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L'Unione Sarda
venerdì 22 febbraio 2002
I
segreti per estrarre l’acqua dal sottosuolo
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Vivere in una città dove l’acqua va
via a mezzogiorno, fa sensibili agli scrosci. Di notte si
sente meglio: dal tombino di fronte all’angolo sud del
Palazzo di Giustizia, proprio in piazza Repubblica, si
sente acqua che scorre. Son giorni e giorni, e ipotizzando
cinque litri (è anche poco) al secondo, viene automatico
chiedersi dove vada a finire, quel ben di dio. Nella
fogna, è la risposta, ma non c’è da stupirsi. È che
durante gli scavi per la costruzione dei parcheggi
sotterranei, dev’essere stata intercettata una falda,
d’altronde di zona di sabbie e arenarie si tratta, là
una volta confluivano rigagnoli. Si sta perdendo la
memoria dei luoghi, questo il punto. Vedere la carta
idrogeologica di Cagliari, fa un certo effetto: è
disseminata di puntini azzurri, acqua non potabile (anche
se una tesi di laurea del 1975 dice di sì, in parte) ma
dolce, vitale in chissà quanti altri utilizzi. Nonostante
da decenni, geologi e appassionati di speleologia siano
riusciti a mappare il sottosuolo di Cagliari e dintorni,
scoprendo risorse e pericoli, la vita della città, finora
non è riuscita ad avvantaggiarsene. Finora. È
improrogabile, e di fatto è nell’agenda del sindaco,
l’istituzione di un “Ufficio del Sottosuolo”, che
dia l’avvio a una collaborazione utile fra geologi,
speleologi, Università e chi, deve provvedere alla sete
di una città.
Siamo messi male. Nel 1988, un Decreto Ministeriale
interviene in merito alle”Norme tecniche riguardanti le
indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei
pendii naturali e delle scarpate, i criteri generali e le
prescrizioni per la progettazione, l’esecuzione e il
collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere
di fondazione”. Praticamente indica, oltre a quanto
deducibile dal titolo, tutte le opere, pubbliche e
private, i cui progetti devono essere corredati dalla
relazione geologica e geotecnica definendo anche i
contenuti delle specifiche relazioni (geologica e
geotecnica). La generalizzata ignoranza in merito alle
problematiche geologico-ambientali da parte delle
amministrazioni pubbliche, di fatto ha sempre frenato
l’inserimento di geologi in organico. D’altra parte,
poiché spesso i bilanci comunali sono minimi, si è
ipotizzato di proporre la figura del ”geologo condotto
”, cioè di un professionista che si fa carico delle
problematiche di diversi comuni di un territorio omogeneo,
collaborando con i vari uffici tecnici.
Cagliari brilla in quanto a débacle: fino a tre anni fa
un geologo c’era in Comune, andato in pensione lui,
niente più. In tutta l’isola, l’attività dei geologi
(nonostante l’elevato numero di iscritti all’Ordine
regionale dei Geologi - circa 500 - e più di 2000
laureati), è più rara di quella dei rabdomanti. La
maggior parte di loro (i primi laureati in geologia
risalgono al 1964 - prima di allora gli unici
”esperti” in problematiche geologiche erano laureati
in Scienze Naturali), a malincuore fa un altro mestiere.
Fra loro c’é chi parla di partito del cemento, e chi di
”missione”, il difficile compito di lottare contro una
mentalità che ha il suo tornaconto a non cambiare. Chiaro
e tondo lo denuncia il professor Carlo Marini del
dipartimento di Scienze della terra: «Con la Merloni ter
(lavori pubblici), finalmente il legislatore si è accorto
che la pubblica amministrazione è in mano ai progettisti,
vale a dire ingegneri e geometri. Loro devono controllare
i progetti esterni, ma chi esamina lo studio geologico? Il
geologo che purtroppo non c’è. C’è un rapporto di
uno a 10, uno a 20, fra progettisti e geologo. E
parliamo di Comuni, ma lo stesso discorso vale per le
Comunità montane, per i Consorzi di bonifica, per la
Provincia, per gli assessorati regionali. La pubblica
amministrazione deve dotarsi di geologi, nonché prevedere
di incaricare direttamente geologi esterni,
indipendentemente da chi progetta in superficie. Non
vogliamo uno scontro con la lobby dei progettisti, al
contrario, vogliamo lavorare insieme. Se questo già
avviene nella libera professione, nella pubblica
amministrazione siamo indietro». Insomma, le leggi,
finalizzate ad uno sviluppo del territorio compatibile con
le esigenze socioeconomiche e di tutela del suolo, ci
sono, basta applicarle. «Quello delle acque», continua
Carlo Marini, «è solo la punta dell’iceberg,
l’esempio di come le risorse idriche vengano gestite
solo parzialmente». Ma forse, è arrivata anche la fine
dello spreco: di questo ed altro si parlerà nell’aula
del Dipartimento di Scienze della Terra domani alle 10.
Una conferenza per annunciare un convegno il 2 marzo a
Oristano, e per far luce su due, tre progetti veloci per
estrarre dal sottosuolo di ”Casteddu”, perlomeno un
terzo del suo fabbisogno d’acqua potabile.
Monica Perozzi
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