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Mestieri d'altri tempi


S'acquaderi

  Per il nostro paese  l'approvvigionamento dell'acqua potabile oggi non è più un problema, siamo uno dei pochi centri della Sardegna dove l'acqua manca raramente nei rubinetti, con un acquedotto che attinge alle falde dei pozzi in località "matzaloi" ed a quelle dei nuovi pozzi a qualche km dai predetti. L'arrivo dell'acquedotto ha cambiato il panorama di Serramanna, il cui abitato non è più dominato dal solo vecchio campanile riportato ora alla sua quasi primitiva altezza,ma è costellato dai due serbatoi per l'acqua (quello dell'ESAF, sulla strada per Nuraminis, mai utilizzato) e della campagna dove sono i pozzi con una agile e alta torre piezometrica, quasi un minareto dal quale ci aspettiamo talvolta che si diffonda la voce tuonante del muezzin invitante alla preghiera. Ancora pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, le cose erano molto diverse e, benché se ne parlasse spesso, l'acquedotto era di là da venire. Ed era prima dell'avvento dell'acquedotto che esisteva da noi la vecchia figura caratteristica de "s'acquaderi", quella persona che con "sa fascella" (la botte) sistemata entro il  carretto trainato da un cavallo, o più spesso da un asino, portava l'acqua alle famiglie del paese. S'acqqqquaderi si riforniva dell'acqua alla Fontana Pubblica (una delle poche costruzioni esistenti allora in quelle campagne): un locale in muratura dove era posta una grande ruota che, fatta girare a mano, portava in superficie l'acqua facendola fuoriuscire da un tubo posto ad un'altezza tale da poterci mettere sotto il carretto con la botte. Questo fabbricato era posto proprio al centro del crocicchio tra le strade Matzalloi, bia Biddaremosa e bia beccia de casteddu, al termine del rettifilo di oltre due chilometri che parte dalla piazza della chiesa, ed era costruito sopra un antichissimo e ricco pozzo risalente all'epoca cartaginese. Dopo la costruzione dei pozzi dell'acquedotto, anch'essi molto ricchi d'acqua, in un recinto a lato della vecchia fontana, il fabbricato è stato demolito anche per permettere la sistemazione delle strade, ed il pozzo è stato coperto con una soletta di cemento armato. Da sa fascella l'acqua veniva travasata, nelle abitazioni, in su ziru, il grosso orcio panciuto di terracotta da dove si attingeva per bere e per gli altri usi alimentari. Nel cortile di ogni casa non mancava mai il pozzo, talvolta in comune tra due proprietà confinanti (funtàna a migias), dal quale, con il secchio di lamiera zincata si attingeva l'acqua, non potabile, per gli altri usi.


Su bandidori

Il banditore per antonomasia è stato per me "ziu Marieddu Pilloi". Mi è rimasta impressa  questa figura piccola e mingherlina che, armata della sua trombetta da cacciatore, si annunciava con degli squilli nei più importanti crocicchi dell'abitato e declamava ad alta voce i messaggi del giorno. Riceveva un compenso forfetario dal Comune per diffondere le ordinanze ed i comunicati del sindaco: "Pù ordini de su Sindagu si ghetta custu bandu pò fai scì a tuttu sa popolazioi ch'esti in pubbricazioi su ruolu de su focaticu (l'imposta di famiglia)...".Ma annunciava anche gli spettacoli, come il film che proiettava sig. Cixì nel cortile della sua casa in Via Roma, la ricerca di chiavi ed altri oggetti smarriti (A chini adai agattau...), la macellazione e la vendita della carne ne "is postus nous" e nelle beccherie (su bancu de Giuanni Loi...),oltre all'arrivo dell'orologiaio o dei mercanti in piazza. Ed era una lunga filastrocca quando arrivava  "su sennori de Casteddu" con lenzuola, federe, fazzoletti da uomo e da donna, calze, mutande, flanelle, asciugamani, coperte, scarpe. pettini, bottiglie, bicchieri, orinali..."tottu a preziu baratu, in sa prazza pubbrica" (tutto a buon prezzo nella piazza Martiri).
A un certo punto ziu Marieddu, già vecchio di anni e ammalato, lasciò il compito ad altri che non sono stati però mai alla sua altezza e hanno svolto l'incarico solo per brevi periodi. Arrivò più tardi l'agenzia pubblicitaria che, partendo dai suoi impianti posti all'angolo tra la piazza Martiri e la Via Giulio Cesare diffondeva i messaggi attraverso alcuni altoparlanti, distribuiti in pochi punti del paese e collegati con dei cavi volanti, penzolanti, che deturpavano le case e le strade e che erano spesso soggetti a interruzioni. Ma i tempi sono velocemente cambiati ed anche questo strumento è sparito: Con l'arrivo del computer il Comune si stampa ora da se i suoi comunicati, con una dignitosa veste grafica, e li porta a conoscenza della popolazione con affissioni nelle bacheche sistemate in alcune piazze e soprattutto nelle vetrine dei locali pubblici. I commercianti ambulanti, che sono enormemente cresciuti  di numero, li ritroviamo tutti assieme, solo il sabato mattina, nel mercatino all'aperto della vecchia Bia Santa Barbara, davanti all'ingresso dello stadio Fausto Coppi.


Il pedone comunale

Alcune delibere del Consiglio comunale, adottate nel corso del 1848, cercano di risolvere il problema del servizio postale, che porta le lettere a Serramanna una sola volta alla settimana. Si delibera di dare l'incarico ad "un pedone , nella persona del "viandante" Francesco Attori Desogus, per "portare le lettere e i pieghi delle poste di questo Villaggio due volte ogni settimana, cioè il sabato ed il martedi, dal Villaggio di Monastir". Il compenso annuale fissato per il pedone era di L.N. 57,60, pari a L.N. 4,80 mensili. Avendo l'Atzori iniziato il  lavoro di "pedone" già dal 1° giugno, risulta che il primo di ottobre non avesse ancora ricevuto niente del suo compenso per cui, povero e carico di famiglia, minacciava di non potere proseguire nella carica "se non gli venisse spedito il Mandato del trimestre servito". I Consiglieri all'inizio di ottobre, e poi ancora alla fine del mese, sollecitano dall'Intendente Generale la soluzione delle vicende burocratiche e l'emissione del mandato per i cinque mesi di lavoro prestato, "senza dar luogo al pedone di nuovo richiamo, lo chè sarebbe ontoso non solo al Consiglio pur anche alla stessa intendenza". Insomma, problemi di burocrazia e di soldi non mancavano certo neanche in quel periodo...


Sa spigadrixi

Quando ancora si mieteva a mano, le spigolatrici (i sas spigadrixisi) erano quelle donne che stavano appresso ai mietitori (is messadoris), aiutandoli in certe cose, come per esempio nell' approvvigionare l'acqua da bere e soprattutto caricare sa xedra (o sa carruba), cioè  mettere i covoni (con sa frocidda de aporri màiga, forcone bicorno per porgere i covoni) sui carri provvisti di una specie di sovrasponda per portarli a s'argiola (l'aia)per la trebbiatura che si compiva una volta con i cavalli o con i buoi, successivamente con le trebbiatrici ed infine oggi direttamente sul campo con le mototrebbie. La spigolatrice percorreva il tratto già mietuto (sa stua, le stoppie) per raccogliere le spighe rimaste in terra; le metteva nel grembiule che portava legato ai fianchi, svuotandole in un sacco ogni volta che la tasca del grembiule diventava piena o pesante. Le spighe raccolte restavano logicamente alla spigolatrice e servivano per la provvista del grano per il pane della famiglia o, per le giovani nubili, per ricavarne delle somme da impiegare per farsi il corredo. 


S'Eremitau

Non era forse proprio un mestiere quello dell' eremita di Santa Maria, il custode della chiesetta che scendeva al paese, con la sua cassetta della Madonna addobbata di fiori freschi e profumati, per ricevere l'obolo dei compaesani. Oltre a risiedere in un vano a ridosso della chiesetta, faceva da custode, teneva puliti i vari lacali e coltivava l'orticello posto attorno alla chiesa da cui ricavava la frutta e le verdure per il suo sostentamento e qualche fiore. Nelle discese in paese era accolto da tutti con generosità e le offerte per lui erano più consistenti di quelle che venivano fatte ai "poveri" che, specie il sabato, andavano di casa in casa per ricevere l'elemosina.

 

 



Nelle immagini sono ritratti gli ultimi due eremiti: quello della foto a colori era "Peppino su bellu", uomo piagnucoloso ma pur simpatico nella sua stramberia, e benvoluto da tutti.


S'acconcia cossius

Sino agli anni ’60-’70, le strade del paese, prive di traffico che non fosse quello dei pedoni e dei carri, e pertanto senza il caotico rumore delle auto, erano spesso attraversate dai venditori ambulanti di diversi oggetti d’artigianato e dagli esecutori dei più svariati e spesso originali mestieri. Tutti gridavano e declamavano ad alta voce la bontà dei loro prodotti e delle loro prestazioni, e la gente correva a vederli, non foss'altro che per la curiosità o l'interesse per queste persone che venivano spesso dai più lontani paesi della Sardegna.
C’era l’arrotino, con tutti i suoi arnesi sulla bicicletta, che affilava coltelli e forbici all’istante e si annunciava gridando: “Accuzza li ferri…”
C’era il venditore di taglieri e altri arnesi di legno: “ E turras e tallerisi e pabias de forru
Ed il venditore di oggetti di fieno quali is crobis, is palinas, i scibirus e tutti gli altri strescius ‘e fenu che non mancavano  nelle case  degli agricoltori, dove c’era sempre  un vano per conservarli appesi alle pareti,spesso a fianco del locale dove c’era sa mola che, fatta funzionare dall’asino che le girava attorno, provvedeva alla macinazione del grano, da cui si ricavava la crusca per l’alimentazione delle galline e degli altri animali da cortile e la  farina che era utilizzata per la produzione casalinga del pane e della pasta, soprattutto  is malloreddus .
Questi ambulanti venivano in genere da fuori, molto spesso dai paesi del nuorese, non erano sempre gli stessi, e non si conosceva il loro nome. Ma uno risiedeva a Serramanna ed aveva un nome conosciuto da tutti, Pappastrillu, nome dal significato sconosciuto ma, secondo alcuni, affibbiatogli perché si cibava di pipistrelli o, forse perché faceva strani giochetti che attiravano l'attenzione non solo dei ragazzi: si infilava, ad esempio, dei grossi e lunghi chiodi nel naso facendoli fuoriuscire dalla bocca. Il suo lavoro consisteva nel riparare ombrelli, ma soprattutto piatti, terraglia in genere utilizzando dei punti metallici saldati con un mastice. La miseria era  tanta in quei tempi, che la gente ricorreva spesso a lui, anche per farsi riparare un piatto da portata prezioso per tanti, un cossiu (orcio), una scivedda od un ombrello. E così la sua voce rintronava forte per le strade deserte e silenziose del paese, assieme a quella dei suoi colleghi: Acconcia li cossi...


 

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