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Sa
messarizia |
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Tantissime cose sono
cambiate nella nostra agricoltura negli ultimi cinquant'anni, sia
nel numero e nella qualità delle colture praticate che,
soprattutto, nei modi e nei mezzi con cui l'agricoltura viene
ora svolta.
Sino agli anni sessanta circa c'era una divisione netta fra i
terreni coltivati a grano ed orzo (bidazzoni) e quelli tenuti a
pascolo o maggese e, più spesso, coltivati a fave, piselli,
ceci e lenticchie (pabarile o poberile), colture ormai
quasi del tutto scomparse dalla nostra agricoltura. La separazione
netta tra bidazzoni e pabarile,nei terreni ad est
della strada che percorre tutto l'abitato, era segnata dalla
strada comunale di Villagreca. Una delle due parti veniva
coltivata interamente e per un solo anno a grano, e per il
successivo in questi appezzamenti venivano praticate le altre colture, di per
se poco
redditizie ma apportatrici di tanta fertilità per i terreni.
La vita dell'agricoltore in quegli anni era ancora molto più dura
dell'
attuale, con mezzi meccanici inesistenti o che solo allora si
affacciavano sui nostri campi. Si procedeva all'aratura con gli aratri "in ferro" trainati
ancora dai
cavalli, ma non era passato tanto tempo da quando si
usavano gli aratri "di legno". La profondità
dell'aratura era
per questo molto superficiale e le concimazioni erano spesso
rappresentate solo dal letame degli animali da lavoro e dagli apporti
di fertilità delle colture praticate nel poberile.
Oggi le operazioni del raccolto, s'incungia, si
compiono tutte nel giro di poche settimane grazie alle
mietitrebbie che in poche ore provvedono alla raccolta ed alla
trebbiatura del grano. Nel 1954, come documenta la foto
scattata in quell'anno, il grano veniva mietuto ancora a mano e trasportato con i carri nelle aie, is argiolas, dove si procedeva alla
trebbiatura con le
apposite macchine chiamate appunto trebbiatrici che facevano
le loro "campagne" spostandosi nelle varie aie ed
anche da un paese all'altro.
Sino a non
molti anni prima della ripresa fotografica, la trebbiatura era un lavoro molto più lungo e
faticoso: veniva praticata con il bestiame, generalmente il
cavallo, che calpestava i covoni di grano (ma anche i
mucchi dei legumi e degli
altri cereali) disposti in circolo nell'aia, per sbriciolarne e
ridurne il
volume. L'operazione proseguiva ancora col bestiame che procedeva in circolo trascinando una grossa
pietra, spessa, pesante e liscia, in genere provvista di un foro
per legarvi la catena o la fune che la collegava alla bestia:
si sminuzzava così ancora di più la paglia e si liberava il grano dalla pula.
Terminata questa operazione si raccoglieva il tutto in un
mucchio disposto di traverso rispetto al vento maestrale e, arrivato
il vento favorevole (sia per la direzione che per l'intensità), si procedeva a
sa bentuadura, cioè
alla ventilatura che si compiva lanciando il prodotto per aria
prima con i forconi (is trabuzzus) e poi con delle pale in
legno (sa pabia) al fine di separare dal grano la paglia
che il vento spargeva ed ammucchiava da un lato. Il grano
veniva infine setacciato per liberarlo di qualche impurità
(sassolini, terra, ecc.), lasciato per qualche tempo all'aria ed
al sole e quindi versato nei sacchi di iuta e portato a casa
dove veniva accumulato nei solai, vani al primo piano delle
abitazioni che venivano solitamente riservati esclusivamente a questo uso.
Tutto questo lavoro veniva fatto nelle aie, is Argiolas,
ora scomparse del tutto ma che una volta si estendevano
occupando una larga porzione di territorio, soprattutto nella
zona che ha conservato il nome Is Argiolas, dove sono gli
impianti dell'ex Cantina Sociale, e nella zona de Sa Roia
posta tra il Cimitero e la via Rinascita. Enormi cumuli di covoni
di grano e di legumi, alti in media una diecina di metri, dominavano questi terreni, quasi sempre recintati con siepi di fico
d'India.
Nel
punto più alto dell'aia, dal quale si poteva dominare tutta la
zona, non mancava mai Sa Barraca de su Castiadori,la
capanna di canne e frasche del guardiano,
che vi dimorava per i tre mesi estivi
della intensa attività dell'aia. Sa barraca aveva sempre
un tettoia esterna, come una veranda, che offriva un
ristoratore riparo dal sole negli intervalli del lavoro. Su castiadori
dava a tutti gli agricoltori che usavano l'aia
il suo aiuto nei diversi lavori, ma provvedeva, soprattutto
durante la notte, alla vigilanza sui cereali e
sui legumi depositativi.
Gli agricoltori retribuivano il suo lavoro con offerte in natura,
in genere proporzionate alla quantità del raccolto di ognuno; e così
su castiadori si
assicurava, con le sue prestazioni, le provviste per tutto l'anno di grano,
fave, ceci e
altri cereali e legumi.
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