
costruzioni di una certa età, ad esempio tutte quelle della piazza
Martiri (con esclusione solo della chiesa e del simil-grattacielo ora
ridimensionato) sono fatte tutte con questo umile materiale.
Il Comune cerca di
conservare questo patrimonio culturale vietando nel centro
storico le demolizioni e consentendo solo le ristrutturazioni che
salvino almeno i muri originali esterni. Ma ogni tanto qualche
fabbricato, trascurato nella manutenzione anche di proposito, viene
lasciato cadere per fare posto a delle costruzioni che vengono così
erette ex novo non sempre rispettando il vecchio aspetto e con criteri
e materiali moderni: con una spesa di molto inferiore a quella
occorrente per la ristrutturazione.
Circa cinquanta anni orsono, il boom economico portò anche
nell'edilizia numerose novità: Dopo l'impiego, per un certo periodo,
della trachite che veniva portata dalle cave di Serrenti, si arrivò a
l'uso quasi esclusivo del blocchetto cementizio per i muri (più
economico per il prezzo di acquisto che per la messa in opera); il
mattone crudo venne completamente abbandonato nel giro di pochi anni.
e sorsero numerose blocchiere traendone vantaggiosi utili. Ma
con l'impiego di questo materiale si passò a vivere dalle case di
fango ben coibentate a dei similfrigoriferi freddi e grondanti
umidità nell'inverno, responsabili di tante artrosi e di altri
malanni; al contrario d'estate queste case si trasformavano in forni
dove era impossibile vivere. In seguito si rimediò costruendo,
all'interno dei muri esterni, le camere d'aria in laterizio. Si
impiegarono poi i blocchetti di calcestruzzo più robusti e meglio
isolanti. Oggi si usano quasi esclusivamente i laterizi.
In questi ultimi tempi (2003-2005) ci sono stati dei tentativi per
utilizzare nuovamente il mattone crudo: E' nata una piccola
"fabbrica" nella strada per Serrenti ed il materiale è
stato impiegato in alcuni lavori (ad es. per i servizi igienici nel
piazzale della chiesetta di s. Maria e per la ristrutturazione di qualche
vecchio fabbricato).
Anche il tetto ha subito dei cambiamenti quando, nello stesso periodo
del boom di quei terribili blocchetti, arrivarono le lastre ondulate di
cemento-amianto. Molte persone, soprattutto per motivi economici, le
hanno impiegate rendendo le abitazioni ancora più umide e malsane
d'inverno e calde d'estate, abbandonando le vecchie tegole modellate a
mano e poi cotte dagli abili artigiani di Furtei. A un certo punto
l'aspetto grigio e desolante di queste coperture stava prendendo il
sopravvento sulle calde tonalità dei coppi, sino a quando ne venne
vietato l'impiego per motivi igienico-sanitari (le fibre dell'amianto
sono altamente cancerogene), ed ora l'aspetto del paese visto
dall'alto sta lentamente cambiando.
Is
lardiraius
Mi sembra giusto ricordare qui gli artefici del mattone crudo, is
lardiraius, abili artigiani di questo materiale che io ricordo
veniva chiamato a Serramanna lardiri ma che è pure conosciuto
come ladriri o ladiri.
Gli artigiani dei mattoni crudi erano degli umili operai con una
grande resistenza fisica che preparavano l'impasto (sa
scioffa) cavando e sbriciolando l'argilla, setacciandola,
mischiandola alla paglia tritata ed impastandola
mischiandola alla paglia ed impastandola con l'acqua. Era una lavoro
duro,
l'impasto veniva manipolato a lungo prima con sa marra e poi con
l'intervento dell'operaio che vi guazzava dentro scalzo,
con i laceri pantaloni
rimboccati più su del
ginocchio, per amalgamarlo e renderlo più plastico.
La costruzione dei mattoni, che nell'ultimo periodo avevano le dimensioni di cm 40x20x10, avveniva riempiendo con l'impasto, su una
superficie del terreno preventivamente pulita, la forma di legno chiamata su sestu. Si faceva
assestare bene il fango in questa forma, lisciandolo nella parte
superiore con le mani bagnate. Vaste aree venivano occupate da questi lardiri ben allineati a seccare al sole.
Dopo un certo numero di giorni, variabile a seconda delle condizioni meteorologiche, si procedeva a rivoltare i mattoni sino ad arrivare alla loro
completa asciugatura. Venivano quindi ripuliti nel fondo ed impilati in cataste,
sino all'arrivo dell'acquirente che se li portava nel luogo
dell'impiego, con i carri trainati dai buoi o dal cavallo.
Quello de is lardiraius era un lavoro molto pesante e causa di malattie, soprattutto
dell'artrosi alle ginocchia ed alle mani, provocata dalla lunga permanenza
a contatto con il fango, sia per preparare l'impasto che per
confezionare i mattoni. Attorno all'abitato, ma soprattutto dove c'era l'argilla più adatta per
costruire i mattoni meglio resistenti alle intemperie ed al tempo, c'erano delle zone
interamente dedicate a questa
industria. Ricordo
soprattutto la zona delle aie di Sa Roia e quella dietro la Via Rinascita, dalla
quale sono state cavate enormi quantità di materia prima, creando dei notevoli dislivelli
che sono evidenti ad esempio nella via Turati.
L'ultimo lardiraiu che io ricordi, è stato Gopài Antoi,
una persona pacifica, molto emotiva, rispettosa di tutti, piccola e apparentemente debole. Era
arrivato da Siddi ed era coadiuvato nel lavoro da una energica moglie che lavorava con
lui e, sicuramente più e meglio di lui, dirigeva la piccola impresa e trattava gli
affari con i clienti.
Da noi su lardiri non viene più prodotto, anche se si tenta di avviare
una piccola fabbrica ed a costruire o riparare delle piccole
costruzioni, ma lo
stesso materiale chiamato in diverse parti del mondo adobe (termine
derivato da "a 'tobe" che in arabo significa
"mattone di fango"), nome usato tuttora in Spagna, America Latina ed altri
Paesi, viene
prodotto ed impiegato ancora in molte nazioni, quali lo Yemen
(dove viene usato per costruire degli arditi grattacieli alti anche otto
piani), la Bolivia, il Cile e lo Sri Lanka.
Nell'agosto del 1999 in uno sperduto posto di confine tra il Cile e la Bolivia,
durante le lungaggini burocratiche per il passaggio da un Paese all'altro,
sono stato attratto da delle costruzioni in corso che mi hanno
riportato al mio passato, ed ho scattato queste due foto, che mostrano,
oltre alle pietre da impiegare nella costruzione della fondazione
e del tratto di muratura fuori terra, anche i mattoni
prodotti sullo stesso luogo dell'impiego, lasciati seccare al sole ed
infine impilati.
Anche nell'Hoggar, nella parte più meridionale del Sahara algerino,
ho trovato molti piccoli gruppi di case costruite interamente
in mattoni crudi (foto sotto): mi ha fatto sempre una
certa impressione vedere queste costruzioni, ricordando quando da ragazzo mi attardavo ad assistere alla
laboriosa preparazione dell'impasto, alla confezione dei mattoni, alla loro asciugatura al caldo sole estivo, al loro carico e trasporto sui
carri ed alla loro messa in opera nei pochi mesi estivi che la
rendevano possibile.
Antonio Martis
|